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Xavier Iacobelli per www.corrieredellosport.it
Scartabella fra gli appunti. «Questi sono del ‘90». Del ‘90? «Sì, quando allenavo il Toro. Vede? Le verticalizzazioni le facevamo anche allora. Nel calcio non s’inventa nulla. L’ho detto a Sacchi: è un mio amico, ma non ci sono mica solo la zona, il pressing, il 3- 4 -3-, il 4 - 3 -1 -2 e il tiki taka, troppo noioso. Basta con questo tatticismo esasperato e basta con i giocatori che non sanno manco saltare un uomo: e quando ce n’è uno capace di farlo, come Insigne, contro la Svezia non gioca. Come vivo l’eliminazione della Nazionale? Da italiano, quindi male. Una stangata così l’avevo presa già nel ‘58: all’epoca giocavo; la delusione brucia, ora come allora. I ragazzi avrebbero bisogno di maestri come Favini, Ussello, Rabitti che insegnavano la tecnica, i fondamentali. Ha visto la Svezia? Il suo catenaccio ha fatto rivoltare Rocco nella tomba».
No, non è cambiato per nulla, Eugenio Fascetti. La moglie Mirella lo chiama sempre Neno, con la tenerezza di un amore reciproco e infinito. Lo leggi nello sguardo. Nelle premure per il marito. Quando parla dei loro tre figli: «Insieme, abbiamo cambiato casa per 32 volte. Tutti e tre si sono laureati, tutti e tre ci regalano grandi soddisfazioni: siamo fieri di loro. Soprattutto, perché sono persone per bene».
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TURCHETTA IL PIU’ GRANDE (AL GIOVEDI’) - Lui annuisce con il capo. Lui, il burbero, sincero, ruvido, icastico Eugenio, sempre fedele alle sue idee. Sempre fuori dal coro. E sempre con una memoria da elefante. «Guardi qui». Indica il ritaglio di quotidiano in cui si elogia il suo Casino Organizzato, l’etichetta giornalistica affibbiata allo scoppiettante laboratorio calcistico che è stato l’imprevedibile Varese di Fascetti e del prof. Enrico Arcelli, antesignano della preparazione atletica, della nutrizione corretta. «Nell’estate ’86, Berlusconi lanciò la campagna contro le crostate. A Varese, ci eravamo arrivati sette anni prima. Sa qual è stato il mio più grande giocatore del giovedì?». Del giovedì? «Sì, il giorno della partitella: Franco Turchetta, che poi ha vinto lo scudetto con il Verona di Bagnoli. Era un estroso del calcio, aveva un talento pazzesco, ma svaniva la domenica. Evidentemente, il giocatore pativa la tensione della partita vera. Un rebus che non è riuscito a risolvere nemmeno il mio amico Osvaldo». Già, Osvaldo Bagnoli, campione della scuola tecnica italiana. Come Ancelotti: «Quelli del Bayern gliel’hanno tirata, ma lui rimane fra i migliori». Come Gasperini: «La sua Atalanta marca a uomo e l’ha portata in Europa». Come Sarri: «Se il Napoli vince anche le partite in cui gioca male, non lo ferma più nessuno». Come Di Francesco: «Era con me a Lucca, un ragazzo intelligente, sempre desideroso di imparare. Bella la sua Roma». Come Simone Inzaghi: «Sta facendo grandi cose con la Lazio. Io ero così interista che decisi di andare al Pisa per il colore nerazzurro delle maglie. Poi sono diventato sempre più tifoso della Lazio...».
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CASSANO E CONTE - E Cassano? Una volta lei, che ha lanciato entrambi in serie A, disse: «Se potessi, metterei la testa di Conte sulle gambe di Cassano. Più sentito? «Non ci vediamo da quando sono andato al suo matrimonio. Mai allenato uno così. Con il pallone fra i piedi, era incontrollabile. E fisicamente forte, tanto forte: per fermarlo, bisognava sparargli. In quella Primavera del Bari c’erano lui, Enyinnaya, La Fortezza, Carrozzieri. A Lecce, invece, 14 anni prima, c’erano Garzya, Conte, Moriero, Petrachi. Al che, dissi a Mimmo Cataldo: rinuncio all’ingaggio se, in cambio, mi garantisci il 50 per cento del cartellino di ognuno di loro. Cassano poteva scrivere una grande pagina del calcio italiano: aveva tutto. Un vero peccato». Il tono della voce tradisce il rammarico per l’ex allievo che poteva diventare il Numero Uno e non ce l’ha fatta.
