Giacomo Amadori e Ignazio Mangrano per La Verità
giovanni bazoli
Ieri Panorama ha sganciato la bomba, rivelando la richiesta di arresto che la Guardia di finanza aveva presentato un anno fa ai pm di Bergamo nei confronti del banchiere Giovanni Bazoli, della figlia Francesca e di altri 14 dirigenti di primo piano del gruppo Ubi.
Panorama riferisce che la richiesta era a conclusione di un’informativa di 181 pagine inoltrata il 23 dicembre 2015 e firmata dal generale Giuseppe Bottillo, comandante del Nucleo speciale di polizia valutaria, e dal colonnello Gabriele Procucci, responsabile del 3° gruppo sezione tutela del risparmio. Nell’informativa riportata da Carmelo Abbate si leggeva questo severo giudizio, a proposito di (un) Bazoli (padre o figlia?): «Un’indole delinquenziale particolarmente accentuata».
francesca bazoli
Ma non è solo questo il passaggio dell’inchiesta della Procura di Bergamo che sorprende. Leggendo la documentazione contenuta nel fascicolo sul quarto gruppo bancario italiano si scopre che le accuse vanno dall’ostacolo alle funzioni di vigilanza all’illecita influenza sull’assemblea, ma ciò che maggiormente colpisce oltre naturalmente alla gravità delle condotte contestate, sono i metodi e la terminologia alla base delle maggiori decisioni di un così grande istituto. Tanto che non sembra di leggere atti di un’inchiesta bancaria. Dai documenti emergono ricatti, pressioni, riunioni segrete e termini come «patti tra gentiluomini», «garante», «mafia cattolica».
GIOVANNI BAZOLI SI RIPOSA FOTO LAPRESSE
Emerge la storia di due famiglie, una bresciana con a capo indiscusso, secondo la Procura, Giovanni Bazoli, e una bergamasca guidata, fino al suo appannamento, da Emilio Zanetti. Giovanni Bazoli, intercettato, afferma: «Sono patti tra gentiluomini quelli su cui si fonda la nascita di Ubi Banca». Il quarto gruppo bancario italiano nasce quindi, secondo l’allora presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo, da un patto tra gentiluomini i cui «garanti» sono lui stesso per Brescia e Zanetti per Bergamo. In un’intercettazione tra il presidente del consiglio di gestione Franco Polotti e l’allora vicepresidente di sorveglianza Alberto Folonari ecco poi spuntare la parola «mafia ».
Emilio Zanetti
Folonari: «Senti c’è uno che comincia a rompermi un po’ le palle, e l’ho detto anche a Nanni (Giovanni Bazoli, ndr), è Camadini (Pierpaolo, consigliere della banca, ndr) crede di… non lo so io!». Polotti: «Beh, Alberto allora…». Folonari: «Mafia cattolica!». È come un romanzo nel quale due famiglie con i rispettivi capi e garanti decidono vita e morte dell’intero gruppo. Sono spesso affidate ai familiari nomine, consulenze e crediti, su cui, secondo Panorama , ci sono indagini in corso e ispezioni da parte della Banca centrale europea. Tutto deve restare all’interno delle famiglie.
ANDREA MOLTRASIO
Non a caso la Guardia di finanza a conclusione dell’informativa che manda al pubblico ministero che si occupa dell’inchiesta annota: «(…) Le condotte illecite sopra descritte sono tali da configurare una vera e propria associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più delitti di ostacolo all’esercizio delle funzioni di pubblica vigilanza nonché del reato di illecita influenza sull’assemblea (…)». I finanzieri elencano quelli che a loro parere sarebbero i componenti del sodalizio: Giovanni e Francesca Bazoli, Emilio Zanetti, Andrea Moltrasio, Franco Polotti, Victor Massiah, Mario Cera, Armando Santus, Giuseppe Calvi, Italo Lucchini, Mario Mazzoleni. I massimi vertici del gruppo più Giovanni Bazoli.
FRANCO POLOTTI
I pm non hanno ritenuto di contestare questo gravissimo reato. Forse tenendo conto anche dell’impatto che una cosa del genere avrebbe avuto sui mercati. Associazione a delinquere o meno, quello che emerge dagli atti è che quando queste famiglie si sono sentite minacciate dalla segnalazione dell’autorità di vigilanza sulle modifiche al regolamento del comitato nomine o dalla presenza di liste concorrenti, non hanno esitato a mettere in piedi una vera e propria struttura volta ad annullare il pericolo. Disinteressandosi delle norme, anzi violandole apertamente.
victor massiah
Ma nella storia di Ubi a colpire è anche altro. Per esempio la quasi inesistente presenza di investimenti personali da parte dei soggetti che di fatto controllano il gruppo. Soggetti che in nome di un ormai noto capitalismo di relazione o familiare acquisiscono e gestiscono il potere per i propri interessi. Le sorprese non finiscono qui. Nell’azionariato della banca ci sono rilevanti pacchetti azionari delle diocesi di riferimento. Stiamo parlando di circa 2.500.000 azioni Ubi della diocesi di Bergamo e di circa 10.000.000 in possesso della diocesi di Brescia (suddivise tra le varie fondazioni).
editrice la scuola
C’è inoltre da chiedersi come sia possibile, ad esempio, che una società che nasce per diffondere cultura, come «Editrice la scuola», totalmente posseduta dall’Opera per l’educazione cristiana, sia in possesso di 5.068.047 azioni Ubi e che la sua controllante ne possegga altre 220.336. La risposta si trova forse nel fatto che il presidente dell’Opera è proprio Giovanni Bazoli e che lo stesso ha avuto ruoli anche all’interno dell’Editrice la scuola.