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    CON GLI EURO-POTERI O CON GLI EURO-PUZZONI - MELONI E’ AL BIVIO: O FA L’ACCORDO CON URSULA OPPURE TORNA SU POSIZIONI ANTI-UE CON ORBAN, IL CECO FIALA E LO SLOVACCO FICO – SAREBBE L'UNICO MODO PER EVITARE CHE MARINE LE PEN E SALVINI LE SVUOTINO IL GRUPPO ECR (I POLACCHI DEL PIS NON VOGLIONO APPOGGIARE VON DER LEYEN) - VICEVERSA, TROVA UN ACCORDO CON URSULA DA UNA POSIZIONE DI DEBOLEZZA, FA SCOPPIARE I CONSERVATORI MA INCASSA IL COMMISSARIO A BILANCIO E PNRR (IN POLE FITTO) O ALL’IMMIGRAZIONE (ELISABETTA BELLONI?)  


     
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    Tommaso Ciriaco per repubblica.it

     

    ursula von der leyen meloni ursula von der leyen meloni

    Il primo bivio non chiama in causa Giorgia Meloni: tocca a Ppe, socialisti e liberali decidere se portare l’opzione di un bis di Ursula von der Leyen in Consiglio europeo.

     

    Non dovesse accadere, si aprirebbe una partita nuova, al buio, dagli esiti imprevedibili. In cui la premier, almeno questa è la speranza di Palazzo Chigi, possa provare a incidere sul nome di un candidato alternativo, di sponda con l’ala destra del Partito popolare europeo.

     

    Al momento, però, l’ipotesi Ursula resta la più solida, o comunque la meno spregiudicata. Di questo si ragiona in queste ore, a Roma come a Bruxelles. Attorno a questo scenario la premier elabora la propria strategia. E incontra il bivio che la interessa, un vero e proprio tormento che la spinge a cambiare e ricambiare ripetutamente idea. È una scelta esistenziale che si può sintetizzare così: radicalizzazione o riduzione del danno?

    EMMANUEL MACRON - OLAF SCHOLZ - DONALD TUSK EMMANUEL MACRON - OLAF SCHOLZ - DONALD TUSK

     

    Il primo schema, quello definitivo appunto della radicalizzazione, assomiglia a un salto nel vuoto. La premier, marginalizzata da Francia e Germania, mortificata, sondata solo perché depositaria di una dote di voti all’Europarlamento, decide di non votare a favore di Ursula von der Leyen in Consiglio europeo. Con lei soltanto l’ungherese Viktor Orban, il ceco Petr Fiala, forse lo slovacco Robert Fico.

     

    La premier si consegna all’estremismo euroscettico, per di più con compagni di strada filorussi. Si autoesclude dalla cabina di comando del Continente, torna avversaria di Bruxelles e irrita Washington (almeno finché a governare sono i democratici e non Donald Trump). Tutto, pur di salvare il gruppo di Ecr dall’espansionismo dei lepenisti, che rischiano di svuotarle il gruppo, ma anche di evitare la concorrenza a destra di Matteo Salvini. Il leghista, in queste ore, è tornato a preoccupare Palazzo Chigi, che teme un’escalation in caso di vittoria di Le Pen alle legislative francesi.

     

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    Siccome Meloni gioca sempre su due tavoli esiste però l’altro scenario, quello del contenimento del danno. Pragmaticamente, la presidente del Consiglio si accontenta del portafoglio economico che le offre von der Leyen, affidando al “moderato” Raffaele Fitto la gestione del Pnrr, dei fondi di coesione e il bilancio (anche se in alternativa resta sempre in ballo una casella identitaria come l’immigrazione per Elisabetta Belloni).

     

    (...) Meloni rischia di perdere un terzo degli eurodeputati conservatori, in direzione Le Pen, e vede ridotta la pattuglia di Ecr a un gruppetto numericamente marginale.

