Giorgio Terruzzi per il Corriere della Sera
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Cinque titoli a 33 anni. Juan Manuel Fangio affiancato; Michael Schumacher a due lunghezze, una distanza non impossibile per chi guida con l' ala spalancata a tempo pieno. Lewis Hamilton, al netto di ogni paragone dentro uno sport dominato dalla tecnologia disponibile, mostra una maturazione senza fondo.
Questa vittoria, soprattutto, presenta un atleta capace di mantenere una forma eccellente per sette mesi abbondanti, una serenità mentale abbinata alla ferocia del padrone. Ha distrutto il proprio avversario, Vettel, disturbandolo nei momenti critici; ha abbinato grazia e furia per un equilibrio meraviglioso. In aggiunta, una evoluzione nel modo di comunicare: meno cani, medaglioni, rock, fuffa; più attenzione alla professione, a chi lavora con e per lui; qualche riferimento discreto, ma costante ad una fede che gli dona un equilibrio interiore autentico e profondo. Il che indica una strada ancora lunga sul crinale sottilissimo del successo.
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Molto dipenderà dalla Mercedes che gli ha dato quattro Mondiali negli ultimi cinque anni, senza dimenticare il primo centro, anno 2008, ottenuto con la McLaren alla seconda stagione di F1. Ha Senna come ispiratore da sempre, un' altra persona che ha fatto della propria spiritualità una forza; ha alle spalle una famiglia povera e difficile; genitori separati, un fratello acquisito disabile, le sofferenze che producono bullismo e razzismo. Abbastanza per scovare risorse formidabili.
Hamilton non si ferma, non si fermerà. Ed è bello che nel giorno del suo quinto titolo abbia ritrovato Vettel davanti, insieme a Verstappen, due avversari che dovranno rendere più arduo e onorevole il suo cammino futuro. Magari cercando di mettere a frutto ogni lezione ricevuta, così come ha fatto lui. Trasformando in oro ogni fatica, ogni singolo, doloroso patimento.
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