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    ''LA GENTE NON HA PIÙ PAURA DI MORIRE'' - ZAIA E I CONTAGI RECORD IN VENETO: ''SE SIAMO ZONA GIALLA È PERCHÉ L'HA DECISO IL GOVERNO. IO NON SONO PER UNO STATO DI POLIZIA. E CHI PASSEGGIA RISPONDE 'NON È VIETATO, QUINDI LO FACCIO''' - PERCHÉ LA REGIONE NON HA ANCORA RAGGIUNTO IL PICCO? PERCHÉ STA SUCCEDENDO COME IN GERMANIA

     

     


     
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    1. ZAIA: «IN VENETO CONTAGI RECORD? SE SIAMO ZONA GIALLA L’HANNO DECISO A ROMA»

    Marco Cremonesi per www.corriere.it

    FOLLA A PADOVA FOLLA A PADOVA

     

    «Mi sembra chiaro che non abbiamo più paura di morire. Io non sono per uno stato di polizia, ma deve essere chiaro a tutti che certi comportamenti hanno delle conseguenze». Luca Zaia in questi giorni è alle prese con un aumento dei contagi che ha superato quello dei giorni del lockdown: «Il nostro picco di ricoveri in lockdown è stato il 4 aprile con 2.028 ricoverati. Oggi siamo a 3.244 ricoverati. In intensiva, la punta massima era stata di 356 persone, oggi siamo a 369».

     

    Che cosa è successo? Anche i contagi salgono: ieri erano 4.092, il record nazionale.

    «Lo vedete in tutti i telegiornali: questo weekend le città italiane sono state prese d’assalto. Per rimanere in Veneto, il sindaco di Treviso, Marco Conte, ha dovuto chiudere il corso a metà pomeriggio perché è venuto fuori che, su una città di 80 mila persone, a spasso per il centro in quel momento c’erano oltre 50 mila persone. Ma non si tratta solo dei numeri di oggi».

    FOLLA A PADOVA FOLLA A PADOVA

     

    Non era il caso di intervenire con un’ordinanza?

    «C’è una parte non maggioritaria ma molto visibile della popolazione che ritiene che la gestione del Covid sia un problema delle istituzioni, semplicemente burocratico. Si vogliono più regole? Guardate i tg: tutti i passeggianti intervistati dicono la stessa cosa: “Non è vietato”. Però… ricorda? “Per colpa di qualcuno non si fa credito a nessuno”. Serve davvero un nuovo patto sociale».

     

    Che cosa intende?

    «Oggi per alcuni il Covid è un problema dell’ospedale, è la parte triste della vicenda. E poi diciamolo: c’è una cultura strisciante e ripugnante secondo cui questa è la malattia degli anziani. Ma gli over 70 hanno il diritto di vivere come tutti. Anzi, di più: sono loro quelli che ci hanno fatto grandi».

     

    Certamente. Ma se si prende atto che molti se ne infischiano del buon senso?

    LUCA ZAIA LUCA ZAIA

    «Io penso sia una sconfitta comune il continuare a chiedere norme per comportamenti scorretti e lontani dal senso civico. Non credo che dovremmo arrivare a fare norme per dire di non buttare la carta per terra. Eppure… Pensi alle mascherine, io le paragono ai giubbotti anti proiettile: non resistono alle cannonate. La mascherina protegge dal droplet, non dall’aerosol, il vapore acqueo prodotto da tante persone assembrate».

     

    Un’ulteriore restrizione non sarebbe opportuna?

    «Oggi incontrerò i sindaci di tutti i capoluoghi di provincia per valutare la situazione. A me sembra davvero strano il dover fare un’ordinanza per qualcosa che è già previsto dalla legge: l’art. 1, comma 8, del dl del 16 maggio 2020, n. 33, vieta gli assembramenti. Li vieta. E dunque, dovrei fare un’ordinanza per dire di rispettare la legge? Anche lì: vogliamo le grida manzoniane? Comunque, non mi sono mai tirato indietro e se si dovrà far qualcosa lo si farà ancora una volta».

