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    LA DISCESA DI CHRISTO NELLA CAPITALE: NEL 1974 L’ARTISTA SCOMPARSO DI RECENTE E LA MOGLIE JEANNE CLAUDE IMPACCHETTARONO LE MURA AURELIANE ALL’ALTEZZA DI PORTA PINCIANA – “C’ERA ANCHE GENTE CHE GRIDAVA "MA CHE È ‘STA BUFFONATA? ANCHE GLI OPERAI ERANO SCETTICI ALL’INIZIO, POI DIVENNERO I PRIMI DIFENSORI DELL’IMPACCHETTAMENTO. QUEI BATTIBECCHI CON GLI AVVENTORI DI DONEY E HARRY’S BAR CHE VENIVANO SOTTO A CRITICARE..."


     
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    Stefano Ciavatta per esquire.com

     

    Nel freddo gennaio del 1974 la coppia di artisti Christo e Jeanne-Claude impacchettarono di nylon bianco con delle grosse corde arancioni i quattro archi di Porta Pinciana alla fine di Via Veneto e davanti a Villa Borghese.

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    Siamo lungo il tracciato delle bimillenarie Mura aureliane, il monumento più grande di Roma, il sogno più ambito, il segno più duraturo della città. Nata senza fastosità, per gli storici Porta Pinciana funzionò agli inizi come porta di servizio per le ville retrostanti, senza far capo a una strada principale. Il collegamento remoto con via Salaria vecchia lo scoprirà il fondatore dell’archeologia cristiana, Antonio Bosio, ma nel XVII secolo. Quando divenne monumentale nelle dimensioni non bastarono comunque a reggere l’urto del sacco di Alarico.

     

    La gloria arrivò dopo: Porta Pinciana divenne il campo strategico del generale bizantino Belisario che respinse dopo un anno l’assedio dei goti di Vitige, il barbaro che tagliò il rifornimento d’acqua degli acquedotti, in gran parte mai più riattivati. Poi venne inglobata nella magnificenza e nell’oscuro destino di villa Ludovisi, finì murata e ci stesero i panni, poi rottamata nel DNA con Porta Pia e riaperta solo a fine 800 a reggere da sola per decenni il suo passato devitalizzato.

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    Nella Roma modernissima e pacifica del triumvirato Fellini, Flaiano, Pinelli, la Porta divenne il termine ultimo delle vasche della Dolce Vita. Da metà anni 90 lo slargo ai suoi piedi è intitolato a Fellini e suona un po’ kitsch. Al di là sta il dolce assillo di Villa Borghese e i motori sempre accesi del Muro Torto, passaggio a nord-ovest del traffico centrale capitolino.

     

    L’installazione esposta per quaranta giorni faceva parte della mostra Contemporanea per gli Incontri Internazionali d’Arte (30/11/73 - 28/02/74), a cura di Achille Bonito Oliva, all’epoca 35enne, che però si svolse nel garage sotterraneo di Villa Borghese progettato da Luigi Moretti. Una catacomba moderna, mentre a Roma si salivano le scale al Palazzo delle Esposizioni e della Gnam, che il warholiano Gregory Battock raccontava così a Domus: "non c'è posto dove ci si possa sedere, non c'è un bar, grandi spazi vuoti, un freddo pavimento che stanca i piedi.

     

    Si pensa a come sarebbe bello poter girare in macchina dentro la mostra, il primo museo-drive in del mondo". Alla luce del sole arrivano invece Christo e Jeanne-Claude pronti per l’exploit, e trova il giovane Massimo Piersanti, fotografo ufficiale di Contemporanea, che racconta a Esquire quei giorni mitici.

     

    christo christo

    "Christo aveva presentato un provino anche per Ponte Sant’Angelo ma poi Contemporanea scelse le Mura. Già prima di Natale mandai allo studio di New York delle polaroid scattate a Porta Pinciana, che poi Christo riutilizzò cucendole sopra una tela. Dell’allestimento se ne occupò lo studio specializzato di Maurizio Puolo. Christo arrivò col suo gallerista Guido Le Noci e montò il lavoro. Via via arrivarono altri fotografi, compreso Harry Shunk, il fotografo personale di Christo, a cui l’artista pagava la vita. Mica solo l’affitto, persino il dentista!

     

    C’era anche Vittorio Biffani che documentò dal 26 al 29 gennaio i quattro giorni di realizzazione. Tutti scattavano dalla strada e da in fondo a via Veneto. Ma così l’impacchettamento risultava un enorme muro di ghiaccio. Invece volevo che si vedesse che si trattava di Roma e delle Mura aureliane: e così salii sulle terrazze del Grand Hotel Flora e poi del Jolly che oggi è l’NH, perché almeno c’erano i pini sullo sfondo. Il lavoro fu premiato e Christo scelse le mie foto per le tirature ufficiali".

     

    Labili le tracce di polemiche politiche contro il permesso dato ai due artisti dal Comune di Roma. Il dc Nistri presentò in consiglio regionale un'interrogazione nella quale criticava "la stravagante iniziativa" e "lo scempio di buon senso" nell’imballare le Mura. Sempre Piersanti racconta: "Ci fu qualcosa, ma insignificante come protesta, si spense subito". L’opera non venne bocciata dai romani, pur diffidenti all’insegna del "tanto dura poco".

