Jacopo Iacoboni per www.lastampa.it
putin macron
Il senso di un incontro è nei dettagli. E Vladimir Putin ha disseminato una serie di indizi, durante la visita di Emmanuel Macron a Mosca. Uno è stato brutalmente aggressivo: quando ha detto alla fine, riferendosi a Volodymir Zelensky e all’Ucraina, «potrà piacerti o no, bella, ma te lo becchi», una frase oscena che in russo può ammiccare sia allo stupro, sia alla necrofilia, e che è stata accolta con raccapriccio pressoché corale dai commentatori europei. L’altro dettaglio invece è un trollaggio anche abbastanza palese, che Putin ha inserito dentro il menù della cena offerta al presidente francese. E qui bisogna spiegare.
vladimir putin emmanuel macron
La carta prevedeva un inizio con insalata di gamberetti e patate, seguita da ravioli agli spinaci, zuppa alle cinque specie di pesce, sorbetto allo zenzero. Il piatto forte erano, a scelta, trancio di storione, bistecca di renna con patate dolci e more. E alla fine il dessert, torta di pere con gelato alla vaniglia. Il tutto innaffiato da uno Chardonnay del 2015 e da vino rosso Rebo, della tenuta di Usadba Divnomorskoye. Ma queste sono una tenuta e una cantina che vanno raccontate. La cantina è annessa al “Palazzo di Putin” sul mar Nero, come fu chiamata l’intera proprietà in una celebre videoinchiesta di Aleksey Navalny, l’ultima prima del suo arresto al rientro a Mosca.
PALAZZO DI PUTIN
Dieci giorni dopo l’uscita dell’inchiesta spuntò uno degli oligarchi più legati a Putin, Arkady Rotenberg (il “maestro di judo”, in realtà semplice compagno di judo di Putin, nonché capo dell’impresa di costruzioni di Gazprom appaltatrice di tantissimi lavori dal 2008 in poi, nella costruzione dei gasdotti South e Nord Stream, oltre che delle Olimpiadi di Sochi), a rivendicare che no, quel palazzo non era di Putin ma era suo. In tanti non gli hanno creduto.
C’è però un’altra curiosità: quella cantina ha ricevuto la consulenza di un grande enologo italiano, Riccardo Cotarella. A suo tempo il management della tenuta sul mar Nero annunciò trionfale, alle riviste di settore: «Siamo la cantina russa che fa il vino russo più “italiano” che ci sia». E Cotarella scherzò: «E’ l’ennesima esperienza che ci dice che la vite è una pianta generosa che sa adattarsi al territorio. Siamo sul 45° parallelo, c’è il mare, ci sono le montagne. La vite è una pianta che allontana la frontiere e che unisce».
Navalny 5
Nella cantina di Usadba Divnomorskoye lavora un giovane enologo italiano, e tutti i vini sono “italiani” (quella tenuta è anche un esperimento di italianità in Russia, lo stesso architetto che ne ha curato gli interni è italiano, Lanfranco Cirillo). La distribuzione internazionale è curata appunto da Cotarella, che ha tra i suoi clienti anche Boris Titov, uomo che Putin ha nominato “difensore civico” degli imprenditori e che – ha sostenuto Navalny – sarebbe in realtà un prestanome del presidente russo (lui nega). Cotarella ha seguito le passioni vinicole di tanti russi in Italia, come Roman Abramovich, o Konstantin Nikolaev, 1,2 miliardi di dollari di patrimonio, uno di maggiori player nei porti russi, che nel 2017 comprò una tenuta a Bolgheri, nel livornese, scegliendo appunto Cotarella come enologo. Una fama, quella di Cotarella, che aveva già conquistato tra i suoi clienti la cantina umbra La Madeleine. Quella di Massimo D’Alema.
RICCARDO COTARELLA
In un caldo sabato di luglio 2018 questi vini russi – che adesso vengono serviti da Putin a Macron – furono presentati dove? In Italia, all’hotel Rome Cavalieri. E c’erano Massimo D’Alema e la Fondazione Sommelier. Si parlò del Pinot noir prodotto da Titov, un monovitigno che dall’Italia Cotarella ha esportato nella regione di Krasnodar, nella Russia europea e meridionale. È vero che dietro il vino di Titov c’è Putin?, chiesero all’enologo. Risposta: «Non so nulla, mi creda. Comunque Putin non l’ho mai conosciuto».
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