Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera”
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A Capodanno le donne americane avevano tagliato un traguardo storico: il sorpasso sugli uomini come numero di impieghi (al netto dell' agricoltura). Era successo solo una volta nella storia e per un breve periodo, durante la Grande recessione del 2009: una crisi soprannominata Mancession proprio perché aveva colpito soprattutto gli uomini, in grande maggioranza nei settori maggiormente penalizzati: industria, costruzioni e finanza.
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Poi, con la ripresa, gli impieghi maschili erano tornati a prevalere, ma di poco. E negli ultimi anni le donne avevano riguadagnato molto terreno per il forte aumento delle lauree al femminile e perché la crescita dell' economia si era concentrata in settori nei quali gli uomini sono in minoranza, dalla sanità al commercio. A dicembre 2019 il sorpasso col 95 per cento dei 145 mila nuovi posti di lavoro andati alle donne.
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I trend illustrano bene quello che è accaduto: industria (a grande maggioranza maschile) in calo di 19 mila addetti, mentre la sanità ne aveva guadagnanti 28 mila e le vendite al dettaglio 41 mila. Poi è arrivata la tempesta del coronavirus ed è cambiato tutto: non solo una recessione spaventosa che rischia di diventare depressione, ma anche un crollo che stavolta penalizza maggiormente le donne.
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A differenza di tutte le altre recessioni di origine economica che colpiscono in primo luogo industria, attività mineraria e costruzioni, cioè settori prevalentemente maschili, questa crisi di origine sanitaria ha provocato l' arresto totale dei servizi non essenziali a partire da quelli che impiegano il maggior numero di donne: scuola, sanità non Covid, alberghi, ristorazione, parrucchieri, estetica, igiene, vendite al dettaglio. Molte fabbriche e cantieri, invece, hanno continuato a lavorare, laddove era possibile rispettare le norme del distanziamento sociale.
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Secondo uno studio della Pittsburgh University condotto da un' economista italiana, Stefania Albanesi, negli Stati Uniti le donne coprono il 77 per cento dei posti di lavoro nei servizi che richiedono un contatto diretto con clienti, utenti e pazienti, dalla preparazione dei cibi alle cure mediche, a una vasta gamma di servizi alla persona. E l' 83 per cento delle decine di milioni di posti di lavoro persi dall' inizio della pandemia sono proprio in questi comparti.
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Così dietro i dati, comunque drammatici, della disoccupazione di aprile, salita in un mese dal 4,4 al 14,7 per cento (ma quella reale è molto maggiore), c' è la realtà di una nuova divaricazione: la disoccupazione maschile è al 13,5 per cento mentre quella femminile, che nelle altre recessioni precedenti non aveva mai varcato la soglia del 10 per cento, ora è al 16,2.
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Con la riapertura dell' economia questi numeri caleranno, ma per le donne sarà più dura recuperare, anche perché la perdurante chiusura delle scuole (e dei camp estivi per i ragazzi) penalizza soprattutto loro. Non è solo un problema sanitario e di disparità tra i sessi. La crisi al femminile avrà anche conseguenze economiche più generali sul calo del Pil: nelle recessioni «classiche» del passato i bilanci familiari venivano in parte riequilibrati dal fatto che le donne sposate che non lavoravano cominciavano a cercare impieghi anche part-time o poco retribuiti nei servizi per compensare la perdita di reddito dei mariti licenziati dalle industrie. Così anche la flessione dei consumi e la perdita di Pil erano attutite. Difficile che ciò avvenga stavolta: tutti i mestieri che occupano prevalentemente donne stanno licenziando o, comunque, non assumono.
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Il cuore nel problema è nella sanità che occupa soprattutto donne e che, con 19 milioni di addetti, è diventato il maggiore datore di lavoro d' America. Una dinamica ben nota anche in Italia dove gli organici del comparto medico sono composti all' 80 per cento da donne, come messo in luce, anche sulle pagine del Corriere e di 7, dagli articoli di Rita Querzè e Luisa Pronzato e da un recente intervento di Lia Quartapelle e Chiara Gribaudo.
Le donne sono le più colpite dalla disoccupazione, ma anche quelle che continuano a lavorare hanno i loro problemi: sono le più esposte al contagio. I lavori non interrotti perché considerati essenziali ma che comportano contatti diretti con altre persone, sono, infatti, svolti soprattutto da donne: dalle cassiere dei supermercati alle farmaciste passando per l' assistenza agli anziani, gli ambulatori e, soprattutto, gli ospedali dove 9 infermieri su 10 sono donne.
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E, anche se il Covid-19 sembra preferire i maschi, è femminile il 73 per cento del personale ospedaliero Usa infettato dal virus. E sono state sopratutto le donne, le infermiere, ad essere andate in piazza a contrastare solo col loro silenzio immobile e i volti segnati da settimane di emergenza senza tregua, le manifestazioni degli ultralibertari e della destra integralista che hanno bollato come fascisti i lockdown decisi per proteggere la popolazione dalla pandemia.