Estratto dell’articolo di Tommaso Labate per il “Corriere della Sera”
CARLO CIMBRI
L’inizio è lo stesso cantato da Luca Carboni nel 1992 in Mare mare, la hit che trionfò sulle spiagge, nelle radio, al Festivalbar. Stesso mezzo («Ho comprato anche la moto/usata ma tenuta bene»), stessa partenza («Son partito da Bologna/con le luci della sera»), stesso approccio al viaggio, tutto sommato normale, senza fronzoli, di quella normalità che respira tra i gesti semplici del viaggiatore navigato […]
Il motociclista solitario è Carlo Cimbri , classe 1965, presidente oggi dopo molti anni da amministratore delegato di Unipol, l’unico tra i top manager italiani che nell’ultimo mezzo secolo abbia portato in giro una faccia più da motociclista che da top manager.
Uno dei pochissimi che ha lavorato sempre nello stesso posto, scalando la società — presa per mano dopo il tragico capitolo delle scalate bancarie, poi messa a posto e addirittura rilanciata nel giro di pochissimo con l’acquisto di Fondiaria — dal primissimo gradino, «impiegato normalissimo», a quello più alto.
Il suo viaggio inizia da Bologna, arriva a Gibilterra e ritorna a Bologna. Soli, lui e la motocicletta. Giorni: dieci. Chilometri: cinquemilaseicento.
CARLO CIMBRI E LA SUA MOTO
Perché la Spagna?
«Perché in Spagna sono stati i miei primi viaggi da ragazzo. Perché quando c’era la lira e tu eri uno studente senza grandissime possibilità economiche, ecco, la tua lira si difendeva bene o in Spagna o in Grecia».
Perché la moto?
«Io mi ritengo un velista prestato al mestiere che faccio tutti i giorni. E chi ama la vela ama anche la moto».
Come se lo spiega?
«Il vento. Con entrambe hai il senso del vento, che a bordo di una macchina ti manca proprio. Se lo chiede al mio amico Max Sirena, il capobarca di Luna Rossa, le darà più o meno la stessa risposta. Anche lui è un velista che ama la moto».
Bologna la partenza, Gibilterra la meta. E l’itinerario?
CARLO CIMBRI
«Diverso da quello che avrei privilegiato da ragazzo. Infatti, scendendo da Nord sulla costa orientale, ho virato verso il cuore della Spagna prima di arrivare nei posti in cui la Costa Brava diventa simile alle spiagge del nostro Adriatico, che pure erano stati meta di qualche viaggio di gioventù e che a tutt’oggi sono l’approdo spagnolo di tantissimi ragazzi. Il primo problema, però, è stato trovare il tempo per fare questo viaggio in moto da Bologna a Gibilterra, che sognavo di fare da anni, da solo. Ci sono riuscito, alla fine, mettendo insieme le vacanze di Pasqua e i ponti del 25 aprile e del primo maggio».
[…]
Eravamo all’itinerario scelto.
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«Partenza da Bologna, quindi l’Autostrada dei Fiori, in Liguria, fino al confine francese. Poi la Costa azzurra fino alla Camargue, quindi Perpignan e il confine con la Spagna. Il primo errore lo faccio sulle previsioni metereologiche: andando verso la Spagna ad aprile ero convinto di trovare sempre sole. E invece, pioggia ovunque».
Tappe?
«La prima, significativa, a Figueres. La città del mio artista preferito, Salvador Dalì».
Che è anche la città del Museo Dalì, che contiene la tomba che l’artista aveva progettato per se stesso.
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«Esatto. Ma da Figueres, come in una specie di capitolo del viaggio tutto dedicato a Dalì, prendo la direzione Est fino alla costa. E quindi raggiungo Cadaqués per andare a vedere la casa-museo dell’artista, ai piedi dell’acqua, uno spettacolo labirintico realizzato partendo da una serie di baracche dei pescatori».
Che cosa passa nella testa del motociclista solitario?
«Il viaggiatore in moto è attraversato da un pensiero non convenzionale che a volte è fatto di momenti opposti solo all’apparenza, metodo e creatività, creatività e metodo. Molte delle cose che ho realizzato nella vita lavorativa di tutti i giorni sono state immaginate, pensate o anche solo abbozzate durante un viaggio in moto. Con la moto hai un rapporto personale che con la macchina non esiste.
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La moto è come se fosse una tua amica, una compagna di viaggio, la vivi, fa parte di te, sei un tutt’uno con lei, acquisisci quel feeling che non è un dettaglio, anzi, è una cosa necessaria. A bordo di una moto devi essere anche nella testa degli altri perché al comportamento degli altri sei decisamente più esposto rispetto ad altre condizioni di viaggio, come quando sei in macchina o inscatolato dentro un aereo o in un treno ad alta velocità».
L’abbiamo lasciata a Cadaqués, Cimbri.
«Taglio Barcellona e proseguo verso Saragozza e poi Madrid. Il ritmo del viaggio è dettato dalla capienza del serbatoio della Ducati multistrada enduro e dalla velocità. Duecento/duecentoventi chilometri, sosta, pieno, sigaretta, si riparte. […] Fermarsi, fumare una sigaretta, ripartire; viaggiare, mangiare, dormire. E, in testa, sempre quel modo di pensare non convenzionale che accompagna il viaggiatore».
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Com’è il tornare, l’andarsene?
«Lo capisci in pieno soltanto quando lasci un posto con la nave. L’ho imparato da bambino. Sono nato a Cagliari e fino a undici anni ho vissuto in Sardegna. Da quando con i miei ci siamo trasferiti a Bologna, come molti emigranti tornavamo a casa tre volte l’anno: Natale, Pasqua, estate.
Non avendo disponibilità economiche per l’aereo, i nostri viaggi Bologna-Sardegna duravano più di un giorno. Cinque ore di espresso fino a Roma, la coincidenza per Civitavecchia, nove ore di navigazione notturna fino a Olbia, altre cinque per arrivare da Olbia a Cagliari con un treno con locomotore diesel, visto che non esisteva e non esiste la linea elettrificata. Al ritorno, la stessa cosa. L’ho capito allora: se vuoi capire per davvero che cos’è il tornare o l’andarsene o il lasciare un posto a cui sei legato, ecco, devi avere la percezione fisica dell’allontanamento. Devi vederlo sparire dal tuo orizzonte, piano piano».
Quanto serve tutto questo alla guida di un’azienda?
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«Noi siamo quello che abbiamo deciso ieri, non quello che decidiamo oggi. Per amministrare un’azienda devi essere in grado di anticipare quello che succederà. La vela e la moto sono la stessa cosa: in vela sei quello che hai