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    LA CENSURA CORRE SU FACEBOOK - GALEOTTA FU L’ELEZIONE DI TRUMP TRAINATA DALLE BUFALE CHE HANNO INVASO LA RETE: ZUCKERBERG ORA VUOLE ORGANIZZARE UN SISTEMA DI VIGILANZA SUI CONTENUTI CONDIVISI DAGLI UTENTI - IL RISCHIO E' CHE VENGA MESSA LA MORDACCHIA A QUEI SITI CHE RACCONTANO LA REALTÀ IN UN MODO CHE NON PIACE A ZUCKERBERG


     
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    Adriano Scianca per la Verità - laverita.info

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    Mark Zuckerberg alle crociate. Il papà di Facebook si sarebbe deciso a lottare per la verità e la giustizia, indignato dalle troppe bufale che girano sul suo social network. Almeno in Occidente.

     

    In Oriente va diversamente: l’accordo stipulato tra Menlo Park e il governo cinese contempla per esempio la possibilità di censurare i contenuti sgraditi al Partito dalla colonna delle notizie. Ma se il doppio standard morale è il prezzo da pagare per aprire praterie nello sterminato mercato cinese, Zuck non si fa scrupoli. Torniamo alla questione delle bufale. Galeotta fu l’elezione di Trump. Rospo duro da mandar giù, bisogna dare la colpa a qualcuno.

     

    Alla rete, per esempio, su cui scorrazzano notizie inventate, titoli a effetto, sensazionalismo un tanto al chilo (un esempio: il falso endorsement pro-Trump di Papa Francesco). Un recente report di BuzzFeed ha dimostrato che negli ultimi mesi le false notizie elettorali sono riuscite a scavalcare, in quanto a share, reazioni e commenti le più importanti news del momento diffuse da siti «autorevoli ». Da qui l’impegno per combattere il dilagare di fake e falsi scoop.

     

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    Già, ma come? Sembra che Zuckerberg voglia affidarsi alle indicazioni degli utenti per poi procedere a una verifica dei contenuti segnalati. Non mancheranno neppure gli «avvisi» per allertare gli utenti. Stessa vigilanza avverrà sulla scelta dei link correlati, in nome della qualità: così il News feed non potrà più indirizzare i lettori verso siti di disinformazione. Molto bene. O forse no. Siamo sicuri, infatti, che i siti colpiti saranno quelli che inventano le notizie e non magari anche quelli che raccontano la realtà in un modo che non piace a Zuckerberg?

     

    Un’altra arma - condivisa da Google, impegnato nella stessa battaglia - è quella della pubblicità: si tratta di tagliare gli introiti ai siti che diffondono falsi contenuti. Zuckerberg sembra tuttavia conscio dei dilemmi concettuali che pone la crociata: «I problemi qui sono complessi, sia dal punto di vista tecnico che filosofico. Crediamo nel dare alle persone una voce, il che significa sbagliare sul versante del lasciare che le persone condividano ciò che vogliono.

     

    Dobbiamo stare attenti a non scoraggiare la condivisione di opinioni o a limitare per errore dei contenuti accurati. Non vogliamo essere noi stessi degli arbitri della verità, ma invece contare sulla nostra comunità e su terze parti fidate». Il problema è in effetti complesso: a partire dagli anni ‘70, gli intellettuali più in voga ci hanno convinto che la verità non si dava mai, che tutto era fluido, costruito, che tutto era narrazione cui si poteva opporre una contro-narrazione, che i fatti non esistevano. Quando la cosa si è ritorta loro contro, ci hanno ripensato: i fatti esistono, e vi diciamo noi quali sono. L’esplosione della rete ha fatto il resto. E così, insieme alle bufale onnipresenti, hanno cominciato a spuntare come funghi i siti di debunking . Ovvero gli «smascheratori », i cacciatori di balle.

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    Già, ma chi gli ha dato la patente di anti-bufalari? Nelle liste nere di siti malfamati che tali portali diffondono, veri e propri indirizzi truffa si trovano accanto a siti di contro-informazione, che danno una diversa interpretazione della verità. Da mettere al bando anche loro? Il crinale è scivoloso. Prendiamo, per esempio, il fenomeno del fac t - c h e cking . Nei dibattiti americani va moltissimo: il giornalista fa una domanda al politico, lui risponde, e poi un nerd davanti a un computer ci spiega se ha detto la verità o no. In un dibattito delle presidenziali Usa, Trump ha dichiarato: «La Siria sta combattendo l’Isis. Non mi piace Assad ma Assad sta uccidendo l’Isis. La Russia sta uccidendo l’Isis. L’Iran sta uccidendo l’Isis. E questo per via della nostra debole politica estera». Sul Daily Beast, Michael Weiss ha fatto fact- cheking e ha concluso: «Ogni cosa che Trump dice sulla Siria è falsa o folle, o entrambe».

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    Ma una questione incasinata come la guerra siriana può essere considerata come un mero «fatto» su cui le opinioni si possano dividere in vere e false? Oppure prendiamo l’i m m igrazione. Qualche settimana fa, Medici senza frontiere ha fatto uscire un documento chiamato L’a n ti slogan, per smentire le falsità populiste sui migranti. Un compitino scialbo, in cui in un paio di casi finivano persino per smentirsi da soli. Il punto, però, è che l’i m m igrazione non è argomento su cui possa esistere una verità unica. Se c’è invasione oppure no non è questione da fact checking, almeno fino a che non ci mettiamo d’accordo su cosa sia un’invasione, cosa che non accadrà. Insomma, l’impressione è che dopo aver detto per anni che i fatti non esistevano e tutto era interpretazione, ora ci vogliono convincere che i fatti si danno in purezza e ne esiste quindi una sola interpretazione possibile. La loro.

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