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    “SOPRAVVISSUTO IO? SONO UN SUPER VISSUTO” – LA LETTERA A “VANITY” DI VASCO: “HO SCONFITTO DROGA, DEPRESSIONE, MALATTIE. PER 3 O 4 VOLTE SONO FINITO IN COMA. NE HO COMBINATE DI CAZZATE MA LE HO PAGATE TUTTE. NEGLI ANNI ’70 MI SEMBRAVANO MATTI QUELLI CHE SI CHIAMAVANO "LOTTA CONTINUA", E POI AL POMERIGGIO TORNAVANO A CASA, DAI GENITORI PERCHÉ ERANO STUDENTI E LA LORO LOTTA CONTINUA FINIVA LÌ” – LA FEMMINISTA CHE AL PRIMO TRADIMENTO L’HA MOLLATO, IL COVID “DEL CAZZO” E UNA CANZONE D’AMORE IN ARRIVO… - VIDEO


     
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    ANDREA LAFFRANCHI per il Corriere della Sera

     

    Del resto lo cantava già nel 1993. «Vivere o sopravvivere». Il Vasco pensiero esce da quella canzone icona e diventa una lettera: «Se non sono un sopravvissuto io... io sono un Super Vissuto!».

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    A stimolare la penna del rocker è stata una richiesta di Cesare Cremonini. Come direttore artistico del numero di Vanity Fair in edicola oggi il cantautore bolognese ha invitato il rocker a riflettere su un presente difficile causa pandemia. Tragico per la musica live con i concerti fermi e i lavoratori che devono andare a fare le consegne per Amazon per portare a casa lo stipendio, ma complicato per chiunque. «Una piccola lettera sulla sopravvivenza», è la richiesta.

     

    Vasco Rossi al tempo del coronavirus Vasco Rossi al tempo del coronavirus

    Niente live, niente stadi, niente fan sotto il palco. «Nessun sistema sanitario può reggere a lungo in una emergenza del genere... E noi? Dovremo ancora stare chiusi in casa... E... Per noi che abbiamo bisogno di urlare, di cantare, di "assembrarci" è ancora molto lontana la possibilità di fare concerti...

     

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    Ma sopravviveremo anche a questo». La certezza del rocker è la certezza dell'esperienza di un «sopravvissuto» o, appunto, un «Super Vissuto». Un supereroe del quotidiano. Il Kom ne ha passate tante, ma veramente tante, e prova a fare un elenco in parallelo a quello dei suoi successi. Scorre l'album fotografico della sua vita. Si parte da un ragazzo sull'appennino emiliano.

     

    «Sono sopravvissuto alla "noia". Vivendo a Zocca sapevo che da lì bisognava partire perché se sei in pensione ci stai benissimo, ma a 20 anni non c'è niente da fare». E allora ecco che passa il «treno» di Punto Radio che «fondai con il mio gruppo di amici storici». Lo sguardo si apre alla scena nazionale. «Sono sopravvissuto agli anni 70. Quando c'erano gli anni di piombo, le Brigate rosse, Lotta Continua e Potere Operaio».

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    Lui si era chiamato fuori dagli schieramenti ideologici, si sentiva un «indiano metropolitano» un «anarchico» vicino a Pannella cui sembravano «matti quelli che si chiamavano "potere operaio" ed erano studenti, come gli altri che si chiamavano "lotta continua", e poi al pomeriggio tornavano a casa, dai genitori... perché erano studenti E la loro lotta continua finiva lì». Strappa un sorriso quando racconta della storia con una femminista in stile «sincerità e dialogo nella coppia innanzitutto» che però «alla mia prima confessione di tradimento, mi ha mollato».

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    C'è sempre un velo di ironia nelle sue parole. Rende meno pesante quello che, come la vita, lo è per definizione. L'elenco prosegue con gli anni 80 «quelli più stupidi del secolo, ma anche i più belli e divertenti», quelli del sogno poi realizzato «del rock in italiano» con gli Stones come modello («io ero Jagger, ovviamente») e canzoni che erano «sberleffi e provocazioni contro i perbenisti, i moralisti, i furbetti».

     

    Il privato picchia duro: «Sono sopravvissuto alla droga e agli eccessi di quegli anni. Ne ho combinate di cazzate, ma le ho anche pagate tutte». Il periodo successivo non è una passeggiata. La carriera lo solleva in vetta alla musica italiana, nella vita ecco la famiglia, «la scelta più trasgressiva» per un rocker. Lui e «la» laura hanno «amato il "progetto famiglia", qualcosa di solido che si costruisce insieme, che va oltre alla passione e si trasforma via via in affetto, amore».

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    Degli anni Zero Vasco ricorda la «depressione» seguita agli amici che «hanno cominciato a morire intorno, Lolli, Massimo, Marietto». E passato quello non c'è tregua. Se da un lato «Eh... Già» viene incoronata canzone «più significativa e rappresentativa di inizio secolo» (proprio da un sondaggio di Corriere) dall'altro il decennio gli mette di fronte «tre malattie mortali, nel 2011, quando sono andato in coma per 3 o 4 volte». Ed eccolo Vasco, con tutte queste ferite, davanti alla pandemia, questo «Covid del cazzo» con la certezza che anche questo se lo metterà alle spalle a meno che non «morirò di noia per il lockdown». Eh no, non è il pessimismo che prende il sopravvento. «Ho una nuova canzone che esce il 1° gennaio 2021 e... sarà una canzone d'amore».

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