Antonio Gnoli per "la Repubblica" - 4 ottobre 2012
dudu' la capria
Se dovessi fornire un'immagine di Raffaele La Capria, qualcosa insomma che ne contenga l'essenza, non troverei di meglio che scioglierne il corpo nella letteratura. Tutto in quest'uomo dai modi gentili si traduce in parola letteraria. Penso che egli sia anche per questo un uomo fortunato.
Una di quelle creature che con docile determinazione sanno prendere il meglio dalla vita. Per i suoi novant'anni (li compirà dopodomani) La Capria pubblica un nuovo romanzo e un libro di fotografie che racconta lo scrittore a Capri. Belle immagini.
rosi la capria ghirelli
Testimonianza di una vita ricca di agi: l'incantevole moglie, Ilaria Occhini, la casa con terrazza sul mare, il cane Guappo, gli amici. Una foto mi colpisce. Si vedono Dudù (è il suo soprannome) e Moravia su un barchino. Non remano. Stanno fermi. «Nonostante la giornata fosse stupenda, Alberto mi guardava preoccupato: "Secondo te, pioverà?", mi chiese assurdamente. Questo era Moravia, pessimista fino all'inverosimile», dice ridendo.
LA CAPRIA
E a lei capita di essere pessimista?
«Certo, ma la verità è che in letteratura si deve trovare un equilibrio tra pessimismo e ottimismo, tra la felicità e il dolore. Pensi al mio romanzo Ferito a morte: all'inizio tutto splende, poi accadono piccoli eventi che fanno capire che la bella giornata tanto bella non è. C'è in ognuno di noi un'attesa di felicità, poi la vita trascorre e la felicità certe volte diventa dolore».
Quando si cita La Capria si evoca costantemente Ferito a morte. La gratifica?
«No, mi offende. Perché si nomina solo quel romanzo. Ma io ho scritto venti libri, e perlomeno tre o quattro sono all'altezza di Ferito a morte».
ilaria occhini raffaele la capria
Per pigrizia o che altro si parla così di lei?
«Perché sono napoletano. Mi perseguita l'identificazione con la città. Non sentirà mai qualcuno dire: Arbasino di Voghera. Ma tutti dicono: il napoletano La Capria».
A Napoli lei ha dedicato diversi libri.
«Ma nessuno se ne è accorto. Voglio dire nessuno ha percepito il modo anche fantastico con cui ne ho parlato».
Prova risentimento?
«Ma no, chissenefrega. Addirittura, certe volte penso alla mia voglia di essere dimenticato: non parlate di me, perché come parlate sbagliate».
6 luglio 1961 - Ilaria Occhini con Raffaele La Capria vincitore del Premio Strega al Ninfeo di Valle Giulia
Ce l'ha anche con Napoli?
«Solo se la capisci è una città meravigliosa».
Ci sono molti stereotipi?
«Troppi. La verità è che di Napoli è stato detto tutto: ormai le rappresentazioni della città si sono sostituite alla realtà. Ma resta quel sottofondo mitologico senza il quale non avrei scritto i miei libri».
Eppure, lei a un certo punto lascia definitivamente la città, lascia Palazzo Donn'Anna dove lei ha raccontato la sua adolescenza, e si trasferisce a Roma.
«Avevo bisogno di un lavoro e a Napoli non lo trovavo. La spiegazione mi sembra semplice. E invece quella scelta mi venne addebitata come un tradimento. A Napoli facciamo così».
raffaele la capria (2)
Quando arrivò a Roma?
«Era il 1952. Non avevo né arte né parte. Perciò l'unico lavoro che potevo fare era la televisione».
La televisione o niente?
«Non ho nessuna attitudine al lavoro. L'unica cosa che so fare è, bene o male, usare le parole. So giudicare quello che leggo e infatti in Rai cominciai a visionare i copioni degli sceneggiati. In seguito divenni sceneggiatore in proprio. Ho scritto sceneggiature per Rosi e per altri registi importanti».
