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    UNA MEDAGLIA PER DUE - ODIFREDDI IN LODE DI TAMBERI E BARSHIM, CHE HANNO DECISO DI SPARTIRSI LA MEDAGLIA D’ORO: “HANNO MOSTRATO CHE SI POSSONO DIMENTICARE E SUPERARE LE BARRIERE NAZIONALI. E POI HANNO INSEGNATO CHE SI PUÒ INTENDERE LA VITTORIA NON NEL SENSO AGGRESSIVO, TIPICAMENTE OCCIDENTALE, DI ARRIVARE ‘PRIMI FRA TUTTI’, MA IN QUELLO DIFENSIVO, TIPICAMENTE ORIENTALE, DI NON ESSERE ‘SECONDI A NESSUNO’” – MA DOVENDO SCEGLIERE TRA UNA MEDAGLIA D’ORO SICURA E IL RISCHIO DI PERDERLA, CHI AVREBBE FATTO DIVERSAMENTE?


     
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    Piergiorgio Odifreddi per "la Stampa"

     

    Pierre de Coubertin Pierre de Coubertin

    Le Olimpiadi moderne sono ovviamente ormai molto lontane dagli ideali del loro fondatore De Coubertin. Anzitutto, lui le aveva pensate a fine Ottocento per far dimenticare le rivalità nazionali, in particolare quelle che avevano portato nel 1870 a una guerra tra Francia e Prussia. Inoltre, per lui lo sport doveva essere un divertimento, e non una professione: dunque, alle Olimpiadi avrebbero dovuto partecipare solo i dilettanti. 

    medaglie OLIMPIADI TOKYO medaglie OLIMPIADI TOKYO

     

    Infine, e conseguentemente, aveva sposato il motto (non suo, ma del vescovo anglicano Ethelbert Talbot): «L'importante non è vincere, ma partecipare». Naturalmente le utopie presto o tardi cedono il passo al realismo, e oggi nessuno condivide più quegli ideali. Gli atleti sono in buona parte professionisti, e per guadagnare devono invece sposare il motto «l'importante non è partecipare, ma vincere». 

     

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    Gli spettatori, dal canto loro, non sono affatto interessati a che «vinca il migliore», ma a che «vincano i nostri»: cioè, considerano le Olimpiadi come «una guerra combattuta con altri mezzi», come novelli Clausewitz. Per tutti questi motivi, è doppiamente sorprendente che nel salto in alto Mutaz Barshim e Gianmarco Tamberi abbiano deciso di comune accordo di spartirsi la medaglia d'oro, dopo essere finiti in parità. 

     

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    Anzitutto, perché hanno mostrato che si possono dimenticare e superare le barriere nazionali. E poi, perché hanno insegnato che si può intendere la vittoria non nel senso aggressivo, tipicamente occidentale, di arrivare «primi fra tutti», ma in quello difensivo, tipicamente orientale, di non essere «secondi a nessuno». Sembra solo un gioco linguistico, ma in realtà è una rivoluzione copernicana nello sport: la stessa che corre, nell'etica, tra il detto evangelico «fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te», e il detto confuciano «non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te». 

     

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    La moderna teoria dei giochi insegna d'altronde che il saggio comportamento adottato da Barshim e Tamberi è quello che porta ai cosiddetti "equilibri di Nash", inconsciamente parafrasato da Italo Calvino in "Se una notte d'inverno un viaggiatore" nella massima: «A volte il meglio che si possa ottenere è di evitare il peggio». 

     

    Nel caso dei due atleti, per ciascuno di loro il peggio sarebbe stato perdere, e per evitarlo entrambi hanno accettato di condividere la vittoria. E le regole olimpiche la pensavano esattamente come loro, anche se quasi nessuno lo sapeva (nemmeno i due atleti): infatti, prevedevano di assegnare due medaglie d'oro, per una vittoria a pari merito, e non due d'argento, per una sconfitta a pari merito. 

     

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    Volendo, il motto di De Coubertin potrebbe dunque essere riformulato come: «L'importante non è vincere, ma non perdere». Sicuramente la decisione è stata più sportiva che andare a uno spareggio, che avrebbe falsato il risultato di parità della gara: a volte così succede in altri sport, dove si arriva persino a tirare una monetina pur di arrivare a determinare un vincitore, e si lascia al caso la decisione di chi è il "migliore", che finisce per essere assurdamente identificato con il più fortunato. 

     

    tamberi barshim 1 tamberi barshim 1

    Dietro i due opposti atteggiamenti stanno in realtà due concetti diversi, ben noti in matematica: il "primo fra tutti" determina un unico elemento "massimo" fra i partecipanti, mentre il "secondo a nessuno" determina gli elementi "massimali", che possono anche essere più d'uno. L'idea che in una graduatoria ci debba sempre essere un massimo è tipico delle classificazioni lineari, com' erano ad esempio quelle delle specie animali da Aristotele al primo Lamarck, nelle quali il massimo era ovviamente l'uomo. 

     

    MUTAZ BARSHIM E GIANMARCO TAMBERI MUTAZ BARSHIM E GIANMARCO TAMBERI

    La possibilità che ci siano invece elementi massimali è tipico delle classificazioni ad albero, come sono invece quelle delle specie animali dal secondo Lamarck e Darwin a noi, nelle quali l'uomo è soltanto una foglia terminale di uno dei tanti rami dell'albero della vita. I premi Nobel accettano tranquillamente il fatto che ci siano dei «pari merito», e infatti assegnano ogni anno fino a tre medaglie nelle discipline scientifiche. 

     

    Forse anche lo sport dovrebbe adeguarsi, e far diventare la sportiva decisione di Barshim e Tamberi la norma, invece che l'eccezione. Non lo farà, ma è bello che almeno per una volta due atleti abbiano dimostrato di essere veramente sportivi, e non solo competitivi.

    MUTAZ BARSHIM E GIANMARCO TAMBERI MUTAZ BARSHIM E GIANMARCO TAMBERI TAMBERI E BARSHIM TAMBERI E BARSHIM MUTAZ BARSHIM E GIANMARCO TAMBERI MUTAZ BARSHIM E GIANMARCO TAMBERI MUTAZ BARSHIM E GIANMARCO TAMBERI MUTAZ BARSHIM E GIANMARCO TAMBERI MUTAZ BARSHIM E GIANMARCO TAMBERI MUTAZ BARSHIM E GIANMARCO TAMBERI MUTAZ BARSHIM E GIANMARCO TAMBERI MUTAZ BARSHIM E GIANMARCO TAMBERI LA DOPPIA PREMIAZIONE DI GIANMARCO TAMBERI E Mutaz Barshim LA DOPPIA PREMIAZIONE DI GIANMARCO TAMBERI E Mutaz Barshim

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