Stefano Pistolini per “Il Venerdì - La Repubblica”
DYLAN GOES ELECTRIC WALD
La storia del pop è costellata di libri dedicati a una singola giornata in cui avvengono cose straordinarie. C’è un libro sul giorno in cui Lennon conobbe McCartney a una festa d’oratorio (The Day John Met Paul di Jim O’Donnell), ce n’è uno sulle ultime 24 ore di Presley (Elvis: the Last 24 Hour del critico Albert Goldman).
Adesso ce n’è uno di estremo valore sulla giornata in cui Bob Dylan rivoluzionò la musica americana, imbracciando una chitarra elettrica Fender al Newport Folk Festival e scandalizzando la platea di tradizionalisti con una versione proto-punk di Maggie’s Farm, accompagnato dalla Paul Butterfield Blues Band (con indosso un giubbotto di pelle nera da rocker – niente a che vedere col ragazzo educato che l’anno prima, sullo stesso palco, intonava Mr. Tambourine Man, rigorosamente acustico e circondato dai veterani della scena tradizionale).
Il volume è Dylan Goes Electric! (Dey Street), l’autore è il musicologo Elijah Wald e la notte che «spaccò in due gli anni Sessanta», come dice il sottotitolo, è quella del 25 luglio 1965, giusto mezzo secolo fa. Dylan ha 24 anni e il festival di Newport è il santuario che vuole profanare. Wald prima racconta come il progetto si chiarisca nella testa dell’artista, poi si focalizza sulla minuziosa ricostruzione di quella turbolenta serata (si narra di un pubblico imbestialito per la provocazione di Dylan, ma anche per la mezz’oretta di concerto a cui si era limitato).
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Infine il saggio analizza il dopo-bomba: come il mondo musicale, e anche quello sociopolitico dei giovani d’allora, reagisce a questa presa di posizione. Wald si dice convinto che le canzoni «elettriche» presentate per la prima volta da Dylan a Newport – Maggie’s Farm, Like a Rolling Stone e It’s All Over Now, Baby Blue – più che una dichiarazione anti-folk contro un suono che ora giudicava conservatore, fossero l’espressione di uno spirito che abbandonava la militanza per l’introspezione.
Il mondo folk dell’epoca, di cui Pete Seeger era il leader indiscusso, diventa per lui un luogo d’estraneità. Seeger continua a cantare l’unità dei lavoratori americani in marcia verso il riscatto, ma Dylan lo vede come il prigioniero di uno stereotipo di cui proprio Newport è la celebrazione. Dylan trascorre insonne la notte prima dello show, a provare col tastierista Al Kooper le nuove esecuzioni. Poi spariglia il tavolo, inscenando il mantra selvaggio della sua anima in pena.
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Dylan Goes Electric! analizza i dettagli del gesto e le reazioni che suscita, ma si concentra soprattutto sul grande disegno: Dylan vuole smantellare il movimento folk in cui ha militato. Rompe gli indugi, attribuisce di fatto alla propria musica il significato di «futuro» e cantando che «non vuole più lavorare nella fattoria di Maggie», annuncia a Seeger che non può più contare su di lui. Con tre canzoni e senza muovere un muscolo facciale, Dylan si prende tutto. E da solo indossa le insegne di portavoce di una generazione.
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