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    “PAPÀ TROVAVA SILVIO BERLUSCONI MOLTO SIMPATICO E DIVERTENTE” – LA FIGLIA DI EUGENIO SCALFARI, DONATA, RIVELA A CAZZULLO: “PRIMA DELLA GUERRA DI SEGRATE PER IL CONTROLLO DI MONDADORI E DI REPUBBLICA, SI VEDEVANO SPESSO AD ARCORE: CONFALONIERI SUONAVA AL PIANO LE CANZONI CHE PIACEVANO A MIO PADRE, BERLUSCONI LE CANTAVA, GLI MOSTRAVA L’ALCOVA CON IL LETTONE TONDO E LA PORTICINA SEGRETA PER LE FUGHE D’EMERGENZA, POI PORTAVA GLI OSPITI A PASSEGGIO NEL PARCO FINO AL MAUSOLEO, DOVE PROPOSE PURE A CARACCIOLO DI FARSI SEPPELLIRE AL SUO FIANCO. CON PAPÀ NON OSÒ” – L’INVENZIONE DELLA “BACERIA”, LA BIGAMIA, L’IDEA DI UN GIORNALE CON MONTANELLI E L'INCONTRO CON BUSCETTA


     
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    Estratto dell’articolo di Aldo Cazzullo per il “Corriere della Sera”

     

    donata e enrica scalfari distribuiscono copie di repubblica donata e enrica scalfari distribuiscono copie di repubblica

    […] Donata Scalfari, qual è il suo primo ricordo di papà?

    «Ho tre anni. Mia sorella Enrica sta uscendo per andare a scuola, e io piango perché voglio andarci pure io. Papà ne è felice: “Benissimo, da domani va alla Montessori pure Donata”».

     

    […] Era un padre affettuoso?

    «Era molto fisico. Fino a novant’anni giocava per terra con mio figlio Simone. Quando eravamo piccole si era inventato la “baceria”, una raffica di baci, e il “settebaleno”, una pernacchia sul collo, cui seguiva il solletico... Era il modo in cui finivano le sue favole».

    DONATA E EUGENIO SCALFARI DONATA E EUGENIO SCALFARI

     

    Vi raccontava le favole?

    «Sì, ma non Cappuccetto Rosso e Biancaneve. Favole di sua invenzione. Quando ci imboccava parlava di Frolindo, che doveva mangiare una montagna di maccheroni; per anni Frolindo è stata la mia password. Ma la sua preferita era la storia di Fusariello».

     

    Chi?

    «Fusariello era un bambino alto meno di un filo d’erba. Un giorno una mucca lo mangiò, e la mamma lo cercava disperata, finché udì una vocina: sono nella mucca nera! Ma la mucca nera assicurò di non aver mangiato Fusariello. Di nuovo la vocina: sono nella mucca bianca! Anche la mucca bianca negò. Alla fine la vocina disse: sono nella mucca d’oro! Era vero, e per evitare di aprire la pancia della vacca bisognò darle una purga. Così Fusariello uscì tutto sporco, e noi qui cominciavamo a ridere, finché papà gridava: spazzola e striglia! Quello era il segnale d’inizio della baceria».

     

    EUGENIO SCALFARI CON LE FIGLIE DONATA E ENRICA EUGENIO SCALFARI CON LE FIGLIE DONATA E ENRICA

    Suo padre è stato uno degli uomini più potenti d’Italia. Chi veniva a casa vostra?

    «Molti artisti: Franco Angeli, Perilli, Giosetta Fioroni con Parise, Enzo Siciliano, Alberto Moravia, che era molto aperto, alla mano».

     

    Politici?

    «Una volta venne a pranzo Berlinguer, e io che ero iscritta alla Federazione giovanile comunista lo guardavo adorante. Ma il mio amore era Antonio Giolitti, un uomo bellissimo.

