Fabio Amendolara per “la Verità”
alberto cisterna
C’è un magistrato di lungo corso, ex procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia, che sostiene di avere ancora impresse sulla pelle «le stimmate» del «triangolo disegnato da Luca Palamara», quello che all’incrocio di ognuno dei tre lati trova un elemento del Sistema: «Procure, giornalisti e forze di polizia». Una santa alleanza che ha consentito il perpetrarsi di un certo tipo di potere. Più oscuro di quello esecutivo o legislativo, ma più decisivo: il potere giudiziario.
Palamara Vietti Napolitano
A Roma si dice che il procuratore valga due ministri e, infatti, per quello di Roma, nel 2019 il Sistema scatenò l’inferno e insieme con Palamara ghigliottinò l’incolpevole Marcello Viola, che stava per assurgere a un soglio a lui precluso dalla formidabile saldatura tra pm, giornaloni e investigatori contrari a quella nomina perché non garantiva la continuità con il procuratore uscente Giuseppe Pignatone, il convitato di pietra anche della nostra storia di oggi.
pignatone
Da un’audizione in Commissione parlamentare antimafia che risale al 2022 saltano fuori le pesantissime dichiarazioni con le quali Alberto Cisterna, attuale presidente della Tredicesima sezione del Tribunale civile di Roma, ha descritto il muro di gomma contro cui sbatte da ormai oltre dieci anni, ovvero da quando alla Procura nazionale antimafia era diventato scomodo.
marcello viola procuratore generale firenze 2
Pur conoscendo dall’interno ogni singolo ingranaggio del meccanismo rivelato da Palamara, Cisterna non è riuscito a schivare i colpi che l’hanno quasi abbattuto. «Io la forza del Sistema l’ho provata a mie spese», dice alla Verità Cisterna. «Perché», afferma, «se ti trovi in mezzo a un qualcosa che riguarda la Presidenza della Repubblica, le carriere dei magistrati e i rapporti di questi con i servizi segreti, non se ne può uscire, è un groviglio inestricabile».
alberto cisterna
Per comprendere questa affermazione bisogna fare un passo indietro e tornare al 2004. Cisterna era già alla Direzione nazionale antimafia quando concorre per un posto da capo ufficio alla Procura di Palmi, in provincia di Reggio Calabria. «Era una domanda esplorativa, vista l’anzianità dei concorrenti», ammette. Poi spiega: «Arrivati al momento decisivo bisognava guadagnarsi i voti delle correnti. A quel punto occorre scendere a patti e andare a chiedere con il cappello in mano».
PIGNATONE PALAMARA
Lui non lo fece e gli venne preferita un’altra toga. «Quando mi sono lamentato per l’esclusione», racconta, «mi sono sentito rispondere “ma non ci hai detto che ci tenevi”. Al momento della domanda, però, non c’era una casellina da sbarrare con su scritto “ci tengo molto”». All’epoca credeva che tutto si giocasse sulle esperienze e sulla carriera.
«Ma», ricorda Cisterna, confermando l’esistenza dei giochetti raccontati Palamara, «mi venne detto che i curricula non contavano, che non venivano aperti e che bisognava regolarsi nel mercato delle nomine». Ciò che conta, invece, denuncia Cisterna, «è costruirsi una reputazione che non sia solo professionale, ma anche mediatica». È necessario pure avere una buona rete di informatori e notizie sugli altri magistrati. Perché come si sa la conoscenza è potere.
Pasquale Condello
Una fabbrica dei dossier che produrrebbe «morti e feriti, gravi e meno gravi», spiega Cisterna, secondo il quale «questo Sistema» non solo non garantirebbe «la selezione dei migliori», ma addirittura la scoraggerebbe. Ed ecco il groviglio che ha tirato fuori durante la sua audizione (in parte secretata) in Commissione parlamentare antimafia. Un collega che stava dando la caccia a uno dei più importanti latitanti calabresi che, non a caso, era soprannominato il Supremo, Pasquale Condello, gli riferisce che una fonte sarebbe disposta a dare una mano per acciuffarlo.
