Piero Melati per ''il Venerdì - la Repubblica''
ARBASINO
Si tramanda che in anni ormai remoti, vedendolo arrivare elegantissimo alle riunioni di Repubblica, uno storico caporedattore centrale lo sfruculiasse con un ricorrente: «Arbasino, devi lavorareee!». È l' eterno sfottò che nei giornali l' uomo di macchina rivolge all' inviato, ritenendolo individuo più dedito al sollazzo che allo sgobbo, insomma non abbastanza all' opra chino. Ma, da buon lombardo, Alberto Arbasino tutto è stato salvo un lavativo. Se gli appiccicavano addosso quel cliché era forse per i modi distanziati da dandy e perché si muoveva tra i continenti in veste di "reporter culturale", ossia uno sempre a zonzo per mostre, concerti, prime operistiche o teatrali.
ALBERTO ARBASINO RITRATTI E IMMAGINI
Parte delle cose viste e pensate in quelle scorribande riaffiorano adesso in Ritratti e immagini, il nuovo libro di Arbasino in uscita da Adelphi. Come nel precedente, e imperdibile, Ritratti italiani (2014), siamo catapultati anche qui in un vorticoso can can di aneddoti, conversazioni, riflessioni critiche, personaggi conosciuti di persona o - per impossibilità anagrafica - avvicinati solo nei libri (De Amicis, Kraus, Manzoni, Wagner, Wilde...).
Per un totale di 68 big, si va dalla A di Harold Acton alla Y di Zhou Yang, ideologo e scrittore cinese cestinato dalla Rivoluzione culturale. In mezzo incrociamo, tra gli altri, un T.W. Adorno crepuscolare, ma ancora furente; un Truman Capote indistinguibile dai suoi sosia; una Marlene Dietrich in versione circense; un Cristopher Isherwood «cattivissimo, vecchissimo», grasso come «uno di quegli elisabettiani ingordi»...
Sulla copertina di Ritratti e immagini c' è una foto poderosamente prospettica che mostra Arbasino a fine anni 80. Lui guarda in camera, le mani in tasca, la testa sovrastata da un vasto lucernario colorato alla Mondrian, tra pareti zeppe di quadri. Diresti una pinacoteca. Invece no, è casa sua, a due passi da Piazzale Flaminio. Uscendo dal vecchio ascensore a gabbia capisci di non aver sbagliato pulsante perché la biblioteca di Arbasino è esondata dall' appartamento invadendo pure il pianerottolo.
alberto arbasino
«Abito qui dagli anni 60» dice precedendoci sotto la verrière mondrianeggiante. Sostiamo un attimo davanti al ritratto che Pier Paolo Pasolini gli fece con un pennarello: «In realtà ritrasse se stesso. Vi sembrano forse i miei, quegli zigomi?». Beh, in effetti. In salotto ci disponiamo su un lungo divano a L, sotto alte muraglie di libri e sculture di plastica che sembrano enormi balocchi. Vorremmo saperne di più, ma c' è troppo altro da chiedere.
Cominciamo dalla A di Adorno.
«Lo incontrai nel maggio '69, poco prima che morisse. "Venga subito qui!" ordinò al telefono con tono vessatorio».
E lei si precipitò. Dopo settimane di barricate studentesche, Francoforte aveva un aspetto spettrale.
«Il quartiere universitario era deserto, l' aria sapeva di bruciato. Adorno stava nel suo appartamentino... Era diventato una figura drammatica».
ALBERTO ARBASINO
In che senso?
«I conservatori lo accusavano di aver ispirato la contestazione giovanile, i contestatori gli rimproveravano di non aver spinto la filosofia fino alla praxis rivoluzionaria. Era preso tra due fuochi».
E si infuriava. Degli studenti diceva: non protestano contro il mercato. Protestano perché il mercato li snobba.
«Li definì "pedine frustrate dell' industria culturale". Ragazzi che strillavano Ho-Ho-Ho Ci Minh! perché il sistema dell' arte e della letteratura non li accoglieva, non permetteva loro di emergere».
alberto arbasino
In filosofia, Heidegger era la sua bestia nera. Ma sotto sotto Adorno nutriva un complesso di inferiorità nei confronti del rivale?