    Venivano anche Luciano Lama, Ciampi, Lombardi. E i democristiani: De Mita, Andreatta, Cossiga. Io scrivevo sui muri Kossiga con la kappa ed ero perplessa, ma papà mi disse: la democrazia significa confronto con l’altro, anche con chi non la pensa come te. Cossiga divenne una sorta di zio, lo vedevamo spesso, era un uomo molto spiritoso. Veniva con il suo braccio destro Luigi Zanda, che portava Grazia, la moglie. La misteriosa moglie di Cossiga invece non si vedeva mai».

     

    DONATA E EUGENIO SCALFARI DONATA E EUGENIO SCALFARI

    Come avvenne la rottura tra lui e suo padre?

    «Era stato papà nel 1985 a suggerire il suo nome a De Mita per il Quirinale, e a schierare Repubblica per Cossiga presidente. Ma non condivise la fase delle picconate».

     

    Il vero grande nemico era Craxi.

    «Sì. Però si sentivano regolarmente. Si studiavano, si parlavano. Mio padre lo metteva in guardia sulla corruzione che stava divorando il partito socialista; Craxi rispondeva sì sì, però non faceva nulla. Da qui nacque Ghino di Tacco […]».

    eugenio scalfari con la figlia donata nel 1968 eugenio scalfari con la figlia donata nel 1968

     

    Scalfari riconobbe che aveva avuto «la grandezza della fine».

    «È vero. Per mio padre però il Craxi di Hammamet non era un esule, era un latitante».

     

    L’altro grande nemico fu Berlusconi.

    «Papà lo trovava molto simpatico, molto divertente. Prima della guerra di Segrate per il controllo di Mondadori e di Repubblica, si vedevano spesso ad Arcore: Confalonieri suonava al piano le canzoni che piacevano a mio padre, Berlusconi le cantava, gli mostrava l’alcova con il lettone tondo e la porticina segreta per le fughe d’emergenza, poi portava gli ospiti a passeggio nel parco fino al mausoleo, dove propose pure a Caracciolo di farsi seppellire al suo fianco. Con papà non osò».

    EUGENIO SCALFARI CON LE FIGLIE DONATA E ENRICA EUGENIO SCALFARI CON LE FIGLIE DONATA E ENRICA

     

    Lei Donata come finì a lavorare a Mediaset?

    «Per caso. Ero in Rai con Mino Damato, al tempo delle passeggiate sui carboni ardenti, e con due colleghe preparammo un progetto: un tg per i ragazzi delle medie. Siccome una di noi conosceva Marinella, la segretaria di Berlusconi, glielo mandammo, e lui ci chiamò. Mi fece qualche battuta sul mio cognome; e approvò il progetto. Che non si fece mai. Ma mi mandarono a lavorare al programma di Arrigo Levi».

     

    EUGENIO SCALFARI CON LE FIGLIE DONATA E ENRICA EUGENIO SCALFARI CON LE FIGLIE DONATA E ENRICA

    Suo padre parlava del giornale in casa?

    «Di continuo. Era come se Repubblica fosse un’altra figlia, oltre all’azienda di famiglia. Una volta mio marito Ettore lo vide chiedere la colla ai grafici e sdraiarsi a riattaccare un ciuffo di moquette. Ma se aveva uno scoop, lo teneva per sé. Lo leggevamo il giorno dopo sul giornale, ci arrabbiavamo, e lui rideva: “Ti pare che lo venivo a dire a te?”. Il massimo fu quando con Giuseppe D’Avanzo intervistò Tommaso Buscetta».

     

    Il boss pentito.

    «Venne a casa nostra. Il giorno prima arrivarono i carabinieri per la bonifica. Io seguivo la mafia e pregai mio padre di assistere al colloquio, ma lui fu irremovibile, mi cacciò di casa: “Al massimo può entrare in stanza la mamma a portare un caffè”».

