Mario Baudino per La Stampa
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Non era una modella qualsiasi, quella che giocò a scacchi, nuda, con Marcel Duchamp, in una delle foto più celebri dell' arte contemporanea. Anzi, non era affatto una modella, ma uno dei personaggi chiave della Los Angeles folle, creativa, libera e naturalmente trasgressiva, quando non si parlava di Silicon Valley ma di cinema, arte, design. Eve Babitz, figlia di un' artista e di un musicista, aveva avuto Igor Stravinsky per padrino, Greta Garbo, Charlie Chaplin e Bertrand Russell come amici di famiglia. Si era gettata sulla scena di L.A. facendo la groupie sulla scena rock, disegnava le copertine dei dischi - tra gli altri dei Buffalo Springfield o di Janis Joplin -, scriveva per le riviste, presentò Frank Zappa a Salvador Dalí.
Era infine, come le piaceva aggiungere in coda alle sue declinazioni di generalità, una scrittrice: che sfiorò il successo vero senza conquistarlo del tutto, forse oscurata da Joan Didion (la celebrata autrice di L' anno del pensiero magico , considerata «la» scrittrice di Los Angeles per eccellenza), forse semplicemente perché non era la sua ora. O anche per un terribile incidente che le cambiò la vita, spingendola nell' isolamento. Ma questo accadde molto più tardi, nel '97, quando, tornando da un party, venne avvolta dalle fiamme mentre fumava un sigaro in auto; e visto che non aveva assicurazione sanitaria, tutta la comunità artistica di Los Angeles si diede da fare con una gigantesca colletta per pagarle le cure.
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Ora, a distanza di anni, è stata riscoperta grazie alla ristampa dei suoi primi libri per la collana della New York Review of Books dedicata alla riscoperta di opere dimenticate del Novecento. In America il successo critico è stato enorme - come non fu all' epoca delle prime uscite - e così quello di pubblico, tanto che è in preparazione una serie televisiva sui suoi anni ruggenti, quando lei scriveva, viaggiava instancabilmente e collezionava amanti destinati a diventare molto noti come Harrison Ford e soprattutto Jim Morrison, che scrisse per lei L.A. Woman.
Bella e imperfetta Era bella, in modo non convenzionale. Nella foto con Duchamp, scattata nel '63, ha vent' anni, il volto nascosto dai capelli e si nota che è leggermente sovrappeso, caratteristica che accettava volentieri: «Sono sei chili sovrappeso, cosa di cui a volte mi dimentico […], ho un aspetto come invincibile e non mostro mai nessuna delle qualità femminili tanto elogiate nei secoli, come la modestia, il tatto o la dolce vulnerabilità», scrive in Slow Days, Fast Company , una sorta di memoir in forma di racconti-reportage, in uscita per Bompiani la settimana prossima, che conserva il titolo originale e ha per sottotitolo Il mondo, la carne, L.A . La carne è importante. Uomini (e donne) si innamoravano, o la desideravano follemente.
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E lei si identificava con la sua città imperfetta e seducente, e con quel mondo frenetico, come in uno specchio: «Che male c' era a pensare che ero comunque bella? Del resto L.A. è bella, e non è né affascinante né perfetta».
I temi di questo libro si accavallano con andamento sussultorio e ondulatorio, proprio come un terremoto: intorno ai suoi amori c' è la vita nello stesso tempo frenetica e lenta di una città dove si sta mettendo in discussione tutto, persino il cinema, dove ci si perde nella macchina di Hollywood, ci si droga, si beve, si va per vigneti, si parla continuamente di arte e di soldi - e ci sono in giro moltissimi italiani, compresa una carismatica fotografa predatrice di maschi e femmine, la misteriosa Isabella Farfalla.
La foto con Duchamp assume rispetto a tutto ciò un senso altamente iconico. Eve Babitz spiegò poi d' averla fatta - al Pasadena Art Museum su improvvisa proposta di Julian Wasser, fotografo di Time - per ripicca nei confronti di un amante (sposato). Lui non l' aveva invitata all' inaugurazione della mostra, lei c' era andata lo stesso covando propositi di vendetta. È proprio vero?, le chiediamo via mail, dato che ci ha promesso - non accade molto spesso - qualche risposta da Los Angeles.
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Verissimo, dice: «Volevo fare un dispetto a un boyfriend, ma è inutile tornarci sopra. Era un altro tempo, nessuno ora si comporterebbe così. Sarebbe una faccenda così scorretta politicamente, a tutti i livelli».
L' arte dell' adulterio Sicura? «Tutti, da giovani, facciamo cose che forse non rappresentano proprio la migliore idea. Detto questo, è una foto meravigliosa, e dice molto del tempo in cui fu scattata. Di che cosa allora era accettabile, e di quel che non lo è più». Aleggia un certo rimpianto per quei tempi in cui era «impossibile dire se uno era ispirato, o se fosse la cocaina, o cos' altro» - la Babitz sa essere sempre appassionata e ironica - e in cui dichiarava orgogliosamente: «Sono convinta che l' adulterio sia una forma d' arte. In Francia, giocano praticamente a carte scoperte ed elevano le storie d' amore ad avventure creative quali di fatto sono, perché per gran parte della gente sono le uniche avventure creative che mai vivranno. Le uniche occasioni che avranno di vedere il paradiso».
Slow Days, Fast Company sembra riecheggiare la Parigi di Henry Miller o di Ernest Hemingway, anarchica, folle e dotata di un' energia travolgente.
Il paragone non le dispiace: «Sì, mi accade di pensare che qualche volta avrei voluto essere là». Dove si poteva vivere quasi senza soldi. Invece, nella Los Angeles degli Anni Settanta, ne parlavate tantissimo, come di un' ossessione. «Io ne ho avuti sempre molto pochi, anche se sono riuscita a vivere con una pienezza meravigliosa. Ma è dura essere creativi quando non hai da mangiare o non sai come pagare l' affitto!».
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Joan Didion, che gode di una solida fama anche accademica, era riuscita a entrare nel cratere di Los Angeles e guardarne in volto tutto il rovinoso orrore. Eve Babitz mostra che sui bordi del cratere la vita può essere molto interessante, e valer la pena di essere vissuta.
Chissà che il nuovo successo dei suoi libri non abbia a che fare proprio con questo.
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