la demonetizzazione dell arte
Mario Baudino per www.lastampa.it
Dei sei milioni di libri offerti nel Kindle Store americano, la grandissima maggioranza dei quali sono autopubblicati, ben più delle metà, il 68 per cento, vende in media meno di due copie al mese, e solo 2000 degli autori presenti incassano più di 25 dollari all’anno.
Non è una fotografia dell’intero mercato culturale mondiale – dove i libri elettronici sono comunque poca cosa – ma è un quadro assai indicativo di una situazione in cui la possibilità di un «accesso universale» grazie alle tecnologie elettroniche significa anche un impoverimento universale.
william deresiewicz
Lo spiega – e lo sostiene con una certa foga – il critico statunitense William Deresiewicz in un libro, appena uscito per Holt, dal titolo non poco apocalittico, La morte dell’artista, ovvero Come i creatori lottano per sopravvivere nell’età dei miliardari e del Big Tech. In parallelo a un’analisi storica (largamente accettata dalla storiografica, sulla trasformazione della figura dell’artista nella società a partire dal Settecento), ha il merito di proporre un quadro significativo di ciò che sta accadendo. E beninteso non solo nel campo dei libri.
E’ noto il caso della musica: negli Anni 80, l’80 per cento dei proventi per gli album musicale veniva diviso tra il 20 per cento degli artisti e dei produttori di maggior successo. Ora la stessa percentuale va all’un per cento. I dati di Deresiewicz sono abbastanza raggelanti: dimostrano soprattutto, secondo l’autore, che la «narrazione» dei giganti della Silicon Valley, insomma il mito delle tecnologie elettroniche come arricchimento e nuovo paradigma dell’umanità, non solo è falsa, ma è anche pura propaganda.
william deresiewicz the death of the artist
Quel che è successo non è stata una democratizzazione e un ampiamento universale della conoscenza, ma una «demonetizzazione» dei contenuti. L’abbondanza dell’offerta on-line li ha resi superflui, ovvero equivalenti e indifferenti, e di conseguenza le istituzioni culturali e mediatiche, sia perché messe in crisi dai giganti di Internet sia per adeguarsi alle politiche commerciali correnti, hanno ridotto enormemente i compensi. L’artista ha dovuto trasformarsi in imprenditore di se stesso, e quasi sempre senza risultati – se non quello di aver molto meno tempo per dedicarsi alla propria opera.
Non è la prima volta che viene proposta un’analisi di questo genere, né mancano voci contrapposte al proposito, ma quel che colpisce nello studio di Deresiewicz è l’ampiezza del panorama considerato – e le molte interviste di testimonianza.
self publishing
Ne emerge che nelle attuali condizioni il dilettante sarebbe favorito rispetto all’artista tradizionale, quello totalmente dedito alla propria opera, perché il mercato premia sempre più la velocità, la ripetizione, un pizzico di novità ma soprattutto la riconoscibilità; l’ironia, la complessità e la sottigliezza sono «fuori gioco». E’ il grido di dolore di un profeta di sventure o davvero si tratta dello scenario in cui viviamo e che spesso cerchiamo di ignorare?
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E’ vero che la modernità ha celebrato di volta in volta, e più d’una volta, la «morte dell’arte», per scoprire subito dopo che tutto sommato non era affatto così; e lo stesso vale per la morte dell’intellettuale. Questa volta potrebbe però trattarsi di qualcosa di molto diverso: perché si tratta di persone in carne ossa: che, semplicemente, non ricavano più dalla loro opera gli anche minimi mezzi di sostentamento.
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Non bastano i pochissimi artisti super-pagati, i musicisti esaltati da pubblico e critica, gli autori di best seller a sostenere il mondo dell’arte e della creatività, fatto di tante sfaccettature, con i grandi, i medi, gli apprendisti, i maestri, le scuole, le «carriere», le piccole e grandi politiche interne, come l’abbiamo conosciuto fino a ieri. Il libro del critico americano annuncia un diverso scenario: l’arte, in tutte le sue dimensioni, e già «demonetizzata», sta riducendosi a hobby: niente di più e niente di meno che costruire modellini di treni o piallare armadi nel garage di casa. Fatti i debiti scongiuri, forse è il caso di tradurlo alla svelta.
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