     

    E sua madre?

    la famiglia scalfari donata enrica eugenio e la moglie serena rossetti foto di bacco la famiglia scalfari donata enrica eugenio e la moglie serena rossetti foto di bacco

    «Incuriosita ed emozionata, portò il caffè. Tutto quello che riuscì a dire a Buscetta fu: “Sono felice di conoscerla”. Non se lo perdonò mai: “Ho detto una frase così a un assassino!”».

     

    Sua madre Simonetta era figlia di Giulio De Benedetti, il leggendario Ciuffettino, dal 1948 al ’68 direttore della Stampa. Com’erano i rapporti con suo padre?

    «Non facili. Anche il nonno aveva la passione delle favole, ci raccontava di aver incontrato i folletti nelle sue celebri passeggiate nei boschi di Rivoli, che erano il pretesto per sfuggire alle telefonate di Valletta e, credo, incontrare qualche signora. Per il resto, nonno Giulio era un uomo severo, anche con mamma. Aiutò mio padre, gli presentò il gruppo di Pannunzio e Arrigo Benedetti con cui andava in vacanza alle Focette; ma non gli piaceva Repubblica . Troppo moderna, anche nella grafica; e lui aveva già 86 anni. Non capiva la vignetta di Forattini in prima pagina».

    scalfari berlusconi scalfari berlusconi

     

    E Scalfari?

    «Ci restava male: “Io stavolta a Rivoli non vengo, così vostro nonno non mi rompe le scatole!”».

     

    Con Montanelli com’era il rapporto?

    «Si stimavano, si parlavano. Prima della nascita del Giornale e di Repubblica , mio padre gli propose di fare un quotidiano insieme: Indro direttore e lui condirettore. In privato però a volte sbuffava: “Ma chi l’ha detto che Montanelli sia il più bravo di tutti?”».

     

    E il rapporto con Bocca?

    «Non strettissimo. Ricordo una telefonata drammatica quando papà vendette Repubblica a Carlo De Benedetti: urla, pianti, preghiere...».

    paolo mieli foto di bacco paolo mieli foto di bacco

     

    La Repubblica di Scalfari arrivò a superare il Corriere. Nel 1996 se ne andò lui di sua volontà? O lo mandarono via?

    «Disse che era meglio andarsene un minuto prima di essere cacciati. Propose la successione a Bernardo Valli, che rifiutò. C’era Paolo Mieli, che era un po’ il suo figlioccio, l’erede, il maschio che non aveva avuto. Ricordo che veniva qui a intervistarlo per la sua biografia, fino a quando mio padre disse: “Ma perché io devo farmi scrivere la biografia da Paolo Mieli?”. E scrisse “La sera andavamo in via Veneto”».

    giulio anselmi giulio anselmi

     

    Però Mieli nel 1996 era direttore del Corriere.

    «Appunto. E per mio padre era un po’ troppo terzista. Qualcuno propose Giulio Anselmi; ma con Repubblica non c’entrava nulla. Ezio Mauro invece era stato corrispondente da Mosca. Il connubio Scalfari-Mauro fu strettissimo, soprattutto i primi anni. Anche se mio padre considerava Veltroni più adatto di D’Alema a guidare un partito riformista moderno. Anni dopo, quando nacque il Pd, apprezzò molto il suo discorso del Lingotto. Da lì ora bisognerebbe ripartire».

    enrica e donata scalfari enrica e donata scalfari

     

    Che padre era Eugenio Scalfari?

    «Tenero, giocoso. E ansioso. […]Per stare bene aveva bisogno che stessero bene tutte le persone cui teneva; inclusi i suoi giornalisti. Quando ne vedeva uno storto, lo chiamava, lo interrogava, si faceva spiegare i suoi problemi e cercava di risolverli; compresi quelli sentimentali».

     

    Lei quando si accorse che aveva un’altra compagna oltre a sua madre, un’altra vita?

    «Lo sapevano tutti, anche mamma, anche mia sorella, anche Ettore; tranne me. […]».

