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    “QUANDO HO PRESO COSCIENZA DI CIÒ CHE AVEVO FATTO, ERO ZUPPO DI SANGUE” – LA CONFESSIONE DI ZAKARIA ATQAOUI, CHE HA UCCISO L’EX FIDANZATA SOFIA CASTELLI DOPO AVERLA ASPETTATA PER 6 ORE NASCOSTO NELL'ARMADIO DELLA SUA CAMERA DA LETTO: “DORMIVA. MI SONO SCAGLIATO CONTRO DI LEI: HO SFERRATO IL PRIMO COLPO AL COLLO, POI ALTRE DUE VOLTE” – DURANTE LA LUNGA ATTESA HA ANCHE CAMBIATO IL COLTELLO (“IL PRIMO AVEVA LA PUNTA SPEZZATA, NON ERA ADATTO”) E HA SCRITTO MESSAGGI A UN AMICO: “TI GIURO CHE ME LA PAGA”


     
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    Estratto dell'articolo di Pierpaolo Lio per il "Corriere della Sera"

     

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    «In camera c’è Sofia». L’amica che l’ha accompagnata a casa «era nell’altra stanza […] non si è accorta di nulla». Davanti ai carabinieri, Zakaria prosegue la sua confessione: «Sofia dormiva. Mi sono scagliata contro di lei: ho sferrato il primo colpo al collo, poi altre due volte. Quando ho preso coscienza di ciò che era successo, ero zuppo di sangue, fuori dalla stanza». Acquattato nell’armadio in casa di lei, a Cologno Monzese, per sei ore la sua unica luce è lo schermo del cellulare.

     

    Zakaria Atqaoui lo guarda ossessivamente. Controlla la serata in discoteca di Sofia Castelli, 20 anni, la sua ex, attraverso le stories sui social.

     

    […] Raccontano amiche e amici: «Lei non ne poteva più» delle sue scenate, del suo essere possessivo; lui «voleva a tutti i costi riallacciare la relazione». Per Zakaria «è colpa di quel ragazzo», di quell’«altro» con cui «credo avesse una storia» e insieme al quale, si ripete, quella sera sarebbe tornata a casa: «Volevo sorprenderla». Si sente «usato».

     

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    E dal suo nascondiglio claustrofobico, quando già è l’1.51, vomita la sua rabbia in messaggi al suo unico amico: «Ti giuro che me la paga»; «Che vergogna zio»; «Mi vergogno, f..a, di essere stata con una così». Lei rientrerà invece con un’amica.

     

    Sono le 6. Lui è ancora rintanato, scalzo, con un coltello che poi cambierà («aveva la punta spezzata, la lama seghettata, ho pensato che non era adatto»). «Ho atteso che la sua amica se ne andasse, ma non se ne è andata. Lì è scattato qualcosa». Eppure resta ancora appostato, immobile. Le osserva struccarsi, cambiarsi, le sente scherzare, pronunciare «quel» nome.

     

    Quando lei s’addormenta «sono uscito dall’armadio»: va in cucina, cambia arma, «sono tornato in camera». Sono le 7: è il momento dell’agguato. Il 23enne resta in carcere per omicidio pluriaggravato.

     

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    […] «Non ce la facevo a rimanere lì», «tremavo», «ero nel panico», «avevo la nausea». Prima però si cambia i vestiti zuppi di sangue con altri trovati là, recupera le scarpe (ma per errore si metterà quelle di lei), butta il cellulare. Ha graffi sul volto, «forse perché Sofia s’è difesa, non ricordo» (lo chiarirà oggi l’autopsia). Vaga per le strade, si fuma una sigaretta. Quando incrocia i vigili, si consegna. Ora, in cella «quando vado a dormire — dice — penso a come ho fatto a essere stato in grado di uccidere».

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