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    LA MORTE DI MUHAMMAD ALI È INIZIATA SUL RING - LA MALATTIA DEL PUGILE ERA LA CONSEGUENZA DEI CAZZOTTI PRESI DURANTE LA SUA LUNGA CARRIERA: I TRAUMI AVEVANO DISTRUTTO LE CELLULE DEL TRONCO CEREBRALE - LA SUA AGONIA E’ DURATA TRENT’ANNI - VIDEO! (80 ANNI FA NASCEVA MUHAMMAD ALI, "THE GREATEST")


     
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    Estratto del libro di Thomas Hauser “Muhammad Ali. Impossibile è niente” pubblicato da “la Repubblica”

     

    Nel 1997 Muhammad Ali mi disse che contava di vivere fino a novant' anni. Eravamo in pullman, diretti a una scuola elementare di Boston, dove sarebbe intervenuto a un seminario sulla tolleranza destinato ai piccoli allievi. A quel tempo il morbo di Parkinson era già evidente nel suo modo di parlare, ma il fisico era ancora forte e la sua mente del tutto lucida. Strada facendo, si abbandonò ai ricordi delle persone importanti della sua vita scomparse prima di lui. Suo padre, Elijah Muhammad, Sonny Liston e pochi altri.

    «Sì, non mi dispiacerebbe arrivare a novant'anni» disse. «Credo proprio di potercela fare. Ma se a ottantanove mi sentirò ancora in forma, potrei cambiare idea e chiedere a Dio di lasciarmi un altro po' di tempo». Purtroppo, invece, non si sarebbe sentito in forma ancora a lungo, non fisicamente almeno.

     

    ultimo scatto di muhammed ali ultimo scatto di muhammed ali

    mohammad ali giovane mohammad ali giovane

    Il suo declino è avvenuto sotto gli occhi del mondo. I sintomi di cui iniziò a soffrire nel 1984 - difficoltà di parola e di equilibrio, volto inespressivo (la cosiddetta "maschera") e tremito delle mani - e per i quali si era fatto ricoverare quell' anno per accertamenti, componevano il quadro di una sindrome parkinsoniana. Il dottor Stanley Fahn, direttore del Center for Parkinson' s Disease and Other Movement Disorders della Columbia University, era il medico principale dell' équipe che al New York-Presbyterian Hospital si occupò delle analisi di Ali.

    Grazie alla liberatoria firmata dal campione per facilitare le ricerche del mio libro, Impossibile è niente, Fahn mi parlò apertamente delle sue condizioni di salute. A quel tempo la diagnosi non era di morbo di Parkinson. Secondo il dottor Fahn, i suoi sintomi erano la conseguenza dei traumi fisici che avevano distrutto le cellule del tronco cerebrale.

    ultimo scatto di muhammed ali 5 ultimo scatto di muhammed ali 5

     

    «Il mio paziente mi ha autorizzato a parlarle con totale sincerità e trasparenza» mi disse il medico. «Ecco cosa ne penso. Secondo me si tratta di parkinsonismo post-traumatico, dovuto alle lesioni procurate sul ring. Dubito che possa essere la conseguenza di un unico incontro. La mia ipotesi è che la causa siano stati i ripetuti colpi alla testa nel corso della carriera».

     

    L'AGONIA DI UNA FARFALLA

    OBAMA MOHAMMED ALI OBAMA MOHAMMED ALI

    Nei tre decenni successivi il mondo ha assistito a uno spettacolo senza precedenti per durata e trasparenza: il lungo e desolante declino fisico di una delle icone più amate di sempre. Poco alla volta, Ali ha perso tutte le qualità che lo contraddistinguevano: l' agilità, la voce, la bellezza. Un tempo l'espressione del suo viso sprizzava felicità. Negli ultimi anni ci sono stati momenti in cui sembrava portare incise sul volto tutte le sofferenze e le brutture del mondo. Le sue immagini non suscitavano più gioia e trepidazione: erano il preludio della fine. Tutti temevamo il peggio da un momento all' altro.

     

    Nella sua versione più forte, vitale e ribelle, Ali incarnava appieno il fulgore della gioventù.

    NELSON MANDELA E MOHAMMED ALI NELSON MANDELA E MOHAMMED ALI

    Si poteva sostenere che fosse la persona più attraente, carismatica, fisicamente dotata della Terra. E vedere ridotto in sedia a rotelle l'uomo che un tempo aveva volato come una farfalla e punto come un'ape era straziante.