«No, in assoluto. Non si riteneva inferiore a nessuno. Si considerava l' ultimo grande pensatore tedesco».
Aveva manine paffute. Dicono irresistibilmente attratte da glutei e cosce delle signore. Questa del palpeggiatore fraudolento è leggenda o realtà?
«Stando a quanto riferivano le impiegate della Einaudi era realtà».
A proposito di contestazione, a ridosso del '68 lei allestì a Bologna una scandalosa versione della Carmen. Consulente Roland Barthes.
«Scene di Vittorio Gregotti, costumi di Giosetta Fioroni».
Don José era vestito da Uomo ragno, Escamillo da Batman.
ARBASINO PROVE CARMEN
«Avanguardia».
Mentre oggi le attualizzazioni delle opere liriche cosa sono?
«Retroguardia».
Passiamo alla B di Bergman. Ingmar. Davanti ai suoi film meno riusciti, il commento degli intellò era sempre: Ma Bergman va visto a teatro!
«Poi andavi e scoprivi che le sue regie erano polverosette».
Molto più divertente l' ultima Marlene Dietrich. A Copenaghen si esibiva con Burt Bacharach al piano.
ARBASINO RITRATTI ITALIANI
«Lui era poco più che un bambinetto cotonato».
Lo show era accompagnato da "un presentatore grullo alla Danny Kaye", "giocolieri cinesi con tanti piatti", "una zingara argentina" e "un ventriloquo identico a Kierkegaard in un inquietante numero di Paperini drogati di Lsd". Qualcosa a metà tra il circo e l' incubo.
«Un clima da film dei fratelli Marx. Marlene cantava un repertorio un po' di cassetta. Blue Heaven, La vie en rose... Grande professionalità, ma il risultato era freddino. Quando però ritornava al tedesco di Johnny, tornava anche l' emozione».
Ecco, la Germania: in pagine memorabili il giovane Isherwood cristallizzò il mito della Berlino weimariana come turbolenta Babilonia a dominante omosex. Però quando lei lo conobbe ritrattava tutto. Contrordine compagni: Berlino era un città noiosissima.
ALBERTO ARBASINO IN UNA FOTO DEPOCA
«Provinciale, tutti a letto alle nove, un' atmosfera da Esercito della salvezza, diceva. Mentendo. Era un vecchio inacidito. Sosteneva che la vera Berlino folle fosse stata tale solo in un brevissimo inverno tra il 1907 e il 1908. Mah...».
Pasolini-Magnani-Betti-Arbasino-Moravia
Nelle pagine su Mapplethorpe lei scrive che fino agli anni 60 "la sodomia non esisteva ufficialmente", "mancavano proprio i termini per definirla". "Quando invece si scatenò la liberazione sessuale, ciascuno si classificò in una categoria specializzata, con idiomi e guardaroba e feticci di precetto, dettati dai media". Nei suoi libri torna spesso questa idea degli anni 70 come epoca classificatrice, percorsa da una specie di furia nominalistica, quasi un positivismo di ritorno.
«Qualcosa del genere, sì. Un' epoca di etichette: il drogato, il deviante, la femminista, il gay...».
Alberto Arbasino al Piper di Roma in una foto anni 70
Sull' omosessualità la pregheremmo di ripeterci in extenso la definizione che ne dava sua nonna. Perché merita.
«Diceva: È un disturbo rarissimo che non si verifica nel nostro Paese. Pare che ce ne sia stato qualche caso in Inghilterra, ma solo verso la fine del XIX secolo».
C come Capote. Sul finire lo si vedeva sulle gaie spiagge americane, tra crocchi di gente in bermuda e bandana. Tutti si chiedevano "È lui o non è lui?".
«Correva voce che alcuni si travestissero da Truman per rimorchiare. Era diventato una figura leggendaria e un po' ridicola. Sembrava il suo sosia, invece era lui».
Intanto era esplosa la bomba di Preghiere esaudite, l' ultimo romanzo nel quale Capote metteva sulla graticola la café society newyorchese. Un universo che pure lo aveva coccolato come un genietto. In quel modo firmò la propria sentenza di morte.