     

    Presidente, c’è chi sostiene che il problema nasca dal fatto che il Veneto è zona gialla. Non avrebbe dovuto essere a regime più rigido?

    «Premessa: nonostante la zona gialla, io ho adottato un’ordinanza che chiudeva le grandi e medie strutture di vendita al sabato, tutti i negozi alla domenica, e imponeva un cliente ogni 20 metri quadrati. Ma il punto è che il Veneto, come le altre regioni, ha accettato la classificazione nazionale. Fatta non dal circolo della scopa, ma dall’Istituto Superiore di Sanità retto dal professor Brusaferro, che gode della mia stima. Ricordo anche che noi siamo allo 0,91 di Rt, per passare alla zona arancione avremmo dovuto essere al’1.25».

     

     

    2. COVID VENETO, PERCHÉ È L’UNICA REGIONE CHE NON HA ANCORA RAGGIUNTO IL PICCO DELLA SECONDA ONDATA

    Silvia Turin per il ''Corriere della Sera''

    LUCA ZAIA LUCA ZAIA

     

    Con 4.092 nuovi casi nelle ultime 24 ore, il Veneto ha oltrepassato domenica i 190mila contagi, per un totale, dall’inizio della pandemia, di 190.641 positivi. I morti salgono di 32, con totale a 4.801. Rallenta tuttavia la pressione sulle strutture ospedaliere, che registrano 7 nuovi ricoveri nei reparti non critici, con totale a 2.858, e una diminuzione di 4 pazienti nelle terapie intensive, con 369 ricoverati. Nel report di monitoraggio curato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) per la settimana conclusasi il 6 dicembre, l’incidenza per 100mila abitanti del Veneto è la più alta d’Italia, come anche l’indice Rt, e la curva che misura l’andamento della crescita dei contagi non è arrivata al picco, come nelle altre Regioni sembra aver fatto.

     

    La preoccupazione

    Cosa sta succedendo in Veneto? Come indicato qui, è vero che incidenza e numero di positivi, come altri parametri, dipendono da quanti test si eseguono al giorno e il Veneto da sempre ne esegue più di tutti: la Regione ha dichiarato che il contact tracing raggiunge l’85,5% dei casi sospetti contro il 60% di media nazionale (con una media di 60mila tamponi al giorno) e contesta la decisione del governo di non conteggiare quelli rapidi-antigenici. Sul numero di ricoveri e decessi, però, non pesa la capacità di tracciamento dell’epidemia.

     

    TREVISO 1 TREVISO 1

    La Regione ha superato il picco dei 2.865 degenti in area non critica e dei 356 in rianimazione rilevato il 29 marzo, all’apice della prima ondata e, anche se alcuni indicatori rispetto a una settimana fa sono migliorati (incidenza e Rt tra tutti), la situazione preoccupa. Il Coordinamento veneto per la Sanità pubblica (CoVeSaP) ha scritto al ministro della Salute, Roberto Speranza, per chiedere «di rivalutare con urgenza l’attuale classificazione di rischio giallo», e al governatore Luca Zaia per sollecitare «l’adozione immediata di misure più stringenti».

     

    Zona gialla salda: come mai

    Il dato più eclatante è però che, pur con un’alta incidenza, il Veneto è sempre stato considerato zona gialla. La stessa decisione del governo del 3 novembre di partire con una classificazione, per il Veneto, da zona gialla, era stata costellata da polemiche e discussioni, ma alla fine motivata con la capacità di controllo dell’epidemia da parte della Regione, la quale paradossalmente “paga” la tenuta del proprio sistema sanitario e la capacità di tracciamento territoriale, così da non finire mai in zona arancione. «Proprio perché non ha subìto restrizioni importanti, come il divieto di spostamento tra Comuni, probabilmente paga un numero alto di contagi», aveva ammesso il Governatore, Luca Zaia.

