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1. SILVANA ERA LA PROFEZIA DI DITA VON TEESE MA NON CE NE SIAMO ACCORTI
Camillo Langone per “il Foglio”
Le gambe snelle / tornite e belle...". Come biografo voglio imitare gli specchi della contessa di Castiglione: riflettere solo la bellezza. Del troppo lungo declino di Silvana Pampanini, attrice che già nel 1964, solo trentanovenne, aveva dovuto accettare per il "Gaucho" di Dino Risi il ruolo di una tardona, nulla voglio ricordare.
Voglio tornare al tempo della sua avvenenza assoluta che fu l' inizio degli anni Cinquanta, un istante prima dell' esplosione di Sophia Loren e Gina Lollobrigida.
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Ma lei non era la sorella maggiore delle due senatrici del cinema italiano, era la profezia di Dita von Teese e l' ho scoperto guardando le sue vecchie foto: la pelle bianchissima (era di lontana origine veneta, per la precisione polesana), i capelli nerissimi, la bocca piccola e come incastonata, i nastri di raso intorno al collo, le guêpière, i reggicalze, e un portamento superbo.
Una così non poteva essere la fidanzata degli italiani, semmai la malafemmina degli italiani, e si capisce come per decenni tutti abbiano creduto che fosse dedicata a lei la grande canzone di Totò: "Tu si 'a cchiù bella femmena, / te voglio bene e t' odio / nun te pozzo scurdà...".
lollobrigida
Poi la figlia del Principe, Liliana De Curtis, disse che in realtà era dedicata alla propria madre, e ispirata a una difficile situazione coniugale, e non c' è motivo per dubitarne ma a quell' altezza cronologica era davvero impossibile non identificare la cchiù bella femmena con Silvana Pampanini che con Totò aveva già lavorato più volte.
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Il Principe era uomo di molto ben protesi nervi e le biografie raccontano qualcosa che forse si poteva intuire dalle foto di scena: la sbandata del comico cinquantenne, che nel frattempo aveva ottenuto l' annullamento del matrimonio con la madre di Liliana, per l' attrice ventenne.
dita von teese
La Pampanini era proprio una perfida dark lady, non solo rifiutò la proposta di matrimonio che l' avrebbe fatta diventare principessa De Curtis ma disse qualcosa che non avrebbe mai dovuto dire: "Caro Totò, io ti voglio bene ma come a un padre". Il respinto sopravvisse egregiamente grazie all' amore di Franca Faldini che era ancora più giovane della Pampanini e certamente più dolce, ma sono cose che segnano.
Forse a colei che nel 1946 era stata decretata Miss Italia a furor di popolo, a dispetto della vincitrice ufficiale del concorso, il titolo di principessa non bastava, forse dopo avere interpretato Poppea in "O.K. Nerone" di Mario Soldati (film di serie B con incassi di serie A) voleva essere imperatrice.
Spesso le donne troppo sicure della propria bellezza precipitano in simili deliri.
Ma fino a un certo punto, fino alla metà degli anni Cinquanta almeno, continuò a essere il ritratto della salute e penso innanzitutto a "Bellezze in bicicletta" dove pedala e mostra le gambe dalla Tuscia a Milano.
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"Noi cannibali", film del 1953, inizia con un suo spogliarello, l' ho cercato ma purtroppo non l' ho trovato perché non è vero che su internet c' è tutto: darei parecchio per vederlo, un po' per feticismo e un po' per confermare la mia idea e cioè che Silvana era la nostra Dita e non ce ne siamo accorti.
2. GINA LOLLOBRIGIDA: NOI? NON FUMMO MAI AMICHE
Cinzia Romani per “il Giornale”
Qualcosa di immensamente remoto dal divismo femminile dell'oggi - quale, esattamente? apparve insieme a Silvana Pampanini: una capacità d'illuminare la scena con una luce propria, diversa da ogni altra.
E adesso quella fisicità da «maggiorata» del dopoguerra, che agli inizi della carriera contemplava anche una rustica peluria sotto ascelle non rasate, traccia una linea di confine: ai tempi, lei, Gina Lollobrigida, Sophia Loren e Silvana Mangano facevano impazzire le platee maschili con il trionfo d'una carne non vista, immaginata appena; ora, però, forme sempre più sottili e androgine, toniche e muscolose, di attrici che tendono allo stardom su Instagram, appaiono lontane anni luce da quelle complessioni fisiche barocche.
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Nei suoi giorni di gloriosa identità nazionale, del resto, il nostro cinema appena uscito dal frastornamento della seconda guerra mondiale, poggiava proprio sui busti e i fianchi floridi di giovani donne del popolo.
Ragazze di provincia, come Gina Lollobrigida, che la Pampanini definiva «ciociarella» in anni e anni di rivalità non sottaciuta, anzi. «Mai fummo amiche. Nessuna competizione, fra noi: a casa ho più di 6.000 copertine a me dedicate, credo sia un record. Non c'è altro da dire e non voglio inventare nulla».
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Liquida così l'ottantanovenne Lollobrigida, una faccenda antica, di antagonismi a colpi di girofianchi, girovita, giropetto. Metri oggi non più vincolanti, mentre latitano uomini ai quali imprimere il sigillo delle grandi forme femminili sul flusso di un'erotismo più omo o bi-sessuale.
Se le «Lollos» di Gina divennero famose, a Parigi, per la pubblicità di un reggiseno, i seni prosperosi di Silvana «bellezza in bicicletta» frustarono i pensieri dei maschi un po' ovunque. Eppure, le due massime icone dell'esplosività anni Cinquanta, quando occorreva prendersi una rivincita sulla fame, in comune hanno l'assenza dell'Uomo Protettore.
La Pampanini non si sposò mai, sebbene ribadisse che aveva avuto più amanti che mal di testa. Quanto alla Lollo, anche se sposò Milo Skofic, dal quale divorziò, questi le fu più d'intralcio che di aiuto. E sarà meglio tacere sull'imbroglio di cui Gina è stata vittima, sposata con l'inganno da Javier Rigau, 54 anni, e sullo smacco d'essere trascinata in tribunale da suo figlio, il quale cercava d'interdirla... Uomini contro.
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Anche qui, la polemica «Ninì Pampàn» non s'era fatta sfuggire l'occasione di rimproverare la Lollo per le sue nozze amare. Nella vita di Silvana, però, un uomo c'era: suo padre Francesco, direttore della tipografia dove si stampava Il Momento Sera, tipo tutto d'un pezzo. Non voleva che la figlia lavorasse nel mondo dello spettacolo e la seguiva come un'ombra sul set, al ristorante, in camerino.
Ce ne vuole, di tempra, per rifiutare, come fece Silvana, Fidel Castro, Orson Welles e Gianni Agnelli, ai quali alcuna donna si negava. Diversamente dalle due dive, in prima fila con le loro gambe e le loro curve, Sophia Loren e Silvana Mangano, miti che ancor oggi irradiano potenza, poterono appoggiarsi a importanti mariti produttori.
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La prima a Carlo Ponti e la seconda a Dino de Laurentiis: la Diva e il Produttore, un pendolo perfetto per gareggiare a Cinelandia, sebbene Sofia e Silvana avessero talento, bellezza e carattere in abbondanza. L'errore delle «dive» moderne sta nel considerare quelle «maggiorate» statue. E invece sono esempi.
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