9sa 13 edo crociani alb arbasino
«Gli chiusero tutte le porte. Capote voleva essere il Proust americano. Ma nella Recherche l' alta società è ritratta in un affresco labirintico, non come in una rubrica di gossip. Invece Capote fece nomi e cognomi. Non glielo perdonarono. Perché uno che conosceva bene quel mondo sia stato tanto incosciente resta un mistero».
GADDA
Lei lo aveva conosciuto anni prima, nella Roma del dolce vivere, poi ai party degli Agnelli.
«La mitica direttrice di Vogue Diana Vreeland mi chiese un reportage sugli Agnelli. Rifiutai. "Da noi non usa" le spiegai. Lo scrisse Capote».
Perché lei si tirò indietro?
«Per buona educazione».
robert mapplethorpe
Eppure, mutatis mutandis, il putiferio scatenato nel '63 dal suo Fratelli d' Italia può ricordare quello del romanzo scandalo di Capote. Ancora prima di uscire, il libro suscitò "spropositati gossip", un moto di panico nella società letteraria.
«Molti temevano di ritrovarsi dileggiati nel romanzo, messi in mezzo».
Sull' Espresso Andrea Barbato scriveva: "Negli ultimi mesi dell' estate, la parola d' ordine in certi ambienti mondani e letterari era 'Ci siamo dentro tutti'". Paura vera.
mapplethorpe
«Ma ingiustificata».
Però Feltrinelli blindò preventivamente il libro con gli avvocati.
«È vero».
E lei apportò qualche modifica.
«Lo ritoccai per rendere meno riconoscibili certi personaggi, ed eliminai qualcuna delle scene più osé».
Non c' erano nomi.
giovanni e marella agnelli al ballo di truman capote
«No, mai fare nomi».
Aurea prudenza. Ma non bastò. "Anche se lo ammette malvolentieri" continuava Barbato, "Arbasino ha perduto di colpo buona parte delle sue amicizie". Andò così?
«Certo. Con alcuni poi ricucimmo. Con altri no».
Altri chi?
«La rottura con Bassani fu definitiva».
Leggendo il manoscritto per la Feltrinelli le aveva mosso dure obiezioni.
TRUMAN CAPOTE
«Gli sembrava un romanzo privo di trama e di veri personaggi. Lo disturbava il miscuglio di racconto e saggismo, una cosa che da Proust a Musil era entrata nella letteratura europea da quel dì».
Con Moravia invece fu riconciliazione.
«Era difficile non riconciliarsi con Moravia».
Non era tipo da serbare rancore.
«No».
E lei?
«Nemmeno».
Arbasino, a 86 anni lei ritiene di essere approdato a una qualche forma di "saggezza" o la sola parola le fa orrore?
«Orrore no. Ma a "saggio" preferisco il termine "savio"».
GIORGIO BASSANI
Se confrontiamo i suoi romanzi degli anni 60 con quanto si scrive oggi l' impressione è di essere in piena controriforma.
«Non è un' impressione. È così».
L' invenzione linguistica è guardata con sospetto.
«Magari fosse solo guardata con sospetto: è cancellata. I libri sono standardizzati, pianificati dagli editor».
Quand' è che lei ha cominciato ad avvertire i primi sintomi del collasso?
«Quando è venuta meno la civiltà della conversazione. Per quanto mi riguarda, la letteratura veniva da lì».
Non ci dica che è tutta colpa della tv.
Arbasino annuisce come a dire: è colpa, è colpa...
Diana Vreeland
Eppure di tv ne ha fatta anche lei.
«Oh sì, e mi divertiva più del cinema».
Ogni tanto la accenderà.
«Diciamo che evito di vederla fino ai limiti del possibile».
Che cosa legge?
06 nickolas muray marlene dietrich
«Fiction poca. Meglio i libri di memorie. Anche se non ne scriverò».
Non ci dica che la letteratura è finita.
«Finita».
Proprio kaputt?
Arbasino assicura di sì con la testa.
E sia. Ma dopo la fine che si fa?
«Non ne ho idea. E non me importa niente».
THEODOR Adorno