Foto di Ferdinando Mezzelani per Dagospia
Antonello Piroso per la Verità
Il Presidente del Coni Giovanni Malagò Foto Mezzelani GMT 07
Mettiamola così. Per rimediare ai presunti danni fatto allo sport italiano dalla legge di riforma voluta dal precedente governo, con l' impegno in prima persona del sottosegretario a Palazzo Chigi, il leghista Giancarlo Giorgetti, il Coni chiede al Cio, il Comitato olimpico internazionale (cioè un organismo sovranazionale), di fare tabula rasa dei prossimi appuntamenti in agenda, causando così uno sfregio d' immagine al nostro Paese di certo superiore al vulnus invocato.
Davanti a un riassetto che lo ridimensiona, il presidente del Coni Giovanni Malagò si appella infatti a un' autorità esterna. «Segnalando» la violazione di principi contenuti nella Carta olimpica, e quindi chiedendo in sostanza - non esplicitamente, e ci mancherebbe pure, ma indicando - la soluzione finale di punizioni esemplari per l' Italia: l' esclusione da Tokyo 2020 e la revoca dell' assegnazione a Milano-Cortina delle olimpiadi invernali del 2026.
spadafora barelli giorgetti
Se non è un «muoia Sansone con tutti i filistei», gli assomiglia molto. L' ultima spiaggia, dopo che il Coni si è visto sottrarre la gestione della cassa finanziaria con la creazione di Sport e salute che ha spazzato via la società Coni servizi.
malagò stasera italia
E che di ritorsione si possa tranquillamente parlare è confermato dalla circostanza segnalata ieri da Repubblica: la lettera del 6 agosto scorso con cui il Cio, bocciando la suddetta riforma e minacciando di fatto contraccolpi pesanti per l' Italia, sarebbe stata voluta, richiesta e «dettata» dal Coni. Cioè dal medesimo Malagò. Il quale, mentre da un lato nell' audizione al Senato del 29 luglio metteva in guardia rispetto alle possibili conseguenze in sede internazionale con il Cio, dall' altro quella stessa reazione sollecitava e provocava.
«Sconvolgente, lo avevo già capito. Ma vederlo scritto nero su bianco fa tutto un altro effetto», è stato il commento del presidente della Federtennis Angelo Binaghi, di certo non un supporter di Malagò. Che dal canto suo ha minimizzato: «Le mie lettere? Un atto dovuto: se non avessi evidenziato tali situazioni normative, come membro del Cio sarei stato sanzionato in modo grave». Indicando l' exit strategy: «Ora nell' ambito dei decreti attuativi della legge delega, dobbiamo sistemare quegli aspetti in palese contraddizione con la Carta olimpica».
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Palese secondo chi? Ma naturalmente sempre secondo lui, Malagò. Che così condensa nella sua persona tutti i ruoli in commedia: l' accusa, la difesa, la giuria.
Torniamo a inizio agosto. Le decisioni del governo italiano (quello Lega-M5s) sullo sport scatenano la contrarietà di Malagò ma anche l' opposizione del Pd.
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Due i punti su cui il Cio -opportunamente «imbeccato», come si è detto - può trovare qualcosa da ridire: le organizzazioni sportive aderenti al movimento olimpico hanno il diritto e l' obbligo di autonomia, «comprese la libera determinazione e il controllo delle regole dello sport», nonché «la definizione della struttura e della governance delle loro organizzazioni». Il secondo punto concerne la cosiddetta mission: le suddette organizzazioni devono «incoraggiare lo sviluppo di sport di alta prestazione così come pure dello sport per tutti».
Il Presidente del Coni Giovanni Malagò Foto Mezzelani GMT 05
Solo che con la riforma, almeno così sostengono gli oppositori della nuova legge, al Coni rimane solo l' alta prestazione, è vero, mentre sul territorio avrebbe compiti di mera rappresentanza.
Così il Cio reagisce con un intervento a gamba tesa: «Il Coni non dovrebbe essere riorganizzato mediante unilaterali decisioni governative, ma governance e attività devono essere stabilite nell' ambito del proprio statuto, in ottemperanza della Carta olimpica». Piccolo particolare: il Coni non è il soggetto che governa lo sport nazionale, bensì l' attività olimpica e può assumere sì iniziative per lo sport di base, ma solo a livello di «incoraggiamento», dato che la materia rimane di pertinenza di Stato e Regioni.
antonello piroso
Arriviamo all' oggi. Malagò, così vogliono i boatos che si rincorrono nella sempiterna palude romana, dove non esistono destra o sinistra né conflitti d' interessi, ma solo la loro convergenza, sperava che allo Sport andasse un ministro indicato dal Pd, magari un renziano in quota Luca Lotti, con cui il presidente del Coni ha sempre avuto una foscoliana corrispondenza di amorosi sensi.
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Peccato che a capo del dicastero sia stato paracadutato Vincenzo Spadafora dei 5 stelle, con ascendenze trasversali tra Prima e Seconda Repubblica (un nome per tutti: Francesco Rutelli, di cui è stato capo di gabinetto ai Beni culturali).
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Malagò si è precipitato a spiegare: «Lo conosco molto bene e il rapporto con lui è molto buono», anche perché Spadafora è transitato per l' associazione Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo, che di Malagò è amico e sodale da una vita. Ma a Spadafora è arrivato il warning di Alessandro Di Battista, il punto di riferimento dell' ala movimentista dei grillini che giovedì sera in tv ha ricordato, tra i nemici del cambiamento, proprio Malagò: «Ho sentito un' intervista ad Andrea Orlando del Pd in cui dice che, in questo Paese, i poteri forti non esistono.
Invece si chiamano De Benedetti, Benetton, Caltagirone e Malagò, sono questi i miei avversari. E per me il Partito democratico resta il partito garante di questo sistema».
Rocco Sabelli, numero uno di Sport e salute, accusa Malagò di tenere alta la temperatura della polemica per «riposizionarsi» rispetto al nuovo governo. Ma forse, alla luce di questa esternazione (e in attesa di altri documenti che sicuramente vedranno la luce), sarebbe forse meglio dire: per cercare di cadere in piedi.
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