A una condizione, però: non voleva parlare né con la polizia giudiziaria, né con i magistrati di Reggio Calabria, perché non si fidava. Mentre Cisterna cerca una soluzione, incontra nei corridoi della Procura nazionale antimafia un ex colonnello dei carabinieri passato al Sismi, il vecchio servizio segreto militare, che gli dice di occuparsi proprio della cattura dei latitanti. A quel punto Cisterna decide di mettere in contatto lo 007 e la fonte che dice di avere informazioni sul Supremo. «Vado dal procuratore Pierluigi Vigna», racconta Cisterna, «lo informo e mi dice di procedere».
PierLuigi Vigna
Così la barba finta e la gola profonda entrano in contatto. «Per me la questione finisce lì», dice Cisterna. Ma si sbaglia. L’uomo che aveva messo in contatto con i servizi, qualche anno dopo, finisce in un’inchiesta di Reggio Calabria con l’accusa di essere coinvolto in alcuni attentati svolti contro alcuni magistrati locali. In pratica un presunto confidente di Cisterna è sospettato di voler ammazzare altre toghe. «Quando ammetto che questa persona l’avevo messa in contatto con i servizi, è scoppiato un putiferio», ricorda la toga.
DNA - DIREZIONE NAZIONALE ANTIMAFIA
«Mi hanno chiesto di sapere perché fossi in contatto con il Sismi. Benché io abbia chiesto più volte l’audizione del dottor Vigna affinché confermasse la mia versione, non è stato ascoltato». Il Sistema comincia a muoversi. Il procedimento che porta al suo trasferimento dalla Procura nazionale antimafia a un altro ufficio dura solo 12 giorni. Lui riesce a ottenere due annullamenti dalla Cassazione. «La terza volta», racconta per dare un peso all’accanimento, «non c’erano componenti del collegio compatibili, perché tutti mi avevano già giudicato».
Loris D’Ambrosio
Mentre cerca di difendersi, a livello disciplinare, da accuse kafkiane che lo dipingono come un pm che chissà cosa trama con i servizi segreti, ecco che arriva un’accusa ancora più grave ed entra nella storia anche la Presidenza della Repubblica. Cisterna viene accusato di corruzione da uno strano collaboratore di giustizia, Antonio Lo Giudice, in un procedimento poi rapidamente archiviato.
alberto cisterna
Ma prima di venire prosciolto, il magistrato ha il tempo di scoprire qualcosa di davvero sorprendente: «Trovo tra le carte dell’inchiesta una nota datata 27 luglio 2011 indirizzata al Quirinale e, per la precisione al consigliere giuridico di Napolitano (Giorgio, all’epoca presidente della Repubblica, ndr), Loris D’Ambrosio, con la quale l’allora capo della Squadra mobile di Reggio Calabria trasmette una nota redatta dal dottor Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica di Reggio Calabria su questa vicenda».
giuseppe pignatone lirio abbate e antonello ardituro
Cisterna non ha mai capito perché la sua vicenda giudiziaria dovesse interessare il Colle. Comprende, invece, dopo poco tempo di essere finito in un meccanismo infernale che lo sta per stritolare.
Una morsa in cui è fondamentale il ruolo della stampa.
Il magistrato viene convocato a Reggio Calabria per essere sentito da Pignatone. Convinto di risolvere la questione in pochi minuti si presenta senza avvocato. «Chiamato a rendere un interrogatorio in maniera assolutamente riservata mi sono ritrovato quella stessa mattina in prima pagina sul Corriere della sera con un articolo a firma di Giovanni Bianconi», ricorda Cisterna. Il giornalista a cui Pignatone affiderà la sua ultima intervista alla vigilia della pensione, oltre che il cronista che farà esplodere il caso Palamara con il suo scoop.
