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    LA GRANDE SETE DELL'ITALIA - LA SICCITA' STA COLPENDO TUTTO IL PAESE - IL PIEMONTE HA CHIESTO LO STATO DI EMERGENZA PER L'AGRICOLTURA, IN LOMBARDIA I PRODUTTORI IDROELETTRICI HANNO AUMENTATO I RILASCI DELL'ACQUA A SUPPORTO DELLE COLTIVAZIONI - C'E' GIA' CHI HA FIRMATO ORDINANZE SUL RISPARMIO IDRICO - SOFFRE IL PO, MA NON SOLO: IL WWF PARLA DI UN...


     
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    Lodovico Poletto per "La Stampa"

     

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    Lo chiamano il «mare a quadretti»: all'inizio della primavera era uno spettacolo maestoso per chi lo guardava dall'alto. Dalle strade che da Camino, calano verso il vercellese. In quei giorni il canale Cavour ancora pompava acqua che finiva nelle risaie. E la siccità era un incubo da scacciare scommettendo sulla pioggia, che non è arrivata.

     

    Oggi il riso è cresciuto. E da quella strada l'acqua la intuisci appena tra il verde delle piantine di riso. Lucedio, frazione di Trino. Se c'è un posto che racconta che cosa significa fare i conti con acqua che non c'è, è proprio questo: la campagna del vercellese. E poi più giù ancora, fino alla provincia di Novara.

     

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    Terreni divisi in enormi quadrati. Un mare d'acqua dolce che invade i campi. «Se mancherà saremo costretti a cambiare colture. Ci sarà un sacco di gente che ripiegherà su coltivazioni che ne richiedono meno, come la soia». E Paolo Carrà, risicoltore di seconda generazione, adesso fa gli scongiuri. Perché se dovesse andare davvero così, decine di aziende di questo angolo di Piemonte andrebbero in crisi.

     

    Meno guadagni. Meno posti di lavoro. Meno investimenti. Debiti con le banche complicati da rimborsare. Sarebbe l'economia di un intero territorio che «va a farsi benedire» come dicono su questa spianata, dove alle 3 del pomeriggio il termometro sfiora i 35 gradi.

     

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    Vercelli e l'acqua, Novara e l'acqua. I laghi che calano. La regione che raziona i consumi. La fotografia che arriva dal Piemonte è un'infilata di paesi che devono fare i conti con le montagne secche e i fiumi che non ci sono più. «Piovesse» dicono tutti. Poco alla volta, però, perché i terreni sono secchi. E i letti del fiumi duri come pietra. Uno scarico intenso rischia di causare più danni che benefici.

     

    Per intanto si raziona. Si chiudono i rubinetti che alimentano la rete pubblica. Lo hanno fatto a San Bernardino Verbano. Dalla sera tardi al mattino presto dai rubinetti non esce nulla. «Autobotti per le strade? No, per l'amor del cielo. Se fosse così sarebbe un disastro. Il razionamento serve per evitare gli sprechi» si premura di spiegare la sindaca Assunta Regoli.

     

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    Per impedire che chi ha il giardino la adoperi per innaffiare i fiori. E chi ha la piscina usi l'acqua pubblica per riempirla. Potrebbero farlo di giorno, è vero. Ma nessuno controlla perché in un posto così, con duemila anime che si conoscono tutte, nessuno fa il furbo.

     

    Per fortuna non ci sono attività che potrebbero averne bisogno la notte. Come invece accade a Palazzo, nel Torinese. Dove la panetteria del borgo fa i conti con quella poca - e senza pressione - che esce dal rubinetto. E Stefania si adegua: «Quel filo di acqua è la nostra salvezza: se mancherà del tutto saranno guai enormi e non soltanto per noi». Già, una montagna di guai che rischiano di mettere in crisi decine di altre attività. «Una filiera lunghissima di cui neanche ci rendiamo conto» dicono in paese.