     

    La vita offre molte cose meravigliose di cui godere: le rose e le albe, la musica di Mozart e la Cappella Sistina, la felicità e l'amore. Ma tanta bellezza è sempre accompagnata dalla consapevolezza della nostra mortalità. E se abbiamo la fortuna di vivere abbastanza, tutti noi siamo condannati al declino fisico e mentale. Tuttavia, alcuni sono più tristi di altri. Certi tramonti sono dorati, altri meno. Gli anni migliori di Ali furono davvero eccezionali. Gli ultimi, invece, non sono certo stati clementi. E la sua agonia, svoltasi in modo così pubblico, è durata tre interi decenni.

    laila e mohammed ali laila e mohammed ali

     

    Possiamo dire a noi stessi che la cosa non ci riguarda, che è accaduta a qualcun altro, che noi non abbiamo preso tutti i colpi in testa che ha preso lui. Ma per chi ha assistito ai suoi anni di gloria, seguire la parabola discendente di un' esistenza tanto straordinaria ha rappresentato un innegabile e doloroso memento mori.

     

    CI SONO SEMPRE I GIORNI BUONI

    È il lato oscuro della vita umana. Venticinque anni fa Ali mi disse: «Non voglio che la gente provi pietà per me. Ho avuto una bella vita, in passato, e continuo ad averla anche adesso. Sarebbe molto peggio se soffrissi di una malattia contagiosa, perché in quel caso non potrei giocare con i bambini e abbracciare le persone, mentre il fatto che non riesca a parlare è più un problema per gli altri che per me. Non mi impedisce di fare ciò che voglio e di essere chi sono».

    ultimo scatto di muhammed ali 6 ultimo scatto di muhammed ali 6

     

    In quell'occasione, Lonnie Ali aggiunse: «Il declino fisico è terribile per chiunque, ma per chi vive sotto i riflettori e si ritrova privato del talento che definiva la sua identità è ancora più spaventoso. È quello che è successo a Muhammad, e per la prima volta in vita sua ha avuto paura.

     

    Ha smesso di esprimersi con la libertà di un tempo, per il timore che, appena avesse aperto bocca, la gente avrebbe pensato: "Guarda, non riesce neanche più a parlare". Qualche benintenzionato ha sostenuto che non era malato, solo annoiato o stanco, o magari un po' depresso. Cercavano di proteggerlo, ma la verità è che Muhammad ha davvero un problema fisico e non c'è niente di cui vergognarsi a essere malati, qualunque sia la tua malattia. Muhammad la affronta ogni giorno a viso aperto, e anche gli altri dovrebbero seguire il suo esempio».

     

    MOHAMMED ALI E I BEATLES MOHAMMED ALI E I BEATLES

    In seguito le sue condizioni fisiche sono peggiorate vistosamente. I sintomi si sono aggravati. Negli ultimi anni non riusciva davvero più a parlare. Gli era sempre più difficile comunicare, e non soltanto con il pubblico, ma anche con le persone più care. Era doloroso per chi lo amava, e anche per lui. Eppure avevi la netta impressione che fosse in pace con se stesso.

     

    MOHAMMED ALI CONTRO SONNY LISTON MOHAMMED ALI CONTRO SONNY LISTON

    All' inizio del 2015 Rasheda Ali (una delle sue figlie) mi disse: «La prima volta che gli hanno comunicato la diagnosi, mio padre ne è uscito distrutto. Chiunque avrebbe reagito allo stesso modo. Ora però non se ne preoccupa più di tanto. Lui pensa all' aldilà. E il suo modo di vedere la malattia ha cambiato anche il nostro. I giorni buoni, quelli in cui riesce a comunicare, sono sempre più rari, ma a volte succede. Dipende dalla giornata e dall' orario. È la malattia a decidere».

     

    La fede gli è stata di grandissimo aiuto. Lo consolava il pensiero che quegli ultimi anni fossero soltanto una transizione, prima di accedere al paradiso.

    «Ho accettato la malattia perché è il volere di Dio» mi confidò. «So che Dio non assegna a nessuno un carico superiore alle sue forze. E ciò che sto passando adesso sarà un tempo brevissimo rispetto all' eternità».

     

    MOHAMMED ALI CONTRO SONNY LISTON MOHAMMED ALI CONTRO SONNY LISTON

    Lo sguardo del mondo Ciò che il mondo ha visto negli ultimi anni influirà sulla visione di Ali delle prossime generazioni? Lui non voleva essere ricordato così. Quale sarà la sua immagine futura? Ali ha un significato speciale per quanti di noi hanno vissuto negli anni Sessanta. «Non hai idea di cosa rappresenti per noi» è un ritornello che si è sentito ripetere spesso. È stato una parte essenziale della vita di tante persone. I giovani di oggi non hanno conosciuto in prima persona Ali nel pieno del suo fulgore.

     

    Chi ha meno di trent' anni potrà rispettarlo, ma non lo ama quanto le generazioni passate, perché non ha vissuto nella sua epoca. Le immagini recenti di un Ali fisicamente debilitato si sono impresse a fuoco nella coscienza collettiva. È così che le ultime due generazioni lo hanno visto in presa diretta. Ai loro occhi, il resto appartiene al passato e alla memoria dei vecchi.

