Legale Berlusconi, intollerabili le accuse infondate di mafia
(ANSA) - "Sono accuse infondate e offese gravissime che calpestano la storia di un uomo che, oltre ad essere uno dei più grandi imprenditori italiani, ha ricoperto per ben quattro volte il ruolo di Presidente del Consiglio" secondo Giorgio Perroni, avvocato di Silvio Berlusconi, quelle pubblicate oggi da diverse testate quanto detto da Massimo Giletti ai magistrati di Firenze, che lo hanno sentito, sul fatto che Salvatore Baiardo gli mostrò una foto di Berlusconi, allora non ancora sceso in politica, il generale dei carabinieri Francesco Delfino e il boss Giuseppe Graviano.
SILVIO BERLUSCONI FILIPPO GRAVIANO FRANCESCO DELFINO - ILLUSTRAZIONE IL FATTO QUOTIDIANO
"Da almeno un quarto di secolo tutte le più assurde accuse di presunta mafiosità contro Silvio Berlusconi si sono sempre dimostrate false e strumentali, tant'è vero - ha sottolineato il legale - che ogni volta gli stessi inquirenti hanno dovuto ammettere che erano infondate, disponendo l'archiviazione di tutti i vari procedimenti penali. Ora viene riattivato il circo mediatico, questa volta attorno a una foto spuntata all'improvviso dopo trent'anni, la cui esistenza è smentita dal diretto interessato". "
Tutto questo avviene perché la stampa ha in mano documenti che non potrebbero circolare in quanto coperti da segreto istruttorio, senza che peraltro la magistratura si attivi in modo deciso per mettere fine a una fuga di notizie che va avanti da troppo tempo. A tal proposito - ha annunciato Perroni -, ci riserviamo di adire in tutte le competenti sedi giudiziarie contro questo uso indegno di informazioni riservate". "Va poi detto che questa fuga di notizie e il clamore mediatico che ne consegue sono ancor più intollerabili, e lo dico in questo caso non solo da avvocato di Silvio Berlusconi, ma anche da cittadino, perché si verificano proprio nei giorni in cui il Presidente è ricoverato e sta combattendo una battaglia molto delicata. Quanto dovremo continuare a tollerare- ha concluso - un sistema in cui i processi si fanno prima sui giornali che nei tribunali, in violazione della legge e senza alcun rispetto per le persone?". (ANSA).
SALVATORE BAIARDO E BERLUSCONI - ILLUSTRAZIONE DEL FATTO QUOTIDIANO
IL RACCONTO DI UNA FOTO CON BERLUSCONI E GRAVIANO NELLE DEPOSIZIONI DI BAIARDO E GILETTI
Estratto dell’articolo di Giuseppe Pipitone per www.ilfattoquotidiano.it
Il giovane boss di Cosa nostra, l’imprenditore rampante e il generale dei carabinieri che si occupava di rapimenti nella Milano degli anni ’70. Graviano, Silvio Berlusconi e Francesco Delfino ritratti nella stessa fotografia. È uno scatto fantomatico quello che si allunga sullo sfondo della chiusura del programma di Massimo Giletti decisa a sorpresa da La7.
[…] a tenere banco nel day after dello stop alla trasmissione è ancora una volta l’ospite più controverso delle 194 puntate di Non è l’Arena: Salvatore Baiardo, l’uomo che ha curato la latitanza dei fratelli Graviano e che dagli schermi di La7 ha “profetizzato” l’arresto di Matteo Messina Denaro.
[…] Contattato dal quotidiano Domani, Baiardo ha alzato la posta sul tavolo, raccontando il contenuto del suo incontro col procuratore aggiunto Luca Tescaroli. “Lunedì scorso sono stato ascoltato dalla procura dal dottor Tescaroli, e mi ha riferito che Giletti ha detto che gli avrei mostrato delle fotografie che ritraggono Berlusconi con Graviano e il generale Delfino“.
salvatore baiardo massimo giletti non e l'arena 6
Un episodio che, se confermato, sarebbe esplosivo. Baiardo, però, non è un collaboratore di giustizia ma un favoreggiatore dei boss che hanno fatto le stragi: dice e non dice, annuncia rivelazioni che poi smentisce. E infatti subito dopo nega tutto: “Non è vero, è falso, non gli ho mai fatto vedere queste foto. Loro dicevano: Giletti le ha viste, Giletti le ha viste, ma non è vero. Io sono stato anche perquisito, ma non hanno trovato niente“.
[…] In tutta questa storia di sicuro c’è solo che Giletti è stato effettivamente sentito come teste per ben due volte dalla procura di Firenze: pochi giorni prima di Natale e poi di nuovo il 23 febbraio scorso. Nello stesso periodo gli è stata rafforzata la protezione, che gli era stata assegnata nel 2020 per le minacce pronunciate in carcere da Filippo Graviano, il cervello economico del clan di Brancaccio, fratello maggiore di Giuseppe, che invece era l’uomo d’azione della famiglia.