     

    christo jeanne claude christo jeanne claude

    A volte Roma è preparata, a volte no, ma respinge senza vere motivazioni. Continua Piersanti: "Le reazioni dal basso furono invece immediate, c’era anche gente che passava e gridava ma che state a fa? che è ‘sta buffonata? Anche gli operai erano scettici all’inizio, poi però divennero i primi difensori dell’impacchettamento. Ci furono battibecchi storici tra gli operai in piedi sulle Mura e gli avventori di Doney e Harry’s Bar che venivano sotto a criticare".

     

    Come fece Christo a ottenere i permessi nella Roma democristiana del sindaco Clelio Darida? "Fu grazie ai buoni uffici della Lonardi, che era legata al principe Aldrombrandini - racconta Piersanti- ne rimanemmo tutti stupiti. Neanche Bonito Oliva saprebbe rispondere a questa domanda. Il garage era di proprietà del Vaticano e ci diedero un intero piano!".

     

    Nel colophon della mostra alla voce "promozione, organizzazione e coordinamento culturale" compare infatti il nome di Graziella Lonardi Buontempo, mecenate, collezionista, fondatrice degli Incontri Internazionali d'Arte, una figura fondamentale nel mondo dell’arte senza mai rivestire ruoli istituzionali (l’editore Iacobelli ha pubblicato un’antologia di interviste e interventi sul lavoro della Lonardi).

     

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    Il critico e curatore Costantino D’Orazio la descrive a Esquire come "una promotrice trasversale, una grande mediatrice. Parlava la lingua degli artisti e dei politici, quando la politica era più forte e l’opinione pubblica contava meno. Era irresistibile: si mise al servizio del mondo dell’arte e rese possibili sogni per molti irrealizzabili: riaprì le porte del Palazzo delle Esposizioni per una mostra ormai storica, Vitalità del negativo, ottenne il via libera per l’impacchettamento di Christo e per l’appuntamento tra il Papa e Andy Warhol. Amava le sfide. Quella follia degli anni 70 con lei diventava sempre realtà".

     

    Gino Barioli, direttore del museo civico di Vicenza, mandò una lettera al Corriere della sera commentando la foto-notizia dell’avvio dell’impacchettamento: "Perfetto era l'imbarazzo della didascalia.

     

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    Penso che il Corriere abbia voluto suggerire al lettore mediamente provveduto qualche considerazione sullo stato attuale delle arti, sul modo in cui vengono tutelati i monumenti e sulla maniera con cui in tempi di austerity viene usato del danaro che si presume pubblico per operazioni destinate a recuperare non bistecche o petrolio o quadri o documentazioni del nostro sul serio passato, ma brividi di intensa metafisica per il piacere di pochi". Un’obiezione replicabile a oltranza.

     

    In realtà l’empaquetage da 7mila metri di tela seal e 2000 metri di corda fu finanziato con la vendita degli studi preparatori di Christo: disegni, collage, modelli in scala, oltre che da precedenti opere e litografie. Gli artisti poi non accettarono sponsorizzazioni. Il rimpianto della Lonardi fu piuttosto per i cinquanta disegni preparatori di Christo, "lo Stato non volle intervenire e non rimasero a Roma".

     

    christo e jeanne claude 1964 chelsea hotel christo e jeanne claude 1964 chelsea hotel

    A parte il vento e il freddo durante i lavori, andò tutto liscio. Tranne la notte tra il 5 e il 6 febbraio quando venne versata della benzina su uno dei teloni che prese fuoco. "Incendiato l’art imballo" titolò L’Unità in un boxino. Motivo? Probabilmente semplice vandalismo. Ma il telo era stato scelto volutamente ignifugo e la tremenda umidità della notte romana fece il resto.

     

    Una foto del fotografo romano Gianni Termorshuizen immortalò il commento "IMMANE CAZZATA!" lasciato a sfregio sul telone. Le foto di Biffani raccontano invece la cura di Christo e della sua squadra, sempre col naso all’insù, ottimisti non solo che il coniglio esca perfettamente dal cilindro ma che non si rovini il cilindro stesso. I lavori di entrambi i fotografi (non più viventi) sono state esposti nel 2017 nella mostra The Wall, Wrapped Roman Wall curata dalla Libreria-Galleria di Giuseppe Casetti.

     

    L’opera di Christo e Jeanne-Claude divenne con mesi di ritardo la vera porta della mostra ma non ebbe mai un richiamo in prima pagina sulla grande stampa romana. Piuttosto ci andava l’austerity per la crisi petrolifera e il carovita, i rincari della benzina e le domeniche a piedi, tanto che in alcune foto dell’impacchettamento non ci sono macchine, la lotta sul prezzo del pane, la stangata su rosette e ciriole, con serrate dei fornai e arresti dei leader. L’ultima notte di Porta Pinciana impacchettata fu quella tra sabato 9 e domenica 10 marzo. Dopo 40 giorni, Christo e una commissione di tecnici sciolsero l'imballaggio, la struttura venne smontata e riciclata.

    christo e jeanne claude christo e jeanne claude

     

    Nei desiderata romani di Christo c’erano ancora il Pantheon, il Colosseo, la cupola di San Pietro, ma rimasero inevasi. L’amministrazione sentenziò: "la ripartizione comunale delle Belle Arti esclude che siano previsti almeno per il prossimo futuro altri interventi di Christo sui monumenti della capitale". E così fu. Addio, signor Christo Yavachev.

    christo ponte sant'angelo christo ponte sant'angelo

     

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