Estratto dell’articolo di Alessandra Coppola per il “Corriere della Sera”
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I due giovani dal cranio rasato in attesa del concerto si proclamano «banditi»: betyár. Come i leggendari briganti che nell’800 assalivano i viaggiatori per distribuire ai poveri. E come è scritto sul gilet di pelle che indossano, sopra il teschio e le asce incrociate. Con l’aggiunta di sereg, armati. «Significa difendere la nazione a costo della vita», spiegano, è il marchio del gruppo di motociclisti a cui appartengono.
Se sono qui stasera, continuano, è per ascoltare una musica che «rafforza l’identità ungherese»: «Patria, amore, coesione, lealtà». Sul palco stanno per salire i Romantikus eroszak, Aggressione romantica, Romer nell’abbreviazione dei fan. Festeggiano trent’anni di rock e di testi che celebrano fuorilegge e tradizione, minacciano «chi vuole male all’Ungheria», maledicono «la strada del tabacco», che per chi vive a Budapest corrisponde al quartiere ebraico.
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Canzoni preferite? Sondaggio in una comitiva di bomber neri, coccarde tricolori, croci celtiche, teste rigorosamente calve, con l’eccezione di un capellone che si definisce «rocker»; tutti maschi neanche ventenni, un’unica ragazza trascinata dal fidanzato: «Sempre skinhead», è il risultato, e «Ungheresi al cento per cento», assieme a una «Betyár ballada» sui briganti di cui sopra. Al momento della foto di gruppo, si alza un braccio teso nel saluto nazista.
È un concerto ma potrebbe essere un raduno della destra più estrema, che qui come altrove in Europa di questo rock identitario si nutre. E viceversa, a questa musica dà sostanza. [...]
È un fenomeno oramai da decenni oggetto di studi, anche in Italia. Lo ha approfondito, tra gli altri, la politologa dell’Università di Firenze Giorgia Bulli, che ha individuato tre fasi evolutive: una prima nostalgica e minoritaria dopo la Seconda guerra mondiale e la sconfitta del nazifascismo; una seconda più sfrontata, sorta soprattutto in Gran Bretagna negli anni Settata in sfida alla musica della sinistra radicale. Infine, l’ultima che include «un elemento forte di marketing», nota Bulli.
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«Queste produzioni musicali circolano sulle nuove piattaforme digitali, diventano molto più facili da raggiungere e si trasformano anche in un mezzo di reclutamento per un settore giovanile che o è già fortemente identificato con l’area subculturale dell’estrema destra oppure può essere anche attraverso la musica intercettato».
In questa lettura, il rock diventa dunque strumento di propaganda e proselitismo. È una linea che condivide in Ungheria la celebre sociologa Margit Feischmidt, che incontriamo in un bar di Pest. Le band, i concerti e i festival di rock identitario hanno avuto grande importanza nello sviluppo dell’estrema destra, dice, «perché hanno permesso al linguaggio di questo nuovo nazionalismo di penetrare ed espandersi nella cultura popolare». I testi aggressivi dei Romer si sono così mescolati a messaggi più soft. E il risultato è stato «un linguaggio nel quale un numero più ampio di persone si riconosce».
Fan dei Romer è anche László Toroczkai, 46 anni, deputato ungherese e leader del partito la Nostra Patria, che ci riceve nel bell’ufficio sul Danubio. «Il frontman è un mio amico — racconta —. A lungo ho organizzato un festival molto noto, “L’isola ungherese”, e gli Aggressione romantica erano sempre nel programma».
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[...] Da 14 anni il governo a Budapest è ininterrottamente guidato dal campione dei sovranisti europei Viktor Orbán e dal suo partito Fidesz, che alle prossime europee è quotato attorno al 47 per cento dei consensi (si vedrà poi se i recenti scandali e le proteste di piazza eroderanno voti).
Scavalcando Orbán, però, è sempre esistito uno spazio estremo che prima era occupato dalla sigla Jobbik. Quando dieci anni fa il leader di questa formazione ha impresso una vigorosa sterzata al centro, il giovane leone Toroczkai ha guidato la fronda e nel 2018 ha battezzato il suo movimento: Mi Hazánk , la Nostra Patria. I sondaggi lo danno poco sotto il 10 per cento, con la possibilità dunque di entrare per la prima volta all’Europarlamento e ingrossare le fila di Identità e Democrazia, il gruppo che potrebbe diventare il terzo più ampio dopo Popolari e Socialisti.
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Il bagaglio che Nostra Patria porta a Strasburgo, in sintonia con i partiti fratelli, in particolare la tedesca Alternative für Deutschland, si regge su alcune idee essenziali, declinate prima di tutto in Ungheria: «Zero immigrazione — spiega Toroczkai — non la vogliamo. Intendiamo proteggere i nostri confini e quelli dell’Unione».
Il movimento ha ideato la legge contro la «promozione dell’omosessuale tra i minori», promulgata poi da Fidesz, e il leader ribadisce la sua preoccupazione per la «propaganda gay» e «i disturbi che può creare allo sviluppo sano dei bambini» (accusando anche Orbán di rubargli le idee). Infine, Toroczkai affronta la questione dell’esclusione sociale della minoranza Rom: «Sono loro che non si vogliono integrare». [...]
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