Paola Italiano per "la Stampa"
tokyo la casa di carta
«Alicia Sierra incinta da 4.567 mila anni». Hashtag: #casadepapel. A La Casa di Carta si sono affezionate milioni di persone in tutto il mondo. Ma, alla quinta stagione, trattenersi dal ridere di fronte a lacune e iperboli della narrazione (come la indefinitamente lunga gestazione dell'ispettrice cattiva) è difficile anche per quei fan che guai a criticare la banda di pregiudicati messa insieme da El Profesor per assaltare la Zecca di Stato con le maschere di Dalì. Ognuno con il suo nome in codice corrispondente a una città (Tokyo, Nairobi, Berlino, Helsinki) e con sterminato corollario di satira e parodie (menzione speciale per «La casa di cartone» made in Puglia dove i personaggi si chiamano Ostuni e Bitonto e invece di assaltare le banche ripuliscono le feste patronali).
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Netflix ha messo online all'inizio di settembre l'ultimo atto e come sempre c'è chi ha guardato in una notte o poco più tutte e cinque le puntate (le prossime cinque arriveranno a dicembre), non solo perché risucchiato nel vortice del binge watching, ma anche per non dare il tempo di colpire al nemico numero uno dei drogati di serie, sempre in agguato sui social: lo spoiler. Netflix ci ha intelligentemente scherzato, inventando una No-Spoiler Zone: gli influencer social più seguiti imbarcati su un aereo a Genova insieme a Darko Peri, l'attore che interpreta il personaggio di Helsinki, per una proiezione esclusiva.
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Cinque ore con il telefono blindato dalla modalità aereo: una bella trovata pubblicitaria infiocchettata dal claim «Chi fa spoiler è un Arturito» (per i profani: Arturo Román, capo della Zecca Reale di Spagna, ostaggio della banda, poi diventato guru motivazionale: un viscido e subdolo manipolatore). Ma di Arturito a terra ne sono rimasti parecchi, e in molti hanno dovuto dare l'addio anticipato alla suspence. Ma molti hanno anche dato l'addio anticipato alla serie, e non per colpa degli spoiler. Mollata dopo una o due puntate. Il popolo di critici televisivi sui social si è pronunciato: «lenta», «prevedibile», «piena di flashback non funzionali», «diretta male e sceneggiata peggio», «persino nelle pubblicità della carta igienica la trama è più interessante e credibile».
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Sia chiaro: come tutti i prodotti di grande successo, La Casa di Carta ha adoratori e detrattori in lite perpetua fin dalla prima stagione, polarizzati tra chi la reputa un capolavoro e chi una boiata pazzesca. Questi non li metterà mai d'accordo nessuno.
Ma nella quinta stagione è soprattutto il terzo polo che ha gettato la spugna, quelli per cui non sarà un capolavoro ma alla fine si fa guardare. E invece stavolta la trama latita davvero, i colpi di scena sono diventati schematici e quindi prevedibili, un po' come quando c'è La Signora in giallo, l'implacabile Jessica Fletcher, e indovini presto l'assassino perché ormai hai capito che deve essere un personaggio che se ne sta un po' defilato e di certo non è quello che appare come il cattivo patentato.
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E il problema non è più chiedersi se La Casa di Carta sia credibile o se sia scritta bene, la domanda di oggi è antica quanto la serialità: fino a che punto ci si può spingere senza stancare lo spettatore? E la Casa di carta ha superato quel punto? Per gli autori, questa è l'impressione, alzare l'asticella dell'implausibile è diventata una specie di gioco.
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Che rischia però di finire quando l'effetto diventa platealmente comico. Se al Profesor legato a una sedia sparano su un piede e lui non emette il minimo gemito, lo spettatore smette di vedere in lui un duro tutto d'un pezzo, per coglierne una citazione involontaria di Fantozzi che si trattiene quando Filini gli martella la mano mentre montano la tenda in campeggio, con la differenza che Fantozzi è più verosimile, perché lui l'urlo lo libera poi nei boschi. «Vorrei ricordare a tutti i fan della #CasaDePapel che nella vita reale la maggior parte di loro starebbe dalla parte della polizia al grido di "Sparate a quei criminali"».
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Ecco l'altra grande incongruenza che i più brillanti critici social non perdonano: puoi anche accettare che una banda di rapinatori abbia la simpatia dell'opinione pubblica, ma come è possibile che tutti li acclamino quando scoprono che si tratta di delinquenti eversivi armati fino ai denti che tengono in ostaggio dei ragazzini?
E questo era solo l'inizio, perché nelle stagioni successive le azioni della banda diventano sempre più spettacolari e iperboliche, tra spari e inseguimenti: «In 5 stagioni, la Casa di Carta è passata da serie simpatica di azione spagnola a film di guerra splatter», è la sentenza social. La serie spagnola, la più vista di sempre tra quelle non di lingua inglese, deve rispondere dell'accusa più imperdonabile: «Hanno voluto copiare gli americani, con sparatorie e sangue a go go». Dopodiché, chi vince ha sempre ragione: non si conoscono ancora i numeri della quanita stagione, ma secondo Netflix la quarta l'hanno vista 65 milioni di persone.
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E l'autore Alex Pina un capolavoro lo ha certamente fatto, fin da quando per Antena 3 ha realizzato la prima stagione della serie: iconizzare un prodotto e renderlo riconoscibile in tutto il mondo. E non a caso dal 2017 Netflix se l'è accaparrata per consegnarla a una celebrità globale. Stroncature e ironie i n fondo non fanno altro che certificarne il successo, anche quelle più spietate: «Peggio della nuova stagione, solo le penne lisce». Hashtag: #Casadepapel.
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