Stefano Montefiori per il “Corriere della Sera” - Estratti
macron
Con un certo sconcerto nei corridoi dell’Assemblea nazionale i deputati di sinistra osservavano ieri sera che oltre un mese dopo lo scioglimento dell’aula e il terremoto politico che ne è seguito, il presidente Emmanuel Macron è ancora all’Eliseo, il premier Gabriel Attal è ancora a Matignon (sia pure solo per gli affari correnti) e Yaël Braun-Pivet è ancora, e di nuovo, presidente dell’Assemblea nazionale.
La candidata macronista è stata rieletta poco prima delle 21, alla terza votazione, la prima nella quale era sufficiente la maggioranza relativa, dopo una giornata di trattative e di scrutini cominciata alle 15.
Yaël Braun-Pivet, 53 anni, avvocata, ha raccolto 220 voti, superando il candidato unico del Nouveau Front Populaire, il comunista André Chassaigne (207 voti), e Sébastien Chenu del Rassemblement national, votato dai suoi 141 deputati ma da nessun altro.
Braun-Pivet invece ha ottenuto i voti del campo macronista ma anche quelli della Destra repubblicana, i gollisti rimasti anti-Le Pen, in un’alleanza dell’ultimo istante che potrebbe aprire scenari per la formazione di una maggioranza di centrodestra e la nomina di un premier che non sia espressione del Nouveau Front Populaire.
Yaël Braun-Pivet
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I grandi sconfitti sono i quattro partiti (insoumis, socialisti, comunisti, ecologisti) del Nouveau Front Populaire, che parlano di «manovre di Palazzo» e di «vittoria rubata» perché il loro candidato André Chassaigne è stato battuto per soli 13 voti. «E grazie alle dimissioni di Attal accettate in extremis da Macron 17 ministri-deputati hanno potuto votare, violando la separazione dei poteri tra esecutivo e legislativo», protesta la capogruppo mélenchonista Mathilde Panot, che annuncia ricorsi al Consiglio costituzionale.
bompard melenchon
Il voto di ieri segna una indubbia battuta d’arresto della dinamica politica che la sera del ballottaggio sembrava andare in favore della sinistra del Nouveau Front Populaire (Nfp), il blocco arrivato primo. Cinque minuti dopo i risultati, il 7 luglio Jean-Luc Mélenchon si era precipitato in tv per rivendicare la vittoria e reclamare un governo del Nouveau Front Populaire che avrebbe «applicato tutto il nostro programma, nient’altro che il nostro programma».
Mélenchon sorvolava sul fatto che gli mancano almeno 100 seggi per la maggioranza assoluta, e comunque negli 11 giorni successivi le due componenti rivali del Nfp — i socialisti e i mélenchonisti — non hanno mai smesso di litigare, senza riuscire a indicare il nome di un possibile premier.
Battuto Chassaigne, ora l’attenzione si sposta verso la destra, che potrebbe accettare magari non un’alleanza organica ma un «patto legislativo» con i macronisti su una decina di temi prioritari, dal lavoro all’ordine pubblico.
Jean-Luc Melenchon