Carlo Fusi per "Il Messaggero"
LaRussa IgnazioMa insomma la destra, che fine ha fatto? Inutile cercarla dalle parti del governo: nè, un ministro, né un vice, e nemmeno un sottosegretario appartengono a quel mondo che solo nella passata legislatura aveva un centinaio di parlamentari nelle coorti dei berluscones. Altrettanto inutile inseguirla nei meandri dei moderato-conservatori.
Gianni AlemannoCi sono, è vero, tracce sparse in Parlamento o in qualche Consiglio regionale sotto questa o quella sigla: ma in generale quella costituency che fino a ieri compulsava fiera le tabelle elettorali ora le guarda con il crescente terrore di finire ammucchiata nella mesta e indistinta categoria "altri". E allora? Beh, diciamo che, non potendo più contare su una rappresentanza politica propria e riconoscibile, ci sono alcuni milioni di elettori che si sono intruppati sotto le insegne del Cavaliere.
FINI SI CHIAMA FUORI
Al momento sembrano destinate a restarci. Perché ci si trovano bene. Praticamente tutti i report, infatti, e ultimo quello stilato dall'istituto di ricerche sociopolitiche di Arnaldo Ferrari Nasi, dicono due cose. Primo, gli elettori di destra non vedono un leader con le stimmate del loro mondo nel quale riconoscersi.
Cancellato Gianfranco Fini - che invece per anni li aveva fatti sognare portando fin nella stanza dei bottoni governativa una classe dirigente nata e cresciuta nel mito dell'Msi, di Almirante e dell'opposizione perpetua intesa come orgogliosa non commistione - adesso sugli epigoni di quella stagione: da La Russa a Storace, da Gasparri a Matteoli, si è posata la polvere del deja vu: la più ostica da mandare via. Secondo, gli elettori di destra stanno con Berlusconi perché lo considerano l'unico in grado di battere l'avversario di sempre, l'odiata sinistra. Tutti gli altri sono cloni per di più sono in odore di centrismo. Una specie di marchio d'infamia.
MATTEOLIDIASPORA COME IL PSI?
Messa così, sembra che per chi votava An (il simbolo della Destra di Storace sulla scheda elettorale c'è; quello di Fratelli d'Italia pure), si spalanchi la voragine del destino che ha contraddistinto nella prima Repubblica il Psi: diaspora o annientamento. Al tempo stesso, però, è difficile credere che milioni di elettori con un fortissimo tratto identitario si rassegnino ad ammainare ogni loro bandiera.
Anche perché sono tanti i pezzi di ex apparato che non si rassegnano alla pensione. E infatti le iniziative si moltiplicano. Fli ha chiuso i battenti ma Roberto Menia si è accollato il compito di cucire i pezzettini sparsi per l'Italia: è andato in Sicilia per una iniziativa con Domenico Nania, ex vicepresidente del Senato. A Roma, Silvano Moffa e Pasquale Viespoli hanno riunito i loro aficionados di Azione popolare: c'erano anche Gennaro Malgieri e Landolfi. A metà giugno, a riunirsi saranno i Fratelli d'Italia di La Russa. A luglio è prevista la convention di Storace.
Nel frattempo, l'europarlamentare ex finiano Potito Salatto ha creato, con Salvatore Tatarella, l'associazione "Popolari italiani per l'Europa". Dietro parecchie di queste sortite, seguendo lo spartito di una regia felpata e accorta, c'è l'ex ministro Andrea Ronchi, uno dei pochi (meglio: l'unico) che parla con tutti e con il quale tutti parlano. E poi c'è la partita romana: la più importante di tutte.
Roberto MeniaLA PARTITA PER IL CAMPIDOGLIO
Già, perché per il Campidoglio è in pista Gianni Alemanno, l'unico esponente di destra che guida una amministrazione di grande prestigio e visibilità. Se dovesse essere rieletto, diventerebbe inevitabilmente lui il riferimento della destra sparsa e smarrita. Si vedrà.
L'impresa di riunire ciò che la vicenda politica ha sparpagliato è difficilissima, forse impossibile. Bisogna individuare una piattaforma di valori e di credibili parole d'ordine. Serve tenacia e lungimiranza. Serve pragmatismo. «Se a un uomo di destra glielo togli, non gli resta niente» amava dire Pinuccio Tatarella, la mente più lucida di quel mondo, la cui prematura scomparsa ha reso orfani tanti.