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    CARA ELISABETTA - MARINA RIPA DI MEANA SCRIVE UNA LETTERA A UN MESE DALLA SCOMPARSA DELLA FOTOGRAFA ELISABETTA CATALANO: “UN SOFFIO E TE NE SEI VOLATA VIA. MI PIACE IMMAGINARTI INSIEME A TUTTI I NOSTRI AMICI”


     
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    Lettera di Marina Ripa di Meana a Elisabetta Catalano

     

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    Cara Elisabetta,

     

    un soffio e  te ne sei volata via, esile ed elegante come sempre.

    Il giorno prima  ci eravamo sentite per telefono e mi avevi detto che  appena io fossi tornata a Roma, saremmo andate a fare delle passeggiate. “Però”, avevi aggiunto, “stavolta mi devi promettere che camminerai piano, altrimenti non riuscirò a starti dietro, perché mi sento un po’ debole.” Altro che andare piano, Elisabetta:  hai fatto addirittura un salto, uno scatto.

     

    Il tuo famoso scatto.

    Eri una donna di indole delicata, ma appena prendevi in mano la macchina fotografica,  subito ti animavi, ti accendevi, avevi come un guizzo. Goffredo Parise (che il nostro amico Moravia chiamava perfidamente  “il nasone”) diceva che per cogliere quell’attimo, quella luce particolare, quel brivido che ti percorreva, ci sarebbe voluta una persona con il tuo stesso talento per la fotografia.

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    È stato proprio quello “scatto” che ti ha portato a fare  memorabili ritratti di Monica Vitti, Michelangelo Antonioni, Florinda Bolkan, Stefania Sandrelli, Italo Calvino, Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia, Alberto Arbasino, Joseph Beuys, Mario Schifano, Raffaele La Capria, tanto per citarne qualcuno.

     

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    Nel tuo enorme studio di via Santissimi Apostoli,  uno dei primi loft arredato soltanto con attrezzature professionali, lampade led,  diffusori, flash e grandi cuscini, abbiamo trascorso serate indimenticabili: in quello studio  è passata tutta Roma: attori, scrittori, registi, dive, artisti e perdigiorno.  Tu eri la regina degli artisti, anzi eri tu la prima artista.

    Famosa  la foto di Federico Fellini, che alza la mano davanti al viso, come per dire: “No, no,  non fotografatemi!”

     

    Michelangelo-e-Maria-Pistoletto-Vettor-e-Mimma-Pisani Michelangelo-e-Maria-Pistoletto-Vettor-e-Mimma-Pisani

    Poi hai deciso di riassumere Alberto Pincherle Moravia nel fotogramma più espressivo del suo viso: una mano ossuta puntata alla tempia, un volto dominato da sopracciglia foltissime e bianche, e da una capigliatura ancora presente, ugualmente bianca. In questi eloquenti dettagli hai riassunto la storia e il destino di un uomo, che in un momento difficile della sua relazione con Dacia Maraini, avevo convinto a  venire a vivere a Venezia. Mi pare ancora di vederlo inerpicarsi con la sua gamba sifolina su per i ponti e le calli, fino alle stanze sopra di noi,  nella casa di Wally Toscanini, a Dorsoduro, dietro la Chiesa della Salute.

    Elisabetta-Catalano-“Stefania-Sandrelli Elisabetta-Catalano-“Stefania-Sandrelli

     

    Cara Elisabetta, noi due ci conosciamo da quando avevamo tredici anni: due ragazzine con una voglia matta di vivere, di divertirsi, di vedere il mondo e riuscire nella vita, anche se ancora non si sapeva come. 

     

    Abbiamo condiviso tutto: l’infanzia, l’adolescenza, i primi fidanzatini, i flirt, gli amori, grandi e piccoli, i viaggi, il lavoro, le vacanze, gli amici, l’amore per la Roma degli anni d’oro,  la Roma degli artisti,  del grande cinema. E alla fine ci ha unito perfino  la nostra eterna nemica, la malattia.

