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    “BISOGNA ROMPERE LE CORNA A BACCINI” - LA MAFIA VOLEVA PUNIRE ANCHE L’EX MINISTRO PER CONTO DI UNA NOBILDONNA ROMANA. DIETRO L’ARRESTO DI GIUSEPPE GUTTADAURO (E DI SUO FIGLIO) LA CONVINZIONE, SECONDO I PM, CHE IL "DOTTORE" DI COSA NOSTRA FOSSE DIVENUTO IL REFERENTE IN CERTI AMBIENTI DELLA "ROMA BENE" PER LA RISOLUZIONE DI PRIVATE "CONTROVERSIE" - L'ARISTOCRATICA PRETENDEVA UN CREDITO DA 16 MILIONI. E BACCINI SAREBBE STATO COLPEVOLE DI... - LA VERSIONE DELL'EX MINISTRO: "IO ALL'OSCURO"


     
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    Giuseppe Scarpa per "il Messaggero"

     

    arrestati GIUSEPPE GUTTADAURO e il figlio arrestati GIUSEPPE GUTTADAURO e il figlio

    «Sono quattro banditelli da tre lire». U dutturi aveva pochi dubbi. Le nuove leve della mafia sono poca cosa rispetto alla vecchia guardia. Questo ciò che pensa Giuseppe Guttadauro, 73 anni. Il dottore, il suo soprannome. Di fatto è un medico, è stato primario dell'ospedale Civico di Palermo. Lui, esponente di spicco di Cosa nostra, vedeva i giovani del grande crimine, deboli. Fragili. Ieri per il boss e il figlio, sono scattate di nuovo le manette. Entrambi sono ai domiciliari con l'accusa di associazione mafiosa. È la terza volta che viene arrestato. Era già accaduto nel 1984 e poi nel 1994.

     

    arresto guttadauro arresto guttadauro

    L'ACCUSA Anche questa volta la procura gli contesta l'appartenenza alla famiglia mafiosa, quella di Palermo-Roccella (inserita nel mandamento di Brancaccio-Ciaculli). Il dottore aveva i gradi di grande ufficiale del crimine e per questo aveva voce in capitolo sulle più significative dinamiche del mandamento. In questo scenario accusava i giovani boss di scarsa tenuta «questo capo di tutto eh... neanche un giorno di carcere si è fatto e si è pentito», ma il suo cuore e soprattutto i suoi affari continuavano a essere legati a doppio filo a Cosa nostra. Nonostante gli anni di carcere scontati e la certezza di essere ancora oggetto delle attenzioni degli inquirenti, Guttadauro, storico padrino del mandamento di Brancaccio, non ha mai interrotto i suoi legami con le cosche.

     

    arrestati GIUSEPPE GUTTADAURO e il figlio arrestati GIUSEPPE GUTTADAURO e il figlio

    La galera l'aveva lasciata nel 2012, dopo tre condanne definitive si era trasferito a Roma, proprio per tentare di non destare l'attenzione degli inquirenti, ma, attraverso il figlio Carlo, continuava a decidere le sorti delle «famiglie» mafiose palermitane e trafficava in droga. L'inchiesta che ha svelato gli affari dell'anziano capomafia, coordinata dalla Dda di Palermo, nasce dalle indagini per la ricerca del boss Matteo Messina Denaro: il fratello di Guttadauro, Filippo, è cognato del padrino ricercato. Del «dottore» il gip di Palermo sottolinea la avversione naturale al rispetto delle regole dell'ordinamento giuridico. «Ti devi evolvere, hai capito? Il problema è rimanere con quella testa, ma l'evoluzione...», diceva al figlio, suo trait d'union con i clan, invitandolo a rispettare le regole di Cosa nostra pur stando al passo con i tempi.

     

    GIUSEPPE GUTTADAURO GIUSEPPE GUTTADAURO

    CONTROVERSIE Da Roma il dottore, che aveva una florida attività di commercio ittico in Marocco - è stato arrestato proprio mentre rientrava dal nord Africa - dirimeva le controversie tra i clan sull'esecuzione di lavori edili commissionati dall'Eni a Brancaccio, progettava la costruzione di un grosso distributore di carburante, gestiva, insieme al clan di Bagheria e Roccella un traffico di stupefacenti, occupandosi dell'approvvigionamento della cocaina dal Sudamerica e dell'hashish dall'Albania. Il giudice, che lo ha messo ai domiciliari, sottolinea il ruolo ancora decisionale di Guttadauro che «forte della sua caratura mafiosa da soggetto che aveva ricoperto posizione di vertice in seno alla consorteria, ancora poteva dirimere i contrasti insorti sul territorio e risolvere, con autorità para statale le vertenze criminali».