A Fascetti dispiace ancora oggi: forse, è stato l’unico con il quale Cassano ha rigato sempre dritto. S’illumina, invece, quando parla di Conte («Semplicemente unico»). Mirella confida: «Lo sa che l’anno scorso, Neno è andato a fargli visita a Cobham, dove si allena il Chelsea? L’hanno accolto con tutti gli onori. E’ stata una grande emozione».
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IL GIORNALISTA SOTTO CASA - La signora si affaccia in libreria. Torna con una pagina di giornale, custodita da una cornice di legno. Titolo: «Allenatori sull’orlo di una crisi di nervi». Fascetti indica la firma: «Questo l’ha scritto lei. M’era piaciuto, l’ho conservato». Il passo che lo riguarda dice: «I nervi li ha fatti venire ai suoi contestatori, a quella parte della tifoseria barese che gli ha fatto la guerra tutto l’anno e la guerra ha perso. Fascetti è stato più forte di tutto e di tutti. Fascetti ha riportato il Bari in serie A». Il pezzo è di vent’anni fa. Mi domando se abbia più memoria Fascetti o un elefante. Non ho dubbi: Fascetti. I suoi rapporti con la stampa sono stati tempestosi a volte, diretti sempre. «Una sera, a Torino, un giornalista sbottò in tv: a Roma la gente dice che Fascetti non capisce di calcio. Ho telefonato in diretta: «Scusa, fammi i nomi di chi sostiene ciò che tu hai detto. Non fare il ruffiano con il tuo direttore perché è presente in studio. Il giorno dopo, alle nove del mattino, quel giornalista era sotto casa a chiedermi scusa».
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I TIFOSI DELLA LAZIO - A casa, qui, arriverà un tifoso della Lazio. «Mi ha telefonato, vuol venire apposta da Roma soltanto per stringermi la mano. La gente biancoceleste è incredibile. Sono passati trent’anni dal -9, eppure, ancora oggi, mi regala un affetto enorme, dovunque vada. Come nacque l’impresa? Nel ritiro di Gubbio. Dissi alla squadra: dovremo scalare una montagna. Chi ci sta, resti; chi vuole andare via, lo faccia. E poi, del -9 non parleremo più sino a quando saremo salvi. Perché ci salveremo. Andò così. Grazie anche al prof. Sassi, il preparatore.
Eravamo dieci anni avanti agli altri, pochi lo dissero e mi diede fastidio. Come quando, periodicamente, si alza uno e pretende di spiegarci come si gioca a calcio e io penso a Gipo Viani, a Schiaffino, a Di Stefano: dimenticarsi di loro è una bestemmia. Abbiamo vinto 4 mondiali con una grande difesa e il contropiede. Dicono che il libero non serva più: ma come giocavano le squadre di Moore, Ulshoff, Beckenbauer, Passarella, Scirea, Franco Baresi, Picchi? E il Grande Torino di Valentino Mazzola, il mio mito? Quando allenavo i granata, sono andato al Filadelfia che, nel ‘90, non era ancora rinato. Ho infilato il tunnel stretto, dove si passava a uno a uno. Un giorno, un signore ha incrociato Policano: scusi sa, ma con quel pallone che lei ha calciato male, Maroso avrebbe fatto gol. Io e Policano abbiamo sorriso. Se ci ripenso, mi emoziono ancora adesso».
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CATTIVO COME L’AGLIO - Il sentimento traspare dalle parole di Eugenio. «Anche se Franco Baldini diceva: è cattivo come l’aglio. L’ho avuto calciatore nella Lucchese. Giocava bene. E Stojkovic...». Stojkovic? «Sì, l’ex della Stella Rossa di Mihajlovic, Pancev, Prosinecki, Jugovic: un campione. Era con me a Verona, se non fosse stato perseguitato dagli infortuni, sarebbe stato il migliore». Vola, il tempo. L’albero di Natale è già addobbato. Ci salutiamo. E’ stato davvero un piacere, gli dico. Lui: «Anche per me». Non è finita. Il giorno dopo squilla il telefono. «Volevo parlarle anche di Julinho che, dopo lo scudetto con la Fiorentina, la mattina alle 8 veniva a giocare a pallone con me sulla spiaggia del Lido. E di Fulvio Bernardini: ha vinto lo scudetto a Firenze e a Bologna, ha insegnato il calcio a tutti. A presto». A presto.
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