    TREVISO TREVISO

     

    «C’erano già molti casi in Veneto a novembre. Abbiamo tenuto tutto aperto perché eravamo in zona gialla e la curva dei contagi non è scesa. È normale che il virus continui a circolare, non mi sorprende – dice Antonella Viola, immunologa, docente di Patologia all’Università di Padova - . Ieri Padova era piena di persone in giro: le città sono così. Da un lato vedo le file per entrare nei negozi uno alla volta, dall’altro i bar con fuori gruppi di persone che senza mascherina bevono, fumano, chiacchierano e stanno tutti appiccicati. L’aperitivo prima si faceva alle sei, adesso si fa dalle tre in poi. Non è più il momento di fare appelli alla popolazione, bisogna fare i controlli e dare le multe». Di fronte alle scene di assembramento la Regione ha varato alcune regole più restrittive (come l’obbligo di consumazione al tavolo nei bar a partire dalle 11), ma attende ogni venerdì che il ministro della Salute firmi l’eventuale spostamento verso un’altra fascia.

     

    Quello che è successo in Germania

    Anche in presenza di un buon tracciamento e un numero di posti letto ospedalieri pro capite più alto rispetto a tante altre Regioni d’Italia, però, c’è un momento in cui la crescita dei casi non si riesce a contenere e le misure di chiusura, che tanto non piacciono, vanno comunque prese. È quello che è successo in Germania, Paese elogiato per la sua tenuta nei confronti dell’espansione del Covid-19.

     

    In una delle nazioni più preparate d’Europa, anche in termini di servizi sanitari, il “lockdown light” è fallito, come ha sottolineato la Cancelliera Angela Merkel, costretta a varare un lockdown totale (con misure simili al nostro in primavera) di 24 giorni che partirà mercoledì prossimo. Anche in Germania, quindi, raggiunto un certo numero di casi, gli Uffici sanitari sono stati sopraffatti, l’ampia disponibilità di terapie intensive non è stata sostenuta da un altrettanto alto numero di medici e infermieri per posti letto e anche il tracciamento ha iniziato a zoppicare, costringendo a limitare i test ai soli sintomatici.

     

    UN BAR IN VENETO AL TEMPO DEL CORONAVIRUS UN BAR IN VENETO AL TEMPO DEL CORONAVIRUS

    «Effettivamente sembra che i Paesi (o le Regioni) cui sono state imposte più restrizioni abbiano un abbassamento più precoce della curva epidemica – osserva Paolo Bonanni, epidemiologo, ordinario di Igiene all’Università di Firenze -. Le Regioni rimaste in giallo perché, per loro fortuna, hanno degli indicatori per l’occupazione dei posti in ospedale meno drammatici, l’hanno “pagata” in termini di quota di persone che non hanno rispettato in maniera ferrea le disposizioni comuni. Dopo mesi vedo ancora giovani e adulti che parlano con la mascherina sotto il mento, uno a 30 cm dall’altro. È emblematico».

     

    La tempistica delle chiusure

    Come la Germania, forse il Veneto avrebbe dovuto chiudere prima. È difficile capire quando farlo, ma alcuni studi a posteriori hanno dimostrato che, quando la curva di risalita dei contagi impenna (magari in maniera “esponenziale”), a contare in maniera cruciale è la tempistica degli interventi di chiusura. Anche solo pochi giorni in più in quella fase determinano un caro prezzo da pagare in termini di morti. Il calcolo è stato fatto da uno studio della Columbia University di New York sulla prima ondata che ha dimostrato come lo stesso intervento applicato solo 1-2 settimane prima, sarebbe bastato a evitare a livello nazionale il 61,6% delle infezioni e il 55,0% dei decessi segnalati al 3 maggio negli Usa.

     

    Nel periodo tra domenica 13 e domenica 20 dicembre, invece, gli spostamenti e le attività permesse in Italia (e in Veneto) aumenteranno: «È una situazione di massima allerta: c’è bisogno di stringere le maglie ancora un po’, oppure bisogna decidere fare i controlli», conclude la professoressa Viola.

     

     

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