LA CAPRIA
Scrivere una sceneggiatura è diverso dallo scrivere un romanzo?
«Diversissimo. Scrivere una sceneggiatura significa capire che un tavolo per stare in piedi deve avere tutte e quattro le gambe della stessa lunghezza. Questa parte di artigianato farebbe bene anche al romanzo. Invece molti autori contemporanei, soprattutto i giovani, spesso se ne dimenticano. Vanno per la tangente. Deragliano, creano opere squilibrate. Non faccio nomi, anche perché spesso sono amici carissimi».
la capria cover
Alla sua età verrebbe perdonato.
«Sarei massacrato».
Con Ferito a morte lei vinse lo Strega. Che anno era?
«Parliamo di un'altra epoca. Era il 1961. Vinsi per un punto su Giovanni Arpino. Terza, mi pare, arrivò Fausta Cialente».
Farebbe paragoni con lo Strega di oggi?
«Credo che la mia sia stata una delle ultime edizioni rappresentative di un mondo letterario ormai scomparso. Quel successo inaspettato mi ha reso indifferente, mi ha tolto l'ansia. Poi ho vinto il Campiello e il Viareggio. Con i premi ho chiuso».
Sembra lei il ferito a morte.
«Sono drammatico più che melodrammatico ».
LA CAPRIA
È un sentimento che contrasta con un certa gioia di vivere che lei emana
«È l'immagine bonaria che offro di me. Ma i miei libri parlano continuamente della morte. La verità è che nessuno li ha letti in modo da comprendere il cammino che ho fatto».
Da dove nasce questo dialogo con la morte?
«Chi, come me, ama molto la vita e si immedesima con la natura sa che la morte è solo l'altra faccia. Mi struggo perché so che tutto sfugge e la pienezza non dura. E che ogni prova del morire si lega alla rinascita ».
Cosa le dà questa certezza?
LA CAPRIA
«Lo sperimentai su di me quando mi operarono al cuore. Malgrado tutto, mi sentivo leggero. Non c'era la paura di affrontare un viaggio che avrebbe potuto essere senza ritorno. Mia moglie interpretò quel mio stato d'animo come incoscienza. Mi diceva: ma non hai capito che ti devono squartare!».
E dopo?
«E dopo riprese la mia vita romana».
A cosa è dovuta la sua predilezione per Roma?
lucrezia lante della rovere carlo ripa di meana raffaele la capria marina ripa di meana
«Al fatto che ha rappresentato la mia giovinezza. Negli anni Sessanta era una città fantastica, culturalmente entusiasmante. C'erano Flaiano, Soldati, Moravia, Morante. Ricordi bellissimi di un mondo intorno a me straordinario».
Di Ennio Flaiano cosa ricorda che non sia stato detto?
«Altro che battutista, aveva il cuore nero di disperazione. A lui si può applicare la bellissima frase di Proust: la psicologia è nata in provincia».
E della coppia Moravia-Morante?
«Vivevano molto separati. Moravia, pessimismo a parte, era di un'ingenuità disarmante. Ma sapeva dire cose illuminanti in modo semplice. Elsa era una donna straordinaria, capace di imporsi con un sol gesto. Mi voleva bene e ogni volta che mi presentava a qualcuno diceva: ecco il poeta La Capria. Era del tutto inutile che io ricordassi a lei e agli altri che non ero un poeta, semmai uno scrittore. L'ho detto io, e questo basta, replicava Elsa».
LA CAPRIA
Pasolini era molto legato a quel gruppo.
«Sì, ma non credo che mi amasse molto. Pensava che i borghesi erano dei fetenti e siccome a me piaceva vestire con eleganza, mi guardava con un certo disappunto. Del resto, non facevo nulla per ingraziarmelo. Sono troppo orgoglioso. Però ammiravo alcuni suoi lati».
Quali?
