Stefano Montefiori per corriere.it
studentesse francesi
«Basta vestirsi normalmente e andrà tutto bene», dice il ministro dell’Istruzione Jean-Michel Blanquer, sperando così di spegnere la polemica. Ma una frase che voleva essere distensiva ha rilanciato la protesta delle ragazze francesi, che lunedì hanno cominciato ad andare a scuola in crop-top (con l’ombelico in vista), minigonna, o braccia scoperte. Che cosa significa «vestirsi normalmente?», in un Paese dove il senso del pudore sembra stia cambiando e il canone finora abituale viene messo in discussione?
Per decenni le donne francesi hanno potuto — se volevano — prendere il sole in spiaggia a seno scoperto, ma il 26 agosto due di loro sono state invitate a rivestirsi dai poliziotti a Sainte-Marie-la-Mer, poco lontano dalla Spagna, in seguito alle proteste di una famiglia preoccupata per il «turbamento» dei bambini.
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Venerdì scorso una 22enne è stata respinta all’ingresso del Museo d’Orsay a Parigi perché gli inservienti hanno giudicato il suo abito troppo scollato, e qualche settimana prima era toccato a un’altra ragazza essere bloccata all’entrata di un supermercato «Casino» di Six-Fours-les-Plages, nel Sud, perché l’agente di sicurezza la riteneva poco vestita.
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Accanto a questi casi straordinari, finiti sui giornali, c’è l’infinita serie di piccoli soprusi che le donne francesi denunciano con forza ormai da mesi, sull’onda del movimento #MeToo: ogni giorno, soprattutto in certe periferie ma anche nel centro della capitale e delle altre metropoli, una gonna corta viene interpretata come un invito a manifestare avances, un vestito leggero scambiato per un’allusione sessuale, una maglietta sbracciata considerata un ammiccamento che rende lecito qualsiasi commento.
Che cosa sta succedendo alla Francia, il Paese che il topless lo ha inventato e che un immaginario forse un po’ sorpassato associava a una libertà femminile serena, al riparo da oscurantismi, nervosismi e frustrazioni machiste?
Le liceali protestano contro regole che in un contesto normale e pacificato sarebbero di «buon senso», come dice il ministro Blanquer: non si va a scuola vestiti come in spiaggia, questo dovrebbe essere banale e valere per maschi e femmine. Il problema è che poi il richiamo alla «tenuta corretta», in tanti istituti, viene applicato solo alle ragazze, ritenute colpevoli altrimenti di distrarre i compagni, e di indurli in tentazione per colpa di abiti non sufficientemente castigati. Siamo all’eterna questione dell’uomo che molesta, o magari violenta, ma è la donna che deve dimostrare di non averlo incoraggiato.
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Così i social media francesi da lunedì sono pieni di foto di studentesse più o meno scollate, con cartelli che dicono «invece di coprire le ragazze educate i vostri figli», e messaggi che spiegano: «I ragazzi possono vestirsi come vogliono, mentre noi veniamo constantemente riportate alla questione della sessualità. In questi giorni ci sono 30 gradi, andiamo in giro scoperte solo perché fa molto caldo. O dovremmo metterci un maglione per fare stare tutti tranquilli?».
La protesta delle studentesse delle scuole medie e dei licei francesi imbarazza anche il governo, perché se il ministro Blanquer alza gli occhi al cielo provando a minimizzare, la collega alla Cittadinanza ed ex ministra alla Parità donne-uomini, Marlène Schiappa, si schiera con la protesta: «In tutta la Francia ci sono ragazze che hanno deciso di mettersi in gonna, décolleté, crop-top o di truccarsi, per affermare la loro libertà rispetto a giudizi o atti sessisti. Da madre, le sostengo con vicinanza e ammirazione».
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