Estratto dell’articolo di Emilia Costantini per il Corriere della Sera
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Perché lei è stata soprannominata «furibonda» e «gramigna»?
«Da adolescente ero arrabbiata, mi sembrava tutto ingiusto ciò che era capitato: mia madre è morta quando ero una bambina e, dopo la sua morte, mio padre non c’era mai. Il soprannome “gramigna” mi fu affibbiato da una zia, diceva che crescevo come una selvaggia».
Selvaggia e un po’ antipatica?
«Posso esserlo molto: di fronte a un’ingiustizia da parte di persone prepotenti, non sono una che subisce. Reagisco ai soprusi, anche a quelli subiti da persone a me vicine.
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Una mia amica veniva picchiata dal marito, ma non diceva niente, subiva zitta e buona.
Un giorno sono andata a casa sua molto risoluta e ho aggredito quel maledetto: mi sono beccata uno schiaffo da lui, ma sono riuscita a portare via la mia amica».
Oltre ai soprannomi, lei ha un nome che è lo pseudonimo di Nicoletta?
«Assolutamente no! Mia madre, da ragazza, studiava inglese da una suora australiana, cui era molto affezionata, e che si chiamava Nancy. Quando poi si è sposata e nacqui io, andò a trovare la suora che si complimentò e le suggerì con affetto di chiamarmi proprio Nancy.
Ma quando con mio padre andarono all’anagrafe per registrarmi, l’ufficiale addetto non aveva capito come si scriveva il mio nome e lo scrisse Nenzi, come si pronunciava. I miei genitori gli fecero notare l’errore e lui rispose scocciato: “A ‘sta regazzina je dovete trova’ un nome facile da scrivere e da pronuncia’!”. E venne fuori Nicoletta, ma il mio primo nome è Nancy».
Mamma scomparsa troppo presto, papà assente.
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«Io non riuscivo a capire la sua malattia. Rimasi sorpresa un giorno a scuola, dove tutti mi trattavano molto bene, tutti gentilissimi, poi scoprii che mamma era morta quel giorno. Prima della sua scomparsa eravamo una famigliona, poi il vuoto assoluto, non c’era più nessuno a darmi una carezza. Ho vissuto la sua morte come se fosse avvenuta per colpa mia, non l’ho accettata, un blocco totale».
Con chi è cresciuta?
«Con mia nonna paterna, molto maschilista, tutte le sue attenzioni erano rivolte a mio fratello. Era autoritaria e non sopportava i miei lunghi capelli biondi: erano impegnativi, ma tanto belli, e me li tagliò».
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Un sergente di ferro?
«Basti dire che a 18 anni sono arrivata all’autolesionismo: provocarmi tagli, graffi, strapparmi i capelli... un modo per provare dolore fisico e placare la sofferenza interiore. Negli anni ho tentato di sbloccarmi con l’ipnosi e dopo vari tentativi sono riuscita un po’ a superare almeno l’angoscia. Solo grazie alla nascita di mio figlio Francesco ho accettato l’idea di avere un futuro: prima di lui, potevo morire in qualunque momento, mi andava bene così... poi, con il suo magnifico arrivo nella mia vita, ho deciso di andare avanti».
L’arrivo di un bel figlio, avuto da Luca Manfredi, e anche un bel lavoro. In questo periodo è in tournée, insieme a Chiara Noschese, con lo spettacolo «Manola» di Margaret Mazzantini...
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«Sì un bel lavoro che, dopo il Covid, ho avvertito come una missione. Mi sono detta: abbiamo tutti bisogno di alleggerirci, le persone hanno necessità di sollevare lo spirito. Con questa commedia ci siamo riuscite. È una maratona impudica, divertente e commovente, che svela l’intimità femminile, nelle varie problematiche».
Problematiche alle quali lei si dedica con la Onlus WeWorld.
«Da parecchio tempo mi occupo dei problemi delle donne che subiscono violenza di genere. Diamo loro il coraggio di denunciare, troviamo per loro possibilità lavorative e rifugi sicuri».
Le donne subiscono anche discriminazioni nel lavoro per l’età.
«Verissimo e, in particolare, nel mio lavoro. Intorno ai 45 anni sei troppo giovane per fare la vecchia e, in seguito, sei troppo vecchia per fare la giovane. Una discriminazione che i colleghi non subiscono».
E lei è mamma con due matrimoni alle spalle, una lunga convivenza e una storia d’amore burrascosa...
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«Con Massimo Ghini ci siamo sposati per allegria, e siamo amici. Il secondo matrimonio, con Luca, è stato importante e lui sarà sempre presente nella mia vita. Con Roy De Vita è rimasta un’idea di famiglia. Ivano Fossati era eccessivamente geloso: una volta mi allenta uno spintone e gli ho mollato un calcio molto forte. Io, nelle discussioni, cerco di essere ragionevole, ma se mi parte la brocca... Fa parte del mio carattere romano».
Ma è vero che, oltre alla romanità, ha origini ucraine?
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«Pare che io abbia un trisavolo ucraino e che avrei addirittura il titolo di contessa di Budzak... ma che è? Boh!».
È vero che una volta affrontò addirittura le tigri?
«Un’avventura incredibile, successa in un circo 30 anni fa, che accettai per beneficenza. Mi sono divertita parecchio, anche per il rituale. All’inizio dovevo farmi accettare dalla tigre femmina più vecchia del gruppo, altrimenti non sarei potuta entrare in gabbia. L’animale mi girò intorno, puntandomi con grande attenzione, poi andò via... mi aveva accettato. Sono bestie pericolose, maestose, ma sono prigioniere e bisogna rispettarle».
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