Giovanni Bianconi
L’articolo si intitola: «Indagato il vice di Grasso alla Procura antimafia. Un pentito: Cisterna pagato per una scarcerazione». L’inchiesta ha appeal mediatico e il cronista, una sorta di biografo di Pignatone, canta le gesta dell’inquirente, citato per nome nelle prime righe per questa sua clamorosa inchiesta. Specificando che la Procura ha già inviato le carte dell’indagine al Csm e al procuratore generale della Cassazione. È la cronaca della fine di una carriera. Dopo appena otto mesi Pignatone sarà proclamato procuratore di Roma in un plenum del Csm a cui prenderà parte Napolitano in persona.
PIGNATONE PALAMARA
Il giudice ancora oggi vorrebbe delle spiegazioni: «Qualcuno mi dovrà prima o poi spiegare come mai il verbale di chi mi aveva accusato sia finito su quella prima pagina del Corriere della sera, giornale che era a conoscenza di un atto che credo non avesse nessuno in quel momento a disposizione se non la Procura di Reggio Calabria o pochissime altre persone legittimamente delegate».
Il suo accusatore, tra l’altro, sarà processato e condannato per calunnia in primo grado a 5 anni. «La sua scarsissima attendibilità avrebbe dovuto essere evidente al dottor Pignatone e ai suoi collaboratori dal primo momento in cui entrati in contatto con questo personaggio. Avrebbero dovuto comprendere subito che si trattava di un calunniatore» protesta il giudice. Il quale presenta un esposto, ma nessuno procede per la fuga di notizie.
giovanni bianconi foto di bacco
«La Procura generale avoca le indagini, dicendo ai pm “ma qui che avete fatto? Non avete svolto neanche un minimo di accertamento?”». Alla fine il procedimento viene archiviato perché erano passati tre anni, i tabulati erano stati cancellati e quindi non era stato possibile risalire a chi avesse avvisato Bianconi. A questo punto Cisterna tira le somme: «La polizia giudiziaria, Pignatone e Bianconi. Quando si parla del triangolo descritto da Palamara io so cosa voglia dire».
GIOACCHINO GENCHI
Ormai Cisterna è diventato un bersaglio. Quando ha accesso al fascicolo scopre anche l’esistenza della registrazione di un colloquio tra un giornalista del Sole 24 ore e il superconsulente delle procure, Giacchino Genchi, l’uomo famoso per la pesca a strascico con i tabulati telefonici, l’esperto a cui si era affidato Luigi De Magistris per «pescare» anche Romano Prodi e Clemente Mastella. La conversazione viene registrata un mese prima che si acquisisca la notizia di reato che ha portato all’ iscrizione sul registro degli indagati di Cisterna.
«Genchi», ricorda il giudice, «riferisce che stava svolgendo accertamenti sui miei tabulati e su quelli di un altro collega e al giornalista dice una frase emblematica, questa: «Le indagini sono come la maionese, se vengono versati tutti gli ingredienti all’interno del minipimer, la maionese non esce. Bisogna metterli un po' alla volta».
ANTONIO DI PIETRO CIRCONDATO DAI GIORNALISTI
Solo un mese prima l’ex leader dell’Italia dei valori Antonio Di Pietro aveva presentato un’interrogazione parlamentare contro Cisterna. «A quel punto», racconta il bersaglio mobile, «io lo affronto, chiedo di parlargli e lui spontaneamente ammette che era stato Genchi a suggestionarlo e a indurlo a firmare questa interrogazione. Quindi io chiedo di sapere quando sia stata preparata la maionese, chi l’abbia servita e chi siano stati gli chef».
«Io», conclude Cisterna, «ho fatto quattro o cinque denunce, a Pignatone, a Genchi, al capo della Squadra mobile di Palermo e ai giornalisti». «Francesco Viviano da Palermo, che pubblica una notizia su Repubblica che pure non si sa da dove arriva, Giuseppe Lo Bianco, Fatto quotidiano, da Palermo».
alberto cisterna
E ha riflettuto a voce alta davanti agli esponenti della Commissione antimafia: «Che cosa volete che pensi? Che qualcuno con buoni agganci a Palermo ha fatto pubblicare notizie in loco su tutto ciò che era necessario per costruire e tenere vivo il fuoco di questa vicenda? E quindi si soccombe, nei limiti nei quali è necessario che si soccomba».
Uno dei grandi colpi del Sistema.