     

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    E allora ben vengano le notti con i rubinetti all'asciutto. Perché, se l'agricoltura soffre, è la sete quella che potrebbe avere conseguenze più gravi, e richiedere interventi più complicati. Le autobotti. Le file per portare a casa una tanica al giorno. Le hanno già adoperate in qualche borgata. Per ora le usano per spostare acqua da dove ce n'è agli acquedotti in crisi. Chieri. La val di Susa. E in decine di altri paesi.

     

    Polvere sulle strade. Fontane chiuse. La terra grassa delle coltivazioni di mais sempre più dura. «Dateci l'acqua degli invasi» implorano gli agricoltori. L'appello lo hanno raccolto quelli di Iren la società proprietaria dell'invaso di Ceresole Reale, nel Torinese.

     

    Hanno annunciato che rilasceranno, per una settimana, sei metri cubi di acqua al secondo. Ed è come la manna nella bibbia: darà speranza almeno a 5 mila coltivatori. Riempirà i canali, le deviazioni e le rogge. Basta? Assolutamente no, perché la terra ha sete ovunque. E perché il livello delle riserve naturali si abbassa sempre di più. Per dire: a Ceresole la diga da 34 milioni di metri cubi adesso ne contiene più o meno un terzo. E si devono pure alimentare le turbine per l'energia elettrica. Senza acqua muore l'agricoltura e si spegne l'elettricità.

     

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    E non è che nei laghi naturali vada meglio. Verbania, affaccio sul lago Maggiore. Il refrain è sempre lo stesso: «Gli unici contenti sono quelli che hanno attività turistiche, con gli sdrai e gli ombrelloni». Il motivo è facile da intuire: il livello del lago in questi giorni è di un metro e 20 al di sotto della media stagionale. Vuol dire spiagge più lunghe. E più guadagni.

     

    Ma se il meteo non cambia a settembre saranno guai veri. Un po' come in tutti i laghi del Piemonte. Come lungo i fiumi in secca, attraversabili a piedi e senza bagnarsi neanche la suola delle scarpe. Come nel Po, sempre più povero e sempre meno riserva. Servirebbero giornate di pioggia per tornare a un livello accettabile. È vero, sparirebbero di nuovo i resti delle fortificazioni seicentesche svelate dal Sesia in secca. Pazienza: dissetare la terra e gli uomini vale più di un pezzo di muro. 

     

    2. "NON PIOVE DA 4 MESI" ALLERTA RISORSE IDRICHE DAL VENETO ALLA PUGLIA

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    Simona Buscaglia per "La Stampa"

     

    L'Italia ha sete. E non si tratta di un fenomeno localizzato, o di sporadici razionamenti d'acqua in piccoli paesi poco raggiungibili. Il Nord è come il Sud e come il Centro già adesso a giugno, ovvero a stagione arida appena iniziata.

     

    Se il presidente del Piemonte Alberto Cirio ha inviato a Roma la richiesta di stato di calamità per l'agricoltura, in Lombardia i produttori idroelettrici hanno aumentato i rilasci dell'acqua a supporto dell'agricoltura per il bacino dell'Adda, dell'Oglio e per i fiumi Brembo e Serio. Qui, nella regione dei laghi e dei fiumi, c'è chi ha già firmato ordinanze sul risparmio idrico, come il sindaco del comune di Tradate, in provincia di Varese, Giuseppe Bascialla, dove dalle sei a mezzanotte è vietato usare l'acqua per riempire piscine, innaffiare giardini, e lavare le macchine.

     

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    «Il Po è in condizioni precarie - spiega Roberto Mariani, primo cittadino di Stagno Lombardo, nel Cremonese - Oggi chi vive sul fiume riesce ad arrivare a metà a piedi e con cinque bracciate a nuoto ad essere sull'altra sponda». E anche se in agricoltura in queste zone spesso si attinge da pozzi «adesso si sono abbassate le falde. Qui è più di tre mesi che non piove».

     

    Soffre molto la Pianura Padana, come ribadito da Meuccio Berselli, segretario generale dell'autorità distrettuale del Fiume Po: «In alcuni territori non piove da 110 giorni», e in decine di Comuni in Piemonte e Lombardia «sono già in azione le autobotti per l'approvvigionamento di acqua».

