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    LA MAGICA "MÉDÉE" DI MICHIELETTO ALLA SCALA: MANCAVA DAL 3 GIUGNO 1962, ULTIMA RECITA NEL TEATRO MILANESE DI MARIA CALLAS – MATTIOLI: “PER LA PRIMA VOLTA MÉDÉE È STATA RAPPRESENTATA IN FRANCESE E SENZA TAGLI. RESTA IL GRANDE PROBLEMA DEI PARLATI. IL REGISTA LI HA QUINDI RIMPIAZZATI CON DEI DIALOGHI REGISTRATI. MICHIELETTO, CHE SA FAR RECITARE ANCHE I SASSI, RIESCE A SCONGELARE MARINA REBEKA, MAI COSÌ INTENSA, UN’ANNA MAGNANI DEVASTATA E SCARMIGLIATA CHE…


     
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    Alberto Mattioli per “il Foglio” - Estratti

     

    DAMIANO MICHIELETTO DAMIANO MICHIELETTO

    Mancava dal 3 giugno 1962, ultima recita in loco di Maria Callas. Però quello di Médée di (1797), domenica alla Scala, in realtà non è stato un ritorno ma un approdo. Perché la Callas faceva, ovviamente da CALLAS, una Medea che con quella di Cherubini aveva solo delle vaghe somiglianze: tradotta in italiano (male) e con i recitativi non parlati come nell’opéra-comique originale ma cantati, orchestrati da Franz Lachner nel 1855 su una traduzione tedesca.

     

    Oggi è di buon gusto trovare di cattivo gusto il lavoro di Lachner, che è semplicemente un onesto frutto del suo tempo. Poiché però non siamo più nel 1855, anche se a giudicare dal suo pubblico parrebbe di sì, alla Scala per la prima volta Médée è stata rappresentata in francese e senza tagli.

    medee di michieletto alla scala medee di michieletto alla scala

     

    Resta il grande problema dei parlati. Quelli dell’opéra-comique erano degli attori che cantavano (male, pare) più che dei cantanti che recitavano; oggi quello stile è estinto, specie dopo la sciagurata fusione delle troupe dell’Opéra-comique e dell’Opéra nel 1939, e sopravvive soltanto in qualche remota incisione. In ogni caso, l’ipotesi che, fra un numero musicale e l’altro, dei cantanti lirici per di più non madrelingua possano declamare gli alessandrini di François-Benoît Hoffmann è semplicemente impraticabile.

     

    Il regista Damiano Michieletto li ha quindi rimpiazzati con dei dialoghi registrati, che danno voce a chi voce non ha mai avuto, da Euripide in poi: i figli di Medea e Giasone. Sono brevi inserti, molto ben scritti dal drammaturgo Mattia Palma, una soluzione semplice ma efficace al rebus dei parlati. Lo spettacolo, tuttavia, non finisce qui, e non è certo uno di quegli arredamenti d’interni che alla Scala credono essere le regie d’opera. Siamo in un salotto minimalchic dove una porta misteriosa calamita subito gli sguardi: è quella della cameretta dei bambini, come al solito al centro dei ricatti incrociati della coppia scoppiata Médée-Jason. Da lì è un crescendo emotivo irresistibile, che trasforma il dramma familiare in tragedia cosmica.

    marina rebeka medee di michieletto alla scala marina rebeka medee di michieletto alla scala

     

    Lo scenografo, l’orso ottimo massimo Paolo Fantin, fa “crepare” il muro sul quale i pupi hanno scritto il loro amore per maman, e sommerge la scena con cascate di carbone; i costumi contemporanei di Carla Teti “raccontano” i personaggi, a cominciare da un Jason giustamente truzzissimo; le luci di Alessandro Carletti sono una meraviglia.

     

    E Michieletto, che sa far recitare anche i sassi, riesce a scongelare Marina Rebeka, mai così intensa, un’Anna Magnani devastata e scarmigliata che abbraccia il suo Jason in posa fetale come ultimo momento di impossibile felicità. L’uccisione dei pargoli avviene sì fuori scena, come da libretto, ma ripresa da una telecamera interna. Sconvolgente. E allora davvero, come voleva Aristotele, il terrore e la pietà della tragedia ci purificano e, come vogliamo noi, ci obbligano a pensare.

     

    medee di michieletto alla scala medee di michieletto alla scala

    Certo, questo risultato non sarebbe possibile senza la splendida direzione di Michele Gamba. Si trattava di “sgrassare” Médée dalle sue improprie superfetazioni romantiche o peggio veriste, ma senza rinunciare alla violenza espressiva di questa musica terribile. Gamba trova un suono limpido, leggero, quasi trasparente, a tratti perfino scintillante, però sempre innervato da una tensione continua, inesorabile come la maga. E fa capire come il mondo di Cherubini sia certo il Gluck francese, ma soprattutto il ghiaccio infuocato del Mozart sublime di Idomeneo

     

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