- HONG KONG: DA SENATO USA OK A LEGGE PRO DIRITTI UMANI
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(ANSA) - Il Senato americano ha approvato all'unanimità una legge a sostegno del rispetto dei diritti umani e della democrazia a Hong Kong. Il testo, che va ora alla Camera, prevede sanzioni contro le autorità cinesi e hongkonghesi che violano i diritti e stabilisce una revisione a cadenza annuale dello status speciale di cui gode Hong Kong, con vantaggi commerciali ed economici concessi da Washington. Approvato anche il divieto di vendere lacrimogeni, proiettili di gomma e altre attrezzature utilizzate per reprimere le proteste.
- HONG KONG: CINA CONTRO SENATO USA, MINACCIA RITORSIONI
xi jinping
(ANSA) - La Cina va all'attacco del voto unanime del Senato americano che ha approvato lo 'Hong Kong Human Rights and Democracy Act', un pacchetto di norme a sostegno dei manifestanti pro-democrazia che da quasi sei mesi protestano nell'ex colonia britannica. Il portavoce del ministero degli Esteri, Geng Shuang, ventilando l'adozione di non meglio precisate ritorsioni, ha chiarito in una nota che Pechino "condanna con forza e si oppone con determinazione" alla mossa Usa che è "una interferenza negli affari interni della Cina".
Il testo approvato dal Senato sarà inviato alla Camera dei Rappresentanti, che ha giù approvato una sua iniziativa in tal senso: i due rami del Congresso dovranno lavorare d'intesa e comporre le differenze prima che la norma sia sottoposta alla firma del presidente Donald Trump. "Chiediamo alla parte Usa di dare uno sguardo chiaro alla situazione e di prendere misure che evitino che il provvedimento diventi legge e di fermare le interferenze negli affari interni di Hong Kong, evitando di accendere un fuoco che brucerebbe solo se stessi", ha aggiunto Geng. Se gli Usa terranno il passo, "la Cina prenderà di sicuro forti misure per opporsi risolutamente al fine di tutelare sovranità, sicurezza e sviluppo nazionali".
IL DALAI LAMA PREGA NEL SENATO AMERICANO
La mossa del Senato è "una grave violazione" delle leggi internazionali e delle norme sulle relazioni internazionali verso cui la Cina esprime "condanna e si oppone con forza". Secondo Geng, la scenario di fronte a Hong Kong, sconvolta dalle proteste da oltre 5 mesi, "non è sui diritti umani e la democrazia, ma quello di fermare la violenza e far tornare l'ordine", visto che è a rischio il modello 'un Paese, due sistemi' che regola i rapporti tra Hong Kong e Pechino dal 1997, dal passaggio dei territori dalla Gran Bretagna alla Cina. Il Senato ha anche approvato il 'Protect Hong Kong Act', che impedisce la vendita e l'export a Hong Kong di strumenti di controllo della folla e di difesa.
hong kong battaglia studenti polizia
- HONG KONG, QUANTO PUÒ DURARE LA “NON INGERENZA” ITALIANA?
Guido Gentili per www.ilsole24ore.com
Dopo le prime (flebili) considerazioni della Ue, l’Italia avrebbe o no qualcosa da dire su ciò che sta succedendo a Hong Kong?
Sì che lo avrebbe, e farebbe bene a chiedere il rispetto delle libertà e dei diritti assicurati dall’accordo tra Pechino e Londra del 1984 sulla scia del quale la Gran Bretagna “lasciò” nel 1997 una delle capitali della globalizzazione. Libertà e diritti, va ricordato, che non sono prerogativa del popolo cinese.
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L’intervento della Ue contro l’inaccettabile violenza
In attesa delle parole di Papa Francesco nel corso del suo viaggio asiatico in Giappone, viste le scene dei giorni scorsi, con la polizia che ha di fatto iniziato a reprimere, facendo anche ricorso agli arresti, la protesta degli studenti, Bruxelles non ha potuto evitare un commento.
La Ue (attraverso il portavoce del servizio di azione esterna dell'Unione) chiede alle parti di rinunciare «all’inaccettabile violenza e all’uso della forza in modo da allentare le tensioni e tornare ad un vero dialogo». Constatando «l’escalation della violenza» e sottolineando la sua «profonda preoccupazione» per gli arresti dei medici che stavano «portando assistenza agli studenti».
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L’Europa «monitora la situazione da vicino», conclude con formula burocratica la nota di Bruxelles. Quanto all'Italia, è di due settimane fa la presa di posizione del ministro degli Esteri, e leader dei Cinque Stelle, Luigi di Maio. Proprio in Cina, in visita a Shangai, ha detto che «noi in questo momento non vogliamo interferire nelle questioni altrui e per quanto ci riguarda abbiamo un approccio di non ingerenza nelle questioni di altri paesi».
La prudenza dell’Italia
Non ingerenza? Che l’Italia sia preoccupata di non avere, e dimostrare, un approccio critico con Pechino è nelle cose. Questa prudenza che viaggia spesso sui confini della reticenza è stata un tratto distintivo del primo governo Conte gialloverde, ai tempi di una politica estera a quattro vie: flebile atlantismo e antieuropeismo, Cina e Russia invece sugli scudi. Ma in buona parte (si pensi proprio alla Cina) è stata confermata dal secondo governo Conte giallorosso.
davide casaleggio luigi di maio
Ripreso il filo europeo, il premier Conte ha provato prima di tutto a riallacciare il rapporto con gli Stati Uniti evitando di non mettere in discussione quello, forte, con Pechino che preoccupa Washington (vedi la partita strategica del 5G nelle telecomunicazioni e le preoccupazioni ora se anche l'acciaio dovesse finire in mani cinesi).
La linea M5S pro-Pechino
Tuttavia, il passaggio (con al seguito molte competenze prima in capo al ministero dello Sviluppo) di Luigi Di Maio alla guida della Farnesina ha confermato senza dubbi l’impostazione pro-Pechino che, nel quadro delle intese sulla “Via della Seta”, è di tutto il Movimento 5Stelle. Non è un caso, del resto, che il presidente della Casaleggio associati abbia presentato il suo piano per la “smart economy” sull'evoluzione delle imprese assieme a Thomas Miao, amministratore di Huawei Italia.
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La mano pesante di Xi
Ma quanto potrà durare il principio della “non ingerenza”, soprattutto se Xi Jinping confermerà l’uso della mano pesante? I segnali non sono incoraggianti. Il New York Times ha appena pubblicato un'inchiesta (sulla base della documentazione passata da un whistleblower del partito comunista cinese) che descrive dati alla mano la violenta repressione nella regione dello Xinjiang dove è stata colpita la minoranza musulmana. Documenti riservati interni venuti alla luce confermano questa strategia. E la Cina non ha smentito questi documenti.