Massimiliano Panarari per “La Stampa”
MASSIMILIANO PANARARI
Di sicuro, adesso, c'è un (dato di) fatto. L'accusa di provincialismo - specie sotto il profilo della conoscenza linguistica - nei riguardi dei leader politici italiani ha ormai fatto il suo tempo.
O, per lo meno, due dei protagonisti di questa campagna elettorale estiva, Giorgia Meloni ed Enrico Letta, mostrano una padronanza delle lingue che rasenta il cosmopolitismo (parola assai tabù nella cultura politica della prima e autentico romanzo di formazione personal-professionale per il secondo).
Dopo il video in cui la presidente di Fratelli d'Italia si indirizzava alla stampa estera (e ai decision-maker internazionali), ne arriva un secondo del segretario del Partito democratico, che ribatte sostanzialmente colpo su colpo alle affermazioni della prima.
il video di enrico letta alla stampa estera 1
La disfida del trilinguismo in termini strettamente afferenti alla disinvoltura e al controllo del mezzo di espressione segna una vittoria di Letta, rafforzata dalla sensazione che Meloni si supportasse con qualcosa di simile a un gobbo, senza comunque nulla toglierle in quanto a riconoscimento della primogenitura di tale intuizione e self-confidence in materia (in primis nello spagnolo, al netto dell'escalation "pasionaria" dell'intervento presso i neofranchisti di Vox).
GIORGIA MELONI ALLA STAMPA ESTERA
Ma se dal livello della proprietà linguistica e del tono espressivo ci si trasferisce sul piano generale della comunicazione politica se ne ricava l'indicazione di varie tendenze generali di questa inopinata campagna sotto l'ombrellone provocata dalla saldatura dei populismi nazionali (con grande rallegramento di quelli esteri) contro Mario Draghi.
Meloni è la donna (elettoralmente) in fuga verso la vittoria, e nella centralità assunta (da parecchio) dai processi di personalizzazione della politica, è lei a dettare una parte considerevole dei ritmi e dei tempi del discorso pubblico. Come pure dei temi, a partire da quella "questione identitaria" di cui proprio la leader della destra-destra italiana ha saputo intuire gli spazi di mercato elettorale, riuscendo a imporla al centro dell'agenda collettiva.
ENRICO LETTA
Ma chi di identità colpisce, di identità può in qualche "perire", a partire da certe radici non completamente troncate e da un passato che non passa davvero presso alcune fasce di elettorato. Il video meloniano voleva, quindi, lanciare due messaggi di fondo: la ricusazione dell'esistenza di una relazione irrisolta con l'eredità fascista (ma la fiamma ancora presente nel simbolo non va certo in tale direzione) e la rassicurazione dei centri decisionali esteri sulla piena appartenenza di FdI al «campo occidentale» (ribadendo la svolta atlantista).
GIORGIA MELONI ENRICO LETTA
Ecco, allora, che il video lettiano, ripetendo il format del precedente, si presenta come un tentativo di decostruzione delle affermazioni dell'avversaria e del progetto di accreditamento quale destra conservatrice "normale", andando alla ricerca dei suoi punti deboli, con l'occhio rivolto specialmente a Bruxelles (dove i rapporti tra Meloni e il campione della "democrazia illiberale" Viktor Orban costituiscono, notoriamente, una fonte di preoccupazione).
il video di enrico letta alla stampa estera 2
Mentre la "Sorella d'Italia", aspirante a divenirne la prima premier donna nella storia, mostrava di indirizzarsi soprattutto a Washington (anche nella speranza in prospettiva di una vittoria del Partito repubblicano). Una vecchia regoletta aurea del marketing politico suggerisce di non inseguire mai il proprio competitor, perché si finisce per ribadirne il primato. Letta, tuttavia, alle prese con il caos tutt' altro che calmo del proprio campo sempre più ristretto ha puntato tutto sulla polarizzazione; e sembra gareggiare principalmente nella categoria del partito che sarà più votato. Certo, un campionato cadetto rispetto alla "prima divisione" di chi siederà a palazzo Chigi, ma in politica il realismo costituisce anche una virtù.