    FILIPPO GUTTADAURO FILIPPO GUTTADAURO

     

    A Roma il dottore aveva stretto relazioni importanti con esponenti dei salotti buoni. L'inchiesta ha svelato che aveva cercato di risolvere un contenzioso tra una facoltosa romana, Beatrice Sciarra, moglie di un chirurgo docente alla Sapienza, e Unicredit. A incaricare il boss di risolvere il problema sarebbe stata la Sciarra che vantava un credito di 16 milioni di euro con l'istituto di credito. In cambio del suo intervento il capomafia aveva pattuito un compenso del 5% della somma che la donna avrebbe incassato.

     

    Guttadauro, emerge dalle intercettazioni, aveva fatto capire che sarebbe passato, in caso di esito infruttuoso della sua mediazione, all'azione violenta, incaricando qualcuno di «dare legnate» al soggetto che impediva la transazione, l'ex ministro Mario Baccini. Baccini, a dire di un altro intermediario, assieme all'ex consigliere di Stato Eugenio Mole, avrebbe potuto interferire nella questione pregiudicandone l'esito. Guttadauro venne coinvolto nell'indagine, denominata talpe alla Dda, che costò una condanna per favoreggiamento alla mafia a 7 anni all'ex governatore siciliano Totò Cuffaro.

     

    2 - L'ARISTOCRATICA PRETENDEVA UN CREDITO DA 16 MILIONI 

    Ilaria Sacchettoni per il "Corriere della Sera"

     

    MATTEO MESSINA DENARO MATTEO MESSINA DENARO

    Al grido di «rompere le corna a Mario Baccini» il boss Giuseppe Guttadauro marciava su Roma, almeno secondo i pm. Era il 2018 e il «dottore», com' è noto il boss, sognava percentuali generose come remunerazione per la sua mediazione in una curiosa contesa: quella fra l'aristocratica Beatrice Sciarra e l'istituto bancario Unicredit. Sedici milioni di euro che il padrino, con il proprio muscolare intervento, avrebbe dovuto sbloccare in favore della nobildonna.

     

    Anche a costo di punire l'ex ministro della Funzione pubblica Baccini, reo di aver tentato di pilotare la vertenza Unicredit contro la Sciarra attraverso il magistrato del Consiglio di Stato Eugenio Mele. Nessun dubbio, scrivono i magistrati, che Guttadauro «fosse divenuto il referente in certi ambienti della "Roma bene" per la risoluzione, con metodo mafioso, di loro private controversie».

    mario baccini mario baccini

     

    La storia, annota la gip Rosina Carini, «restituisce uno spaccato davvero sconsolante ed allarmante circa il pervicace potere mafioso riconosciuto a soggetti quali il predetto indagato...». Morale, quel grido («rompiamo le corna a Mario Baccini») risuona nelle orecchie dell'ex ministro oscuro e inquietante, ma andando indietro con la memoria non affiora nulla. «Oggi mi ha chiamato un amico: "Mario c'è una roba che ti riguarda sui siti". Ho letto e mi sono domandato come mai non avessi saputo nulla dalle forze dell'ordine. Forse ritenevano non vi fossero rischi concreti nei miei confronti. Voglio sperarlo» spiega al telefono l'ex ministro del centrodestra.

     

    La frase, letta per intero, suona così: «Io sono insoddisfatto... inc... con quello che mi fai e ti vengo a dire: finiscila perché se no "ti vengo a rompere le corna e non se ne parla più"». Baccini continua a correre con la memoria indietro negli anni, nella speranza di ricostruire qualche frammento utile, ma invano: «Quando ero ministro - dice - mi è capitato di parlare con il dottor Giuseppe Mennini, marito della Sciarra, molto attento alle iniziative istituzionali. Ma nulla so di sua moglie e della questione Unicredit».

     

    mario baccini mario baccini

    Ma davvero lei sarebbe intervenuto su un consigliere del Consiglio di Stato affinché la banca avesse la meglio? «Da ministro della Funzione pubblica vedevo migliaia di consiglieri ma mai nessuno dal nome Mele - replica -. Inoltre tentare di influenzare le decisioni di un magistrato non è nel mio Dna per così dire. Dubito fortemente di una simile ricostruzione. La dico tutta: se davvero mi fossi opposto ai voleri di un boss ne sarei orgoglioso, ma non mi risulta di averlo mai fatto... É probabile che la vicenda sia solo frutto di millanterie. Certo, le minacce sembrano autentiche e dovrò spiegarlo alla mia famiglia».

     

    E «donna Beatrice»? Le parole della gip e le intercettazioni la descrivono come volitiva, determinata, pericolosa. Possibile? Beatrice Sciarra, 65 anni, sposata con il chirurgo Mennini, sarebbe decisa a infliggere la punizione all'ex ministro: «Era stata la stessa Sciarra - esplicita in una conversazione Guttadauro - a sollecitargli in qualità (lui) di capomafia, un intervento punitivo di carattere violento sul proprio oppositore, l'ex onorevole Baccini».

     

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