1 - LA CINA DICHIARA GUERRA A SOROS
Giampaolo Visetti per “la Repubblica”
george soros
La Cina, considerato il peso sui mercati, tratta George Soros come uno Stato straniero ostile, lo definisce «coccodrillo finanziario » e gli intima di «stare alla larga da una guerra allo yuan». Lo spettacolare scontro Xi Jinping-George Soros ha come teatro i media-simbolo della seconda economia mondiale e del capitalismo occidentale: il socialista Quotidiano del Popolo e il liberistaFinancial Times, da poco in mani giapponesi.
Ad aprire le ostilità, un editoriale dell’organo ufficiale del partito-Stato, dal titolo «Dichiarare guerra alla valuta cinese? Ah Ah». Un ricercatore del ministero del Commercio avverte che «la guerra di Soros contro il renminbi e il dollaro di Hong Kong non può riuscire ». L’accusa è «aumentare la volatilità in mercati finanziari già instabili».
GEORGE SOROS
Una settimana fa, intervistato a Davos da Bloomberg Tv, il re della finanza globale aveva previsto «un atterraggio duro e inevitabile » per l’economia di Pechino. «La Cina ha aspettato troppo per affrontare il passaggio da un modello di crescita basato sulle esportazioni – aveva detto – ad uno guidato dai consumi interni ». La sua previsione, senza citare lo yuan, era stata «una fase di ribassi per le monete asiatiche».
A inizio settimana le Borse cinesi hanno toccato il minimo dal 2014, Shanghai rispetto a giugno ha perso ieri quasi il 45%. Sullo yuan sono ripartite le vendite e si addensano le nubi di nuove svalutazioni. Il divario tra cambi ufficiali interni e quelli offshore, ha ripreso ad allargarsi. Pechino è costretta ad acquistare all’estero montagne di yuan, pagando in dollari e bruciando parte delle sue riserve in valuta straniera.
XI JINPING 2
Sempre Bloomberg ha stimato che nel 2015 i capitali in fuga dalla Cina hanno sfondato quota mille miliardi. La leadership rossa è evidentemente convinta che Soros, considerato icona «delle cospirazioni democratiche», «non sia estraneo al tentativo occidentale di fermare l’avanzata cinese».
Due giorni fa il capo dell’Ufficio nazionale di statistica di Pechino è stato arrestato per corruzione, ieri lo stesso ufficio ha ammesso che in dicembre i profitti industriali cinesi sono scesi del 4,7% annuo, il calo più consistente dal 2013. Le Borse di Shanghai e di Shenzhen hanno chiuso un’altra volta in perdita, mentre migliaia di industrie nazionali sono ferme causa sovra-produzione.
SHANGHAI
La propaganda cinese, spaventata dal primo vero aumento di malcontento sociale, accredita però la crisi agli «attacchi speculativi » di Soros. Il Quotidiano del Popolo cita il precedente del 1992, quando il finanziere guadagnò un miliardo di dollari scommettendo sull’uscita di Londra dai trattati di cambio Ue, speculando sul ribasso della sterlina. L’affondo finale è da ufficio- inchieste: secondo Pechino, Soros ha parlato di yuan e di crescita cinese «dopo aver scommesso contro l’indice S&P 500, che include valute e asset legati alle economie asiatiche». Travolgere la Cina, e a cascata il mondo, per interessi privati: lo scontro è frontale, ma decisivo è verificare se avrà ragione l’autoritario leader post-comunista convertito al capitalismo, o il vecchio capitalista democratico diventato ricco sulle macerie dei satelliti comunisti.
shanghai
2 - GEORGE, RAIDER SCOMODO DAI BLITZ SU LIRA E STERLINA ALLA TUTELA DEI DIRITTI UMANI
Federico Rampini per “la Repubblica”
L’attacco a lira e sterlina. L’appoggio alle “rivoluzioni arancioni”. E’ tra questi due poli che si dipana la vicenda di George Soros. Questo spiega l’ambivalenza dell’attacco che gli viene sferrato dalla Cina. Si attacca lo speculatore, per colpire (anche) il difensore dei diritti umani? Perché Soros è davvero tutt’e due le cose. Di certo con 24,5 miliardi di patrimonio personale – che lo collocano nella classifica Forbes fra i trenta più ricchi del pianeta – lui è un bersaglio visibile. E nella sua vita è stato più volte al centro di “teorie del complotto”.
SCOPPIATA LA BOLLA ALLA BORSA SHANGHAI
La notorietà di Soros esplode nel 1992, quando il suo hedge fund prevede in anticipo che la lira italiana e la sterlina inglese non potranno difendere le loro parità con le monete del Sistema monetario europeo (Sme). Siamo nella preistoria dell’euro, in un sistema di cambi quasi- fissi, che vanno difesi spendendo le riserve valutarie delle banche centrali. Soros è uno dei primi a capire che Roma e Londra non riusciranno a reggere.
Sullo sfondo c’è la riunificazione tedesca, il forte deficit di spesa pubblica della Germania che alimenta inflazione e induce la Bundesbank a un drastico aumento dei tassi d’interesse. Inoltre il “no” dei danesi a un referendum sul trattato di Maastricht provoca ondate di sfiducia. Risultato: una spinta dei mercati verso la rivalutazione del marco tedesco accentua le forze centrifughe rispetto a monete meno credibili. Per noi italiani resta scolpita nella memria la maxi-svalutazione della lira, ma è il contestuale attacco alla sterlina il “colpo” più grosso messo a segno da Soros.
GEORGE SOROS E TAMIKO BOLTON
Questo ebreo ungherese ha però altre passioni nella sua vita. La sua biografia (è scampato fortunosamente alle retate naziste, poi è sopravvissuto per miracolo alla battaglia di Budapest fra truppe sovietiche e tedesche nel 1945) lo rende ipersensibile alla minaccia dei regimi autoritari, fascisti o comunisti. E’ un intellettuale, ha studiato con Karl Popper alla London School of Economics. La sua passione per la democrazia lo spinge a creare la Open Society Foundation che sostiene le ong libertarie e umanitarie.
Diventa uno dei soggetti-chiave, sul versante della società civile, nel promuovere la transizione dell’Europa dell’Est nel post-comunismo. Poi continua nella “seconda fase”, appoggia le cosiddette “rivoluzioni arancioni” che investono varie repubbliche ex-sovietiche.
George Soros
Così facendo si attira l’ostilità permanente di Vladimir Putin, che considera Soros come uno strumento delle ingerenze americane. Peraltro anche negli Stati Uniti (di cui ha preso la cittadinanza) l’impegno politico di Soros catalizza polemiche: la destra lo demonizza come il “miliardario liberal” i cui soldi finanziano le cause progressiste, nonché le campagne elettorali di Barack Obama.
Con un curriculum di questo genere non c’è da stupirsi se Soros è stato sempre nel mirino della leadership cinese. Che la pensa esattamente come Putin: vede in lui uno strumento dell’imperialismo Usa. Tanto più preoccupante, perché negli ultimi tempi Soros oltre a sostenere le battaglie per i diritti umani in Cina, è diventato molto pessimista sull’economia della Repubblica Popolare. Vestendo stavolta i panni del finanziere, ha previsto che dalla Cina potrebbe nascere una crisi globale paragonabile a quella del 2008. In questo momento forse Pechino teme Soros il finanziere più che Soros il difensore dei diritti umani. Le fughe di capitali, che costringono la banca centrale cinese ad attingere alle riserve valutarie, sono la preoccupazione più acuta.
SOROS