Alessandro Barbera per “La Stampa”
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Se c'era una ragione per la quale Giorgia Meloni non ambiva a Palazzo Chigi in autunno, ieri ne ha avuta l'ennesima conferma. Manca un mese esatto a Natale e i due provvedimenti chiave dell'anno sono in grave ritardo: la Finanziaria e il Piano nazionale delle riforme. Ieri sera Giancarlo Giorgetti ha spedito a Bruxelles il Documento programmatico di bilancio, una sintesi in inglese della manovra in cui non è necessario entrare nel dettaglio di spese e coperture.
GIORGIA MELONI E URSULA VON DER LEYEN
La premessa firmata dal ministro del Tesoro spiega bene perché Meloni avrebbe atteso volentieri la consegna del timone: «Stiamo attraversando una fase di severa difficoltà a livello economico e sociale, e di grande incertezza». E ancora: «L'impennata del costo dell'energia minaccia la sopravvivenza delle nostre imprese. A marzo valuteremo nuove misure per contrastare il caro energia».
I conti non tornano, e lo conferma la cronaca di queste ore. Una volta approvato dal Consiglio dei ministri, il testo della Finanziaria dovrebbe essere depositato in Parlamento: nella migliore delle ipotesi ci arriverà lunedì mattina. La ragione dell'ulteriore ritardo è in alcune voci: Giorgetti e i tecnici del Tesoro non sono ancora riusciti a dare copertura a tutti e 35 i miliardi necessari a superare l'inverno e l'aumento dei costi energetici. Uno degli articoli da completare è quello che riformula la tassa sugli extraprofitti delle imprese energetiche, e sulla quale le resistenze delle lobby sono enormi.
GIANCARLO GIORGETTI E GIORGIA MELONI
Al netto dei ritardi, è difficile che Bruxelles bocci la Finanziaria. Ciò che rischia di rendere complicati i rapporti fra Roma e Bruxelles è semmai il dossier Pnrr. Ieri mattina Meloni e Giorgetti ne hanno discusso in una riunione con il ministro degli Affari comunitari Raffaele Fitto e dello Sviluppo Adolfo Urso. In quel caso il ritardo è più che preoccupante. Entro il 31 dicembre il governo deve rispettare i 55 obiettivi del secondo semestre e inoltrare a Bruxelles le richieste di modifica al piano. La decisione di accentrare attorno a Fitto le deleghe ha rallentato i tempi.
GIORGIA MELONI MATTEO SALVINI CONFERENZA STAMPA MANOVRA
Per cambiare passo ora si discute una bozza di decreto che dovrebbe permettere un monitoraggio più rapido delle opere deliberate, dare un quadro preciso dell'aumento dei costi da inflazione, permettere una riorganizzazione degli uffici che stanno seguendo l'iter. Due giorni fa, in apertura dell'Assemblea annuale dei sindaci, Sergio Mattarella aveva chiosato il discorso con un passaggio derubricato fra quelli dovuti: «Il Pnrr è un appuntamento che l'Italia non può eludere».
Oggi Meloni, di fronte alla stessa platea, l'ha citato pedissequamente. Quella frase cela la forte preoccupazione del Quirinale per il rispetto dei tempi e l'incasso della prossima rata da venti miliardi. Nel suo intervento ai sindaci (ieri) la premier ha lasciato traccia di quel che il decreto cercherà di risolvere: «Nel passaggio tra assegnazione e utilizzazione delle risorse emergono regole rigide, frammentate e complesse. Servono norme certe, semplici, stabili». Matteo Salvini, che ha voluto per sé il ministero delle Infrastrutture, è più preoccupato di lei: «Le opere pubbliche dovrebbero essere concluse, rendicontate e inaugurate nel 2026. Siamo a fine 2022 e la maggioranza dei cantieri non è partito».
DRAGHI MELONI
Per evitare incidenti i contatti fra Roma e Bruxelles sono continui. La velina diffusa ieri a Bruxelles prova la disponibilità ad ascoltare le richieste italiane, purché nel frattempo i cantieri procedano: «La Commissione europea si attende nei prossimi mesi diverse richieste di emendamenti dei Piani di ripresa e resilienza, si prevede anche dell'Italia», richieste che arriveranno «nel primo trimestre dell'anno prossimo». Quando non sono i ritardi, i problemi arrivano dai ricorsi: due giorni fa il Tribunale amministrativo di Bari ha bloccato il nodo ferroviario dell'alta velocità per salvaguardare una piccola area vincolata.
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