Ilaria Sacchettoni per il Corriere della Sera - Roma
GIOVANNA FATELLO
Non fu messo correttamente in funzione l' apparecchio per la ventilazione meccanica della paziente. Non furono monitorate le sue condizioni. Quindi, una volta subentrata la crisi respiratoria, si ritardò la rianimazione.
Fu un' anestesia con una serie di «omissioni» quella praticata su Giovanna Fatello, 10 anni, morta a Villa Mafalda il 29 marzo 2014 per un' operazione al timpano. Dopo la condanna - due anni di carcere a Pierfrancesco Dauri anestesista tra i più noti della Capitale e due al suo collaboratore Federico Santilli - le motivazioni del giudice Riccardo Rizzi ricostruiscono la lunga catena di omissioni nel blocco operatorio della casa di cura e una complessiva «inadeguatezza» (non sanzionabile tanto che la direttrice sanitaria è stata assolta) a gestire un evento tanto delicato.
«É emerso - si legge nel provvedimento - quanto a Dauri che egli si è assentato dopo l' induzione dell' anestesia una prima volta per breve tempo per eseguire una verifica su quale fosse l' orecchio da operare e, una seconda volta, di durata ben maggiore, proprio mentre si aggravava la desaturazione della bambina».
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Giovanna era collegata alla macchina Daeger che favorisce la respirazione in anestesia ma la leva che immette ossigeno nel paziente non era stata attivata, dunque respirò gas saturi. La cianosi che subentrò non fu tempestivamente rilevata perché la bambina era coperta da un telo e infine il secondo anestesista, Santilli «era privo di qualsiasi nozione del funzionamento dell' apparato di ventilazione in uso nella sala operatoria» (era al suo debutto nella struttura, scelto da Dauri) e non seppe affrontare la rianimazione.
La bambina era già morta attorno alle 9,55 secondo la ricostruzione del Tribunale ma si attese fino alle 13,40 per dare l' allarme pur di concordare la versione da offrire alla mamma Valentina Leoni, assistita dagli avvocati Gianluca Tognozzi e Francesca Florio e alle autorità.
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Osserva il giudice: «Deve ritenersi provata la mancanza, presso la struttura sanitaria Villa Mafalda di una procedura di "accreditamento" dei professionisti chiamati a prestare la loro opera al suo interno, sicché poteva ben verificarsi, come avvenuto nel caso di specie che presso di essa si trovassero ad operare professionisti dei quali non veniva minimamente vagliata in modo preventivo l' idoneità». Il giudice ha assolto la casa di cura da ogni responsabilità anche se nelle motivazioni evidenzia la «scarsa professionalità e la inadeguatezza».
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