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    Ci vorrà del tempo prima che queste immagini sbiadiscano per lasciare di nuovo posto a quelle di Ali giovane. Ma queste ultime sono alla portata di chiunque. E in futuro lo sguardo del mondo tornerà a concentrarsi sull' atleta inarrestabile, l' uomo vitale ed elettrizzante di un tempo, restituendogli il giusto posto nella storia. Le generazioni a venire lo vedranno con più chiarezza di quelle presenti.

     

    SONO IL PIÙ BELLO

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    Per anni mi sono chiesto quale sarebbe stato il lascito di Ali, a parte la sua eccellenza sul ring, e ogni volta sono tornato al ricordo del suo esempio di orgoglio nero e al suo rifiuto di combattere in Vietnam. "È stato un faro di speranza per gli oppressi in ogni parte del mondo" dicevo a me stesso. Ha rivoluzionato l' esperienza dell' identità nera per decine di milioni di persone. Quando, davanti allo specchio, diceva: "Sono il più bello", stava anticipando il concetto "nero è bello" ben prima che diventasse di moda. E quando ha stracciato la cartolina di leva, si è opposto agli eserciti di tutto il mondo, in difesa del principio pacifista. Negli ultimi anni, però, mi sono convinto che l' eredità di Ali comprenda anche un altro elemento ugualmente essenziale.

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    Ha incarnato l' amore. Ad Ali non servono elogi funebri. Il modo in cui ha vissuto la sua vita è già un tributo sufficiente. Sul ring ha rappresentato al massimo il romanticismo della boxe e al contempo la sua atrocità. Come pugile aveva una qualità quasi spirituale, che gli ha consentito di superare i limiti fisici della maggior parte degli altri atleti. Evocava le suggestive parole di Lord Byron: "Dentro di me c' è qualcosa in grado di sconfiggere ogni tortura e di travalicare il tempo, e che continuerà a vivere quando io avrò esalato l' ultimo respiro".

     

    La storia ricorderà gli altri pugili per le loro imprese sul ring. Ali ha lasciato un ricordo indelebile anche per quelle compiute fuori. Ha elevato il suo sport tramutandolo in una metafora della vita americana. Nel corso degli anni, il mondo intero è diventato il suo palcoscenico. Mark Twain ha scritto: "È strano come il coraggio fisico sia tanto comune e quello morale tanto raro". Ali li possedeva entrambi.

     

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    Forse non ha cambiato il mondo quanto avrebbe voluto, ma la sua presenza lo ha reso comunque migliore. Ha trasmesso gioia a tutti coloro che l' hanno conosciuto, e dato calore alle nostre esistenze. Non ha mai perso l'occasione di aiutare qualcuno. Amava la vita e io non ho mai incontrato nessuno pieno d' amore quanto lui. Non aveva bisogno di conoscerti di persona per toccarti il cuore. Una delle cose che ci spaventano di più della morte è il pensiero di essere dimenticati. Sono ben pochi gli uomini e le donne assurti a un rango paragonabile a quello di Ali, e lui sarà ricordato in eterno. È diventato immortale già in vita.

     

    IN PACE CON SE STESSO

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    Conoscere bene una persona è sempre un' opportunità. Nel caso di Muhammad Ali, è stato un privilegio speciale. Ho trascorso innumerevoli ore in sua compagnia e viaggiato con lui in tutto il mondo. Ci sono stati moltissimi momenti belli e nemmeno uno brutto, ma un episodio in particolare mi è rimasto impresso. Eravamo in aereo, di ritorno negli Stati Uniti dall' Indonesia, dove Muhammad era stato sommerso da folle di ammiratori.

     

     

    Migliaia di persone venute da villaggi remoti per accoglierlo all' atterraggio. Bambini che non erano ancora nati quando combatteva, in piedi sotto la pioggia a urlare il suo nome. Secondo le stime delle autorità, alla moschea di Istiqlal, a Giacarta, si erano raccolte duecentomila persone. Sopraffatta ogni parvenza di cordone di sicurezza, avevano circondato la macchina, cantando: «Ali! Ali!».

     

    L'auto procedeva a passo di lumaca, mentre Muhammad implorava l' autista: «Rallenti, per favore, non faccia del male a nessuno». Insomma, la visita era durata dieci giorni e ormai stavamo tornando a casa. Il volo, attraverso dodici fusi orari, sembrava interminabile.

     

     

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    Muhammad e Lonnie sedevano l' uno accanto all' altra, io e Howard Bingham sul lato opposto del corridoio. Dopo un po' mi assopii. Al risveglio, ore più tardi, l' oscurità fuori dal finestrino era assoluta. In cabina le luci erano spente, e i passeggeri dormivano. Tutti, tranne Muhammad. Lui vegliava con il faretto acceso; leggeva il Corano. E in quel momento, nell' alone di luce, mi è parso più forte e più in pace con se stesso di qualsiasi altra persona abbia mai conosciuto.

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