     

    ezio mauro ezio mauro

    Ma nella sua vita era entrata Serena Rossetti. Lei come lo seppe?

    «Avevo 27 anni, stavo venendo qui, in questa casa, con un’amica, Alessandra. Parlavamo di come fossero cambiati i rapporti tra le coppie, e Alessandra disse: “Be’, pensa alla storia di tuo padre e Serena...”. Serena chi? Accostai, fermai la macchina. La mia amica avrebbe voluto sprofondare: “Donata, ma lo sanno tutti...”. E in effetti lui un week-end su due spariva, ufficialmente per andare a Milano...».

     

    EUGENIO SCALFARI INDRO MONTANELLI EUGENIO SCALFARI INDRO MONTANELLI

    Come la prese?

    «Capii, accettai. Mia sorella ci soffrì moltissimo. Nostra madre ovviamente non era contenta. Papà cominciò a dire, anziché “vado a Milano”, “vado da Serena”, alla luce del sole. Alla fine mamma era quasi sollevata: quando lui non c’era si sentiva libera di vedere gli amici, andare al cinema, viaggiare: Yemen, Sudafrica, Caraibi. Era ai Caraibi quando ci fu un tifone: papà non sapeva nulla, i capiredattori di Repubblica scelsero di non dare la notizia per non allarmarlo, ma il Tg5 ci aprì, e lui si agitò moltissimo: la mamma, il tifone... Papà non era un grande viaggiatore».

    eugenio scalfari eugenio scalfari

     

    Come mai?

    «Andò una volta in America per una conferenza, ma il volo gli era pesato. Quando ci fu un terremoto nell’Urss di Gorbaciov ci portò a San Pietroburgo a consegnare il denaro raccolto dai lettori. Ma per lui i viaggi erano Parigi, Londra, Venezia. Morì senza essere mai stato, che so, a Gerusalemme».

     

    Come nacque il rapporto con Papa Francesco?

    «Gli aveva rivolto alcune domande su Repubblica, senza pensare che avrebbe risposto.

    INDRO MONTANELLI EUGENIO SCALFARI INDRO MONTANELLI EUGENIO SCALFARI

    Un giorno la signora di servizio nella nostra vecchia casa di via Nomentana, che era molto cattolica, trovò una lettera e riconobbe il sigillo vaticano. La aprì, era lunghissima, ed era firmata da Papa Francesco. Poi fece l’intervista, ripresa in tutto il mondo. Bergoglio gli telefonava a ogni compleanno. Quando mio padre stette male si preoccupò: “E adesso chi avverte il Papa?».

    eugenio scalfari ciriaco de mita eugenio scalfari ciriaco de mita

     

    Scalfari è stato giornalista sino alla morte, a 98 anni. Quale fu il segreto della sua longevità?

    «La testa. La curiosità, oltre ovviamente al Dna. […] era un grande mangiatore, fumatore, bevitore, ha avuto il diabete per quarant’anni. Dopo il primo attacco di pancreatite gli tolsero il vino, poi riprese a bere, ebbe il secondo attacco, dovette rinunciare ma ci soffrì. […] ».

     

    […] Il ritratto che lei traccia di Scalfari non fa pensare a un uomo di sinistra, o comunque a un marxista.

    EUGENIO SCALFARI EUGENIO SCALFARI

    «Marxista non fu mai, comunista men che meno. Era un liberale. Un radicale di prima di Pannella. Un keynesiano che voleva favorire l’evoluzione del Pci, perché si affrancasse dall’Unione Sovietica».

     

    Del Duce cosa diceva?

    «Raccontava di essere stato fascista, fino a quando lo cacciarono per aver denunciato le ruberie dei gerarchi che stavano costruendo l’Eur. […] Suo padre non aveva mai accettato il passaggio dal dannunzianesimo al regime: un giorno papà lo sorprese mentre sputava allo specchio, addosso alla propria immagine». […]

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