Estratto dell’articolo di Guido Olimpio per il “Corriere della Sera”
benjamin netanyahu
Il premier israeliano Netanyahu lo ha dichiarato in diretta: «Ho ordinato al Mossad di colpire i capi di Hamas ovunque si trovino». L’affermazione avrà avuto il plauso dell’ala più estrema del governo, contraria a qualsiasi pausa, ma ha provocato la reazione negativa dei familiari degli ostaggi. La sortita del primo ministro è parte del linguaggio bellico, monito evidente e chiaro. La seconda componente, però, è più operativa.
Subito dopo le stragi è stata annunciata la formazione di un’unità mista, con la partecipazione di Difesa e servizi segreti, incaricata di eliminare i dirigenti nemici. Una missione da condurre a Gaza, senza escludere un allargamento ad aree più lontane. Questo perché alcuni degli obiettivi vivono all’estero […]
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Gerusalemme ha una tradizione di omicidi mirati, ha trasformato una tattica in strategia. È nota la vendetta scatenata dopo la strage alle Olimpiadi di Monaco del 1972, azione con una serie di colpi ravvicinati ma poi prolungata all’infinito. Hassan Salameh, uomo di fiducia di Arafat, responsabile di attività coperte, divenuto un canale di comunicazione con la Cia, sarà ucciso nel gennaio 1979 a Beirut. Ancora più ritardata l’esecuzione di Atef Beiso, esponente dell’Olp freddato a Parigi l’8 giugno 1992. Quasi vent’anni dopo.
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Cambiato l’antagonista principale, Israele ha preso di mira l’intera gerarchia di Hamas e Jihad, facendone fuori i fondatori […] vi sono alcuni parametri da considerare:
1) la presenza di ostaggi civili è un ostacolo;
2) attaccare esponenti all’estero rischia di avere un impatto su negoziati;
3) le intelligence nemiche sono in allerta;
4) non possiamo però escludere azioni che coinvolgano figure interme-die o militanti che hanno trovato rifugio all’estero. Non sono personaggi ma simboli. Le storie del passato ci dicono che un «contratto» può restare aperto all’infinito, in attesa di un’opportunità o di un momento politico propizio.
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