    Due vite diverse, ma anche molto vicine.  Due vere amiche, ma anche due caratteri spigolosi, due personalità scomode, per lo più animate da molti interessi comuni.

     

    alberto_moravia alberto_moravia

    Ricordo anche i nostri piccoli scontri, quando venivo nel tuo studio a scegliere tra le foto che dovevano essere pubblicate.  Con grande professionalità, eri severissima,  inflessibile. Con pignoleria esasperante dicevi: “No, questa la devi scartare, hai la bocca a culo di gallina. E anche questa, stai facendo le mossette…”

     

    Quando veniva il momento in cui dovevi scattare  una delle tante foto che mi hai fatto, lunghissima era la ricerca per trovare la luce giusta, l’inquadratura buona, la posizione perfetta.  Non ti andava mai bene niente: ora c’era un’ombra sul naso, ora avevo mosso la bocca o avevo chiuso gli occhi. Al punto che un giorno sono sbottata e ti ho detto: “Senti, qui dobbiamo decidere chi è la diva, se è quella che fotografa o quella che viene fotografata…”

    Lante Marina Lante Marina

     

    Un giorno, mentre ero nel tuo studio, arrivò Italo Calvino. Lo vidi di un pallore livido, con i  soppraciglioni neri e i capelli corvini. Subito ti presi in disparte e ti chiesi: “Ma chi è, un marajà indiano?” Inorridita, tu esclamasti: “Ma nooo! è Italo Calvino!”

     

    Eri e sei rimasta  sempre bella ed elegante, eterna ragazza.  Dopo aver lasciato Fabio Mauri, che è stato il tuo riferimento e il tuo maestro di vita,  e prima di trovare il tuo nuovo il grande amore, Aldo, che ti è sempre rimasto accanto,  ti ha protetto e curato fino alla fine, i flirt si sprecavano. Prima fu la volta del ragazzo inglese, che io chiamavo il  piccolo lord, poi ci fu la grande  cotta per Uto Ughi, e molti altri ancora.

     

    Una volta ti sei fidanzata perfino con il mio maestro di sci. D’estate ce lo siamo portato a Capri, dove abbiamo scoperto che non sapeva nemmeno nuotare.

     

    Monica Vitti e Andy Warhol Monica Vitti e Andy Warhol

    Conservo una foto del nostro memorabile viaggio in Brasile: alle nostre spalle un piccolo aereo da turismo, tu indossi un vestitino bianco della mia sartoria e sei con Fabio, mentre io ho accanto il mio flirt del momento,   una specie di scimpanzè, alto, nero e peloso.

     

    L’estate in cui eravamo in vacanza in Sardegna, tu con Fabio e io con Franco Angeli,  a Porto Rotondo, mentre guazzavamo nell’acqua azzurra del Golfo della Marinella, tu perdesti un anello di brillanti, regalo di Fabio o forse di tuo padre, non ricordo. Franco subito si tuffò per ripescarlo; l’acqua era così trasparente che poco dopo riemerse trionfante col tuo anello tra le dita.

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    Te lo porse e tu accettasti con assoluta nonchalance, quasi con suprema indifferenza. Franco smoccolò in romanesco (“Manco un grazie, ammazzalo!”). Eri imperturbabile, niente ti spostava. Solo la tua macchina fotografica ti faceva avere quel famoso guizzo, quella luce particolare... E devo dire… anche lo sconfinato, bisognoso amore che avevi  per  i tuoi  amici.

     

    elisabetta catalano elisabetta catalano

    Io non so dove tu sia ora, Elisabetta, ma mi piace immaginarti da qualche parte, insieme a tutti i nostri comuni amici, Goffredo, Alberto, Fabio, Franco, Gino, Mario, Tano, Vettor…  Chissà, forse riuscirete a ritrovarvi tutti in un luogo sereno, in un mondo migliore di quello in cui ora ci troviamo a fare i conti tutti i giorni con avvenimenti terribili.

     

    Marina Ripa di Meana

     

     

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