     

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    A spostarsi lungo il Po la questione della carenza d'acqua non cambia: «La situazione è molto grave per la nostra agricoltura, pensiamo ad esempio al comparto dell'ortofrutta che ha bisogno di molta acqua - racconta il sindaco di Ferrara, Alan Fabbri - ho parlato con il presidente Bonaccini, e chiedo che la Regione istituisca un tavolo sul tema e che si razionalizzino gli interventi che si stanno facendo. Quando si parla di Po spesso si ragiona a compartimenti stagni in base alla provincia, invece serve un intervento straordinario e un percorso comune che non faccia figli minori».

     

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    In Veneto, Coldiretti denuncia l'avanzare del cuneo salino per la risalita dell'acqua di mare, che rende impossibile la coltivazione nelle zone del delta e rischia di intaccare le falde acquifere, bruciando zucchine, pomodori e insalata.

     

    Nel Polesine e nella Bassa Padovana le difficoltà per gli agricoltori riguardano anche coltivazioni che tradizionalmente hanno poco bisogno di acqua, come l'aglio. «Il fatto che le falde sotto al terreno non abbiano l'acqua a cui eravamo abituati, e che quindi la pianta abbia dovuto vivere solo con le scarse piogge che sono venute in primavera, ha portato i nostri consorziati a ricorrere anche a tre o quattro irrigazioni di emergenza - spiega Massimo Tovo, presidente del consorzio di tutela dell'aglio bianco polesano dop - È una situazione anomala e diverse aziende non erano nemmeno attrezzate per poter irrigare, con una conseguente perdita importante del raccolto».

     

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    Non c'è solo il Po. Il Wwf parla di un significativo e generale decremento del volume annuale che defluisce a mare dai nostri principali fiumi (Po, Adige, Arno, Tevere), con riduzioni pari a 15% per il Tevere e di oltre l'11% per il Po nel periodo 2001-2019 rispetto al precedente periodo 1971-2000.

     

    Non sono quindi solo il Nord e la zona della Pianura padana ad essere secche. «In Italia, siccità straordinarie si stanno ripetendo con intervalli di tempo sempre più ravvicinati e le analisi dimostrano come ci vogliano anni per tornare alla normalizzazione dei regimi idrici» precisa Massimo Gargano, direttore generale di Anbi, l'Associazione nazionale dei consorzi di bonifica.

     

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    E se la Coldiretti sottolinea gravi danni nelle campagne toscane per le coltivazioni di mais, anche il Sud soffre: in Sicilia non sanno come bagnare gli agrumi, c'è allarme per gli ortaggi anche in provincia di Crotone. Cali significativi per i raccolti perfino in zone abituate alla siccità, come la Puglia.

     

    Negli invasi artificiali mancano 80 milioni di metri cubi d'acqua rispetto alla capacità, secondo i dati dell'Anbi Nazionale, ma a preoccupare è la riduzione delle rese di produzione delle coltivazioni in campo: «La Puglia è la regione assetata per eccellenza in Italia e quindi soffriamo doppiamente in una stagione più secca come quella di quest'anno - spiega l'agronomo Giuseppe Pisanello del consorzio agrario di Lecce - per quanto riguarda i cereali come il grano e l'avena abbiamo rese più basse del 20%».

     

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    Ma anche sul raccolto in corso la situazione non è delle più rosee: «Ci aspettiamo una flessione anche per quanto riguarda le angurie, ad esempio, che stiamo raccogliendo adesso».

     

    Il meteo non migliorerà in questo senso, almeno nei prossimi giorni: «Fino a martedì dovremo fare i conti con un anticiclone che dal Nord Africa porta aria calda - precisa il meteorologo di Arpa Lombardia, Enrico Solazzo - avremo temperature massime che potrebbero raggiungere lunedì dei picchi che andranno dai 36 ai 38 gradi e ancora mancanza di pioggia».

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