Monica Colombo per corriere.it
bellugi moglie
«È stato un anno allucinante, mi auguro che finisca presto e con il 2020 termini tutto il dolore che ha portato. Parlo per la mia famiglia ma anche per le tante persone che hanno subito drammi peggiori». Lory Bellugi è una donna tosta, più incline a reagire che a piangersi addosso dopo la diagnosi impietosa che ha colpito il marito. E, come Mauro faceva in campo sugli avversari, va in tackle sul Covid.
Quando è iniziata la via crucis che ha condotto all’amputazione delle gambe di suo marito?
«Era il 4 novembre, da giorni mio marito soffriva di male alle gambe. Non ci eravamo preoccupati più di tanto perché in conseguenza della sua attività sportiva non era infrequente. Negli ultimi giorni però i dolori erano aumentati e lui che pur ha una capacità di sopportazione notevole si lamentava molto. La domenica precedente si era sottoposto al tampone che era negativo. A quel punto lo portai al Monzino dove un cardiologo lo fece passare senza transitare dal pronto soccorso. Gli fece il tampone, stavolta l’esito era positivo».
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L’ansia aveva preso il sopravvento?
«Accadde quella sera. Un medico mi chiamò per informarmi che era stata compromessa la circolazione periferica delle gambe. Si erano verificate piccole ischemie ai vasi capillari. Rimasi muta. Lui mi gelò: "non c’è molto da fare"».
E lei?
«Non capivo. Mi spiegò che l’unica soluzione era l’amputazione delle gambe. Mi crollò il mondo addosso, non volevo credere che non esistesse una soluzione alternativa. Aggiunse che diversamente le gambe sarebbero andate in cancrena. Da lì fu il delirio».
Dove è stato operato?
«Fu spostato al Niguarda dove tentarono di riaprire le vene, ma invano. Aveva entrambe le gambe nere».
Come ha reagito Mauro?
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«Consideri che io non potevo andare a trovarlo. Dopo il primo intervento alla gamba destra, peraltro senza anestesia totale ed epidurale, ricevetti una chiamata da un numero che non conoscevo. Rispondo ed era lui! Si era fatto prestare il telefono dal vicino di letto. Le racconto questo per sottolineare il suo spirito».
E ora riesce a comunicare con suo marito?
«Ci salutiamo nelle video-chiamate. Solo di recente sono riuscita a fargli visita 3-4 volte, toccata e fuga, completamente bardata. Del resto in questa lunga degenza ha preso anche la polmonite».
Che percorso lo aspetta adesso?
«Dovrà affrontare la riabilitazione, probabilmente in una clinica a Budrio».
L’Inter vi è stata vicina?
Mauro Bellugi
«Si sono comportati come una famiglia. Da Massimo Moratti a Beppe Marotta. Si sono dimostrate persone speciali».
Si è già informato sul web sulle caratteristiche delle protesi.
«Ah certo, lui ha grande voglia di rimettersi in pista. È già proiettato in avanti. Pensa già alla macchina da guidare con i sensori, come se dovesse uscire dall’ospedale domani. È troppo forte, per fortuna ha questo carattere».
Cosa vi siete detti quando il medico ha comunicato che non c’era altra via che l’amputazione?
«Non ne abbiamo mai parlato. Sapevamo che sarebbe dovuto accadere: avevamo il timore che affrontando l’argomento sarebbe subentrata la depressione. Mauro un giorno mi ha chiesto se quel che restava dei suoi arti mi faceva impressione. Gli ho risposto di no. Meglio sdrammatizzare piuttosto di enfatizzare. È la nostra forza».
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