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    “ABBIAMO SCELTO ROMA PERCHÉ IN ITALIA LA PROPAGANDA RUSSA È MOLTO FORTE” - YULYA FEDOSIUK, MOGLIE DI UNO DEI COMBATTENTI DEL BATTAGLIONE AZOV, E' A ROMA CON ALTRE "SPOSE" PER CHIEDERE AIUTO PER I MARITI: “SE AVRANNO LA POSSIBILITÀ DI LASCIARE LA CITTÀ IN MODO SICURO, NON PRENDERANNO PIÙ PARTE A QUESTA GUERRA E ANDRANNO A VIVERE IN UN PAESE TERZO” - “COMUNICO CON MIO MARITO VIA TELEGRAM. MI MANDA FOTO, VIDEO. HA PERSO 15 CHILI IN DUE MESI, È ORRIBILE…”


     
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    Flavia Amabile per “la Stampa”

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    È quasi distrutta l'acciaieria Azovstal di Mariupol dove da due mesi gli uomini del reggimento Azov vivono nascosti nei cunicoli sotterranei insieme a centinaia di civili. Sanno di non poter resistere a lungo e sono pronti ad arrendersi e a smettere di combattere, assicura Yulya Fedosiuk, 29 anni, moglie di Arseniy, parlamentare del partito di Zelensky e uno dei combattenti del battaglione. Yulya da cinque giorni è a Roma insieme ad altre tre mogli di combattenti del battaglione.

     

    Perché?

    «Volevamo incontrare i giornalisti, i politici e i diplomatici italiani per chiedere aiuto per i nostri mariti».

     

    Ci siete riuscite?

    «Abbiamo incontrato i giornalisti non solo italiani, anche stranieri».

     

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    E i politici e i diplomatici?

    «Ancora nessuno. Speriamo che ci chiamino».

     

    Che cosa gli direste se vi chiamassero?

    «Che i nostri mariti chiedono aiuto. Hanno bisogno del loro intervento per garantire un'uscita sicura da Mariupol. E siamo qui per dire che i nostri mariti e i soldati del battaglione Azov si impegnano a firmare un accordo in cui, se avranno la possibilità di lasciare la città in modo sicuro, non prenderanno più parte a questa guerra. Andranno a vivere in un Paese terzo. Potrebbe essere l'Italia, la Turchia o un altro Paese, quello che conta è che non sia la Russia o la Bielorussia».

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    Quindi i soldati presenti nell'acciaieria sono pronti ad arrendersi?

    «Sì. E ad andare via attraverso un corridoio. Ma non ci si può fidare dei russi, lo si è visto.

    Hanno sparato più volte sui corridoi umanitari. Quindi i soldati chiedono un intervento della diplomazia e della politica per garantire che l'uscita avvenga in modo sicuro».

     

    Come mai avete scelto Roma e non, per esempio, Parigi o Berlino?

    «Abbiamo amici all'ambasciata ucraina presso la Santa Sede, era più facile organizzare un viaggio e una permanenza. E poi in Italia la propaganda russa è molto forte, ci è sembrato necessario venire e condividere con chi aveva voglia di ascoltare le informazioni su quello che sta accadendo a Mariupol».

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    Che ruolo ha l'attivista e portavoce delle Pussy Riot, Pyotr Verzilov, in questo viaggio?

    «Nessuno. È solo un mio amico e voleva realizzare un film sulla nostra missione. L'idea e l'organizzazione del viaggio sono nostre».

     

    Di chi?

    «Mia. Mi sono resa conto che era necessario parlare con gli Stati stranieri, di condividere all'estero le informazioni su Mariupol. Ho chiamato l'ambasciatore ucraino presso la Santa Sede e gli ho spiegato che cosa volevo fare. Lui mi ha risposto che gli sembrava una buona idea e mi ha detto di venire a Roma. E, una volta qui, ci ha fornito i contatti dei giornalisti con cui parlare». 

     

    Tornerete in Ucraina?

     «Dipende dalla situazione. Bisogna vedere se ci lasciano tornare. Se non dovessero lasciarci pensiamo di andare in Germania o negli Stati Uniti, ma ora ancora non lo sappiamo». 

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    Che notizie ha da Mariupol? 

    «Orrende. La situazione peggiora di giorno in giorno». 

     

    Riesce a comunicare con suo marito?

     «Sì, comunichiamo via Telegram. Mi manda foto, video. Ha perso 15 chili in due mesi, ho una foto, è orribile». 

     

    Che cosa le ha detto suo marito quando ha saputo che sarebbe venuta a Roma? 

    «Che spera che io possa aiutarlo a mettersi in salvo». 

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    Ha paura? 

    «Hanno tutti paura per la loro vita e per quella dei civili che sono con loro. Soltanto una soluzione politica e diplomatica potrà salvarli». 

     

    Vi aspettavate una guerra? 

    «Sì, sapevamo che c'era questa possibilità. Sapevamo che Putin non si sarebbe accontentato del Donbass e che avrebbe provato a prendere tutta l'Ucraina». 

     

    Come vi siete preparati ad affrontarla? 

    «Mio marito dal 2014 si è arruolato come soldato. E abbiamo imparato quello che potevamo nel campo medico per essere in grado di aiutare i feriti, i malati, chiunque ne avesse bisogno». 

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    In Italia c'è chi sostiene che il battaglione Azov sia un covo di neonazisti e che sia la causa della guerra scatenata da Putin. Che cosa risponde? 

    «Questa è una delle informazioni veicolate dalla propaganda russa. Il battaglione Azov fa parte dell'esercito ucraino, è composto da persone che arrivano dall'Armenia, dalla Crimea, dalla Grecia. Ci sono ebrei e persone di tantissime nazioni. A Mariupol gli unici nazisti sono i soldati russi che uccidono civili, attaccano ospedali, commettono crimini inauditi».

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