Elisa Manacorda per “La Repubblica - Salute”
FLORINDA MAIONE
Senza la corsa mattutina, le ore di palestra, i pesi, gli addominali, le flessioni, lo stretching. Senza la fatica, il sudore, le calorie bruciate, l’estremo sforzo muscolare. Senza tutto questo, tutti i giorni, in ogni momento libero, la loro vita è vuota. Sono le donne e gli uomini per i quali l’attività fisica è diventata una droga.
Per i quali la pratica sportiva, di cui pure conosciamo tutti i benefici per la salute in dosi ragionevoli, arriva a dominare in modo crescente l’intera esistenza, influenzando le relazioni affettive, il lavoro, i ritmi biologici (sonno- veglia, fame). Tutta la loro giornata è scandita dagli esercizi, unica fonte di piacere. E quando non riescono ad avere la loro dose quotidiana mostrano i sintomi dell’astinenza, con malesseri fisici e psicologici.
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Gli anglosassoni parlano di exercise addiction, ed è una vera e propria dipendenza dall’attività fisica. Una sindrome – spiega Florinda Maione, psicoterapeuta e presidente della SIIPaC Lazio, la Società Italiana Intervento Patologie Compulsive – in cui riconosciamo dei sintomi simili a quelli presenti in altri tipi di nuove “dipendenze”, come quella dal gioco d’azzardo, dal sesso, da internet, da shopping: l’incapacità di concentrarsi su un’attività a causa del pensiero ricorrente alla pratica sportiva.
La necessità di allenarsi anche quando si ha un infortunio o il medico lo ha caldamente sconsigliato. Il desiderio persistente di fare esercizio fisico, e l’incapacità di controllarlo o ridurlo. Un bisogno crescente di aumentare il tempo e la quantità dell’allenamento.
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La sindrome è diffusa, anche se i numeri sono pochi: l’unico studio a mostrare qualche cifra risale al 2012 (su Psychology of Sport and Exercise) e parla di una prevalenza dello 0,3-0,5 per cento della popolazione adulta. Negli Stati Uniti si riconoscono oltre 400.000 donne drogate dallo sport. Ma anche in Italia i terapeuti che lavorano presso i centri che si occupano di nuove dipendenze la conoscono bene.
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E sanno anche come diagnosticarla con accuratezza, distinguendola dal semplice eccesso sportivo. «Parliamo di dipendenza quando l’attività fisica ha una funzione di regolatore dell’umore e di uno squilibrio interno, e quando finisce per dominare in modo crescente l’intera vita dell’individuo», spiega ancora Maione.
Quando, insomma, l’idea di spingersi oltre il limite, superare se stessi, non fermarsi mai, diventano imperativi irrinunciabili. In genere si comincia con il desiderio di stare in forma, che poi prende la veste di disturbo ossessivo compulsivo. A volte invece la sindrome è strettamente legata a disturbi dell’alimentazione come l’anoressia o la bulimia, o al disturbo dell’immagine corporea.
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I ricercatori dell’Università della California del Sud calcolano per esempio che il 15 per cento delle persone che soffrono di exercise addiction sia anche dipendente da fumo, alcol o sostanze stupefacenti, e che un quarto del totale abbia forme compulsive nei confronti di sesso e shopping.
Come per tutte le dipendenze, se si vanno a cercare i meccanismi bisogna guardare al cervello; e alla sua chimica: l’attività fisica provoca il rilascio di sostanze (i neurotrasmettitori endorfina e dopamina) nel sistema nervoso, che provocano una sensazione di piacere e ricompensa, esattamente come accade con le sostanze stupefacenti.
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Ma in alcuni soggetti, con il passare del tempo la stessa quantità di esercizio fisico non basta più, tanto da dover aumentare progressivamente le sedute di allenamento per ottenere la stessa sensazione. Così alla fine arrivano anche le menzogne agli amici e ai familiari: io dipendente? No, smetto quando voglio. Ma non è vero.
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Come se ne esce? «Innanzitutto – spiega Maione – si cerca di identificare le cause emotive, cognitive e relazionali della dipendenza: perché spesso questa è solo la manifestazione di una patologia più complessa che parte da un disturbo dell’immagine corporea». Alcuni infatti la coniugano alla cosiddetta vigoressia, parente stretta dei disturbi del comportamento alimentare. E la compresenza di questa sindrome con anoressia e bulimia è frequente.
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I terapeuti puntano poi sulla rieducazione all’attività fisica: l’obiettivo infatti non è ridurre a zero l’allenamento, ma rimetterlo in equilibrio. «Vogliamo ridare il giusto posto al fisico, aiutando a ritrovare il proprio ritmo e le potenzialità dell’organismo attraverso il recupero del significato più puro dello sport: quello di permettere la positiva espressione di se stessi».