Fino a questo momento Giletti non ha smentito quanto sostenuto da Baiardo, cioè di aver raccontato ai pm di aver visto queste foto con un giovanissimo Graviano (non è chiaro se fosse Filippo o Giuseppe), Berlusconi e il generale Francesco Delfino. È opportuno sottolineare ancora una volta che fino a prova contraria questi scatti non esistono.
graviano berlusconi
È facile però intuire perché una vicenda del genere abbia catalizzato l’interesse della procura di Firenze, che sta ancora indagando su Berlusconi e Marcello Dell’Utri per le stragi del ’93. Intanto perché nel 1996, molti anni prima di “predire” l’arresto di Messina Denaro, Baiardo è stata la prima persona a parlare di rapporti economici tra il braccio destro dell’uomo di Arcore e i fratelli Graviano.
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[...] Accusa tutte da dimostrare e che i legali del leader di Forza Italia hanno sempre smentito. È un fatto, però, che i boss di Brancaccio hanno trascorso parte della loro latitanza nella stessa zona in cui dimorava proprio il generale Delfino, il terzo personaggio immortalata nella fantomatica fotografia citata dai racconti di Baiardo e Giletti.
Tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, infatti, i Graviano si muovevano tra Milano e Omegna, sul lago d’Orta. È lì, di fronte all’Isola di san Giulio, che li accoglie Baiardo, gestore della storica Nuova Gelateria Pastore, nel centro della cittadina del Verbano- Cusio-Ossola.
DELLUTRI, BERLUSCONI
[…] Nei primi anni ’90 Baiardo diventa il gestore della latitanza dei fratelli siciliani: li presenta come suoi amici industriali, gli apre il conto corrente in una banca della zona, li porta in giro con la sua Mercedes 190. A Milano, ad Alessandria, ma pure a Orta, all’Hotel San Giulio, dove il boss avrebbe incontrato Berlusconi, secondo quanto sostenuto dall’ex gelataio davanti alle telecamere di Report. A venti chilometri di distanza […] dimorava Delfino, proprietario di una splendida villa a Meina, sul lago Maggiore.
[...] Delfino era a Brescia ai tempi della strage di piazza della Loggia, per la quale fu processato e assolto. Poi, nel 1977, va a lavorare a Milano: indaga sui sequestri di persona, che in quel periodo spaventano a morte gli imprenditori lombardi.
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Compreso Silvio Berlusconi, che nel 1974 aveva assunto come fattore nella sua villa di Arcore un siciliano di nome Vittorio Mangano. “Eravamo negli anni 70, e la faccia di Mangano poteva tenere lontani i malintenzionati in un periodo violentissimo della storia di questo paese. C’erano i rapimenti allora“, ha ammesso di recente al Foglio Dell’Utri: pure lui in quel periodo lascia Arcore per andare a lavorare agli ordini di Filippo Alberto Rapisarda, un finanziere siciliano trapiantato a Milano, amico di molti boss di primo piano di Cosa nostra.
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Sui metodi seguiti per risolvere i sequestri di persona, spesso organizzati da altri calabresi, il generale Delfino finirà sotto inchiesta due volte: archiviato nel 1994, nel 2001 sarà condannato per truffa ai danni della famiglia di Giuseppe Soffiantini. Tra le sue varie e misteriose avventure c’è anche quella di essere stato l’unico agente segreto italiano presente a Londra dopo la morte di Roberto Calvi, il presidente del Banco Ambrosiano trovato impiccato sotto al ponte dei Frati Neri nel 1982.
VITTORIO MANGANO
Nel 1992, quando i Graviano si muovono da mesi tra Milano e Omegna, Delfino viene mandato a comandare i carabinieri in Piemonte. Sarà una casualità, ma all’epoca si trova in Piemonte pure Balduccio Di Maggio, un mafioso di San Giuseppe Jato che a Riina faceva da autista, ma che era fuggito dalla Sicilia perché temeva di essere ucciso da Giovanni Brusca, il boia della strage di Capaci.
Di Maggio si ripara a Borgomanero, provincia di Novara, 15 chilometri dalla villa di Delfino a Meina, poco più di venti dalla gelateria di Baiardo a Omegna, dove spesso si vedono i Graviano. L’8 gennaio del 1992 arriva una soffiata ai carabinieri, che si fiondano in una carrozzieria e arrestano Di Maggio.
ARRESTO DI TOTO RIINA
Il mafioso chiede subito di parlare col generale Delfino, dice di conoscerlo bene. A lui racconta subito una cosa molto interessante: sa come arrivare a Riina, il capo dei capi di Cosa nostra che ha appena ucciso Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Una vera fortuna per Delfino, che solo pochi mesi prima, subito dopo la strage di via d’Amelio, aveva chiesto d’incontrare l’allora guardasigilli, Claudio Martelli, per fargli una promessa: “Glielo faccio io un regalo di Natale, lei vedrà che le portiamo Totò Riina”. Passano cinque mesi e Riina viene arrestato dopo 25 anni di latitanza, venti giorni dopo Natale. Un’altra profezia, trent’anni prima di quella di Baiardo.
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