«Non tanto l'opera, quanto il ruolo che ha saputo svolgere. Secondo me non ha scritto niente di importante sul piano del romanzo, ma i suoi interventi civili furono in largo anticipo sui tempi. Era un vero individuo in un mondo in cui gli individui cominciavano a sparire».
Un'altra figura straordinaria che lei ha molto amato è Goffredo Parise.
«Seppe opporre il sentimento all'ideologia. Credeva al momento illuminante della scrittura senza sbandare nel sentimentalismo. In tal senso i Sillabari furono una grande prova letteraria».
roberto d agostino marisa laurito e raffaele la capria
E in privato com'era?
«Un incredibile ballista. Non sapevi mai se le storie che ti stava raccontando erano vere o no. Un giorno stavamo seduti da Rosati e a un certo punto mi dice: Dudù guarda dietro di me, ma non fartene accorgere. Lo vedi quell'uomo volgare a braccetto con quel puttanone dipinto? Sì, e allora? È mio padre. Goffredo sosteneva di essere figlio illegittimo e di aver incontrato una sola volta il padre per chiedergli se aveva malattie ereditarie».
A proposito di padri come fu il suo?
raffaele la capria saluta renzo arbore
«Gli dedicai un racconto rimproverandogli l'eccessiva indulgenza. Gli scrissi una specie di lettera anti Kafka. Mi ossessionava quella sua cantilena che usciva ogni volta che commettevo un errore: e va bene, non fa niente, tutto si accomoda pacatamente, così diceva».
Cosa faceva suo padre?
«Il dramma della sua vita furono le carte da gioco. Ma lasciamo stare. Commerciava in grani che importava dall'America su intere navi. Poi con il fascismo l'import-export finì e lui divenne direttore di un consorzio agrario. La ricchezza decadde e si trasformò in un onesto borghese. C'era rimasto ben poco da festeggiare».
raffaele la capria
E lei, invece, come festeggerà il suo compleanno?
«Con un romanzo nuovo dal titolo Doppio misto. Due storie d'amore con cui ho voluto smontare l'immagine bonaria che do di me, raccontando le mie perversioni».
Una confessione inattesa.
«Un uomo non può essere una sola cosa».
Racconta la sua ombra?
«Come fosse un verso di Rimbaud: "Oisive Jeunesse / à tout asservie / par délicatesse / j'ai perdu ma vie". Ha capito?»
Capisco che tutto in lei finisce in letteratura.
«Sono impregnato di letteratura e senza di essa non avrei vissuto. La vita di cui ho scritto è una vita inventata. Per questo è vera».
Quanto è importante per lei la finzione?
moravia morante
«Ricorda i versi di Pessoa? "Il poeta è un fingitore / Finge così completamente / che arriva a fingere che è dolore/ il dolore che davvero sente". Più si è capaci di fingere e meglio si racconta la realtà».
Citare le piace.
«Tutto è déjà vu. Ci fu un tempo in cui il mondo era fatto di trasparenze. Ora che ho toccato i novant'anni sono tra i pochi che possono ancora fare il paragone tra quel passato innocente e oggi. La modernità, da un lato, è stata una soluzione comoda, dall'altro ha cambiato il cielo, il mare e la terra».
fellini flaiano
E cosa prova?
«Ogni volta che ci penso capisco cosa vuol dire la cacciata dal paradiso. Tutto è perduto, perduto per sempre. Questo è il sentimento che provo».
Stefan Zweig provò a raccontare qualcosa di simile e poi si suicidò.
«Non lo farei mai, a cosa serve? Quel gesto non migliora il mondo, ma aderisce allo sfacelo».
La letteratura non rischia così di essere solo un balsamo per l'anima?
«A me piace che la letteratura sia consolazione. Deve essere una preghiera e non solo rabbia e protesta».
Non la sento convinta.
Moravia e Pasolini
«Non sono fino in fondo convinto di niente. Viviamo in un'epoca in cui la saggezza è improbabile. Sa come mi definisco? Un uomo perplesso».