     

    EMMANUEL MACRON - OLAF SCHOLZ - DONALD TUSK EMMANUEL MACRON - OLAF SCHOLZ - DONALD TUSK

    È un quadro possibile, addirittura probabile. Oggi i conservatori faranno il punto della situazione. L’obiettivo è costruire una linea politica, l’ambizione accogliere alcuni non iscritti (ad esempio gli irlandesi) per superare i liberali. I polacchi del Pis però, sempre più distanti da Meloni, sono tentati da Le Pen e considerano l’appoggio a Ursula un’eresia: è la loro mossa anti-Tusk, popolare che li ha scalzati dal governo. Anche Orbán potrebbe fare lo stesso, in previsione dell’arrivo di Trump

     

    (...)

     

     

    UN COMMISSARIO A BILANCIO E PNRR: L’OFFERTA ALL’ITALIA DI VON DER LEYEN

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    Claudio Tito per repubblica.it - Estratti

     

    La delega al Bilancio, al Pnrr e ai fondi di coesione. Ursula von der Leyen corre ai ripari e prepara questa offerta alla presidente del consiglio, Giorgia Meloni, per convincerla a rientrare nel gioco dei “top jobs”. Non per far parte della maggioranza ufficiale che eleggerà le principali istituzioni comunitarie ma almeno per non arroccarsi in una isolata opposizione. Un Commissario con una competenza economica e un ruolo decisivo nella principale sfida che attende l’Italia: l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Un ruolo che sembra ritagliato sulle competenze di Raffaele Fitto.

     

    Una delega “economica” che tiene conto delle difficoltà italiane. Oggi, infatti, la Commissione aprirà formalmente la procedura per deficit eccessivo nei confronti dell’Italia insieme ad un pacchetto di altri partner tra cui la Francia. Una misura che imporrà risparmi almeno per dodici miliardi l’anno.

     

     

    (...)

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    Il nodo, in effetti, si stringe proprio sull’esclusione dell’Italia e della destra. Tutti i “negoziatori” dei tre partiti principali - anche il popolare polacco Tusk - l’hanno posta come condizione. Ma nel Ppe si sta aprendo una frattura evidente. Da una parte i governi e dall’altra il partito.

     

    I primi voglio chiudere rapidamente la discussione senza coinvolgere i Conservatori e quindi senza Meloni. I vertici di partito, il presidente Manfred Weber e il vicepresidente Antonio Tajani, insistono sulla linea opposta. Ritengono che i risultati delle ultime elezioni europee abbiano dato un’indicazione a favore del blocco Conservatore. Ma poiché i numeri - in Consiglio europeo e in Parlamento - dicono esattamente il contrario, sta ormai crescendo a Palazzo Berlaymont e in diversi esecutivi a guida popolare, il tentativo di far cadere l’opzione a favore di von der Leyen. Tra i sostenitori di questa strada anche alcuni capi di governo come il croato Plenkovic.

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    E per alzare la tensione è stato messo in discussione il nome proposto dai socialisti, il portoghese Antonio Costa, per la presidenza del Consiglio Ue. Una linea contestata perfino dall’interno del Ppe, al punto che il primo ministro portoghese, il popolare Montenegro, ha dovuto ribadire al summit con i colleghi di partito che su Costa non c’è alcun problema giudiziario. Allora sono passati al “piano B”: chiedere un mandato dimezzato per Costa.

     

    Solo due anni mezzo anziché cinque. Una richiesta che, se accettata, porterebbe il Ppe ad occupare tutte le principali caselle europee a partire del 2027. «Semplicemente inaccettabile», rispondono dal Pse. Che infatti insiste sia su Costa, sia sull’intero mandato e sulla necessità di non coinvolgere politicamente l’Ecr e Fdi. «Altrimenti - è l’avvertimento - potete fare a meno di noi». Ma senza i socialisti, la maggioranza non esiste.

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