Giulia Zonca per “La Stampa”
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Bisognerà smettere di scrutare le facce di Marcell Jacobs e iniziare a guardarlo correre. Perché è un piacere e soprattutto perché è quello che sa fare, come nessun altro in circolazione, come pochi al mondo.
Il campione olimpico si prende il titolo Europeo dei 100 metri ed è inutile ridurre in scala la portata del successo dopo tutto quello che è capitato tra i due ori. Conta che abbia di nuovo la bandiera legata in vita, come la porta lui e che sia sbucato fuori tra due inglesi che pensavano di poterlo fregare, che hanno immaginato di riuscirci e uno, l’argento Hughes, ha pure pensato di avercela fatta. Invece il podio dice così: Jacobs 9”95, primato dei campionati europei uguagliato, Hughes 9”99 e Azu 10”13.
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Bruciare 100 metri in un tempo che non è il tuo perché una stagione di tormenti ti ha insegnato persino a frenare non è così scontato: «C’era tensione, la partenza non è stata granché. Ne sono uscito bene, meno male. Ho sentito il polpaccio chiudersi prima della semifinale. Avevo la testa piena di cattivi pensieri. Semplice contrattura, fortunatamente, ma la stagione è stata tutta complicata».
Tanto che sarebbe stato semplice archiviarla come persa, almeno quella all’aperto, perché a marzo Jacobs ha vinto un Mondiale indoor e con tutti gli specialisti al coperto. Una conferma che però non è bastata per tenersi al riparo dai dubbi quando tutto è iniziato a girare storto. E il mondo intero si è messo a scrutare la sua faccia.
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Il volto patito al ritorno dal Kenya, dopo la gastroenterite, le smorfie alla prima uscita stagionale a Savona dove si ferma per la prima volta, l’espressione tirata alla presentazione del Golden Gala che non correrà e ancora occhi spavaldi prima di altri ritiri e lo sguardo serio ai campionati italiani di Rieti per guardare cronometri distanti da lui e la sicurezza sfoggiata in viso ai Mondiali di Eugene per poi ritirarsi in batteria. Una collezione di mimiche e intensità di occhiate, studiate più delle sue falcate e delle sue partenze.
Fino a qui, a Monaco, dove prima di essere l’unico italiano dopo Mennea re dei 100 metri agli Europei è ancora quello che si porta addosso una serenità diversa per poi essere il favorito che irrigidisce le mascelle perché all’improvviso ha il taping addosso e chi lo osserva si chiede se sarà davvero pronto a correre. Sì, Jacobs non ha avuto incertezze.
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Il suo tecnico e mentore, Paolo Camossi, racconta i minuti prima della finale: «È stato bravissimo lui, forse non avrebbe dovuto rischiare ma ha voluto farlo e adesso ha zittito tutti quelli che lo hanno messo in discussione. L’ha voluta vincere. In batteria è stato imbarazzante da quanto si è mosso bene».
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Nella batteria, chiusa in 10” netti senza tirare affatto, si è vista la sua capacità di alzare la frequenze, il suo talento, poi di nuovo la tensione, il dolorino, ma non era proprio il momento di fare la calcoli, lui voleva uscire da mesi di stallo, in fretta: «Sono contento e soddisfatto, anche se il tempo non è il top. Cerco sempre il meglio. Metà delle persone non pensavano nemmeno sarei venuto qui. Ma il lavoro paga e la dedica e per chi ha creduto in me e pure per chi non lo ha fatto. Se sto bene, vedrete ancora grandi cose. Chi mi dà contro mi trasmette ancora più energia per andare sempre più forte».
Non è il Jacobs spensierato che si è stretto il nodo del tricolore sul fianco dopo le Olimpiadi, però la bandiera sta ancora lì, appesa allo stesso modo, su un altro oro. Uno di quegli ori puri che vanno bene così, senza nessuna faccia da metterci sopra.
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