Estratto dell’articolo di Alfio Sciacca per il “Corriere della Sera”
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La casa dove Concetta Marruocco è stata massacrata con 15 coltellate è un piano basso in uno stabile alla periferia del paese. Una palazzina giallo ocra. Tutto attorno non si scorge un negozio o un bar. Zona decisamente isolata. A proteggerla dal marito che lei aveva denunciato dopo venti anni di violenze e abusi c’era dunque «solo» il divieto di avvicinamento a meno di 200 metri e il braccialetto elettronico.
Che però non ha funzionato. E non avrebbero funzionato neanche i due dispositivi collegati al braccialetto che avevano Concetta e la figlia. O meglio dei due se ne sarebbe attivato solo uno, ma quando l’uomo era già in casa loro. «I dispositivi sono stati sequestrati ed attendiamo l’esito degli accertamenti tecnici — dicono gli inquirenti —. Alle forze dell’ordine comunque non è arrivato alcun alert». Dopo l’arresto, Franco Panariello il braccialetto lo aveva alla caviglia. Quindi se non se n’è disfatto restano in piedi solo le ipotesi di un guasto o della manomissione.
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In ogni caso un gran pasticcio che ha lasciato totalmente indifese Concetta e la figlia. Cauta Monica Garulli, a capo della Procura di Ancona, che aggiunge un’altra considerazione. […] Un punto sul quale insiste anche il centro antiviolenza «Artemisia» che l’aveva aiutata a denunciare il suo aguzzino. «È proprio il sistema del braccialetto che lascia a desiderare — dice la presidente Pina Tobaldi — . Spesso si rompono o non funzionano. Inoltre può essere una misura non determinante, soprattutto se l’ordine restrittivo è a una distanza limitata. Forse l’unico modo per mettere al sicuro Concetta sarebbe stato ospitarla in una struttura protetta per vittime di violenza».
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Come era già successo. Panariello è entrato in casa della moglie con una copia delle chiavi. «L’ho trovata per caso alcuni giorni fa», ha detto dopo l’arresto. Ma anche se non avesse avuto le chiavi, entrare in casa della moglie alle tre di notte sarebbe stato facile. Attorno a porte e finestre, esposte su tre lati, c’è solo una ringhiera di appena un metro.
Eppure i segnali di quanto fosse pericolosa e concreta la minaccia per la donna c’erano tutti. Basta leggere l’ordinanza che ha disposto il divieto di avvicinamento. Le violenze erano iniziate nel 2004 «quando per futili motivi la prendeva per il collo e le sbatteva la testa contro la parete e lei, per sottrarsi, era costretta a fuggire nella caserma dei carabinieri».
Più volte poi «la picchiava in presenza della figlia e di altri familiari». In un caso «afferrava una bottiglia e le urlava: “te la rompo in faccia te ne devi andare”», costringendola a scappare». O quella volta «che l’afferrava per il collo sbattendole la testa contro l’armadio, urlando Tr...di mer..». E poi le violenze sessuali e i maltrattamenti ai figli. Lei aveva sopportato per venti, lunghi anni. Ma a inizio 2023 aveva trovato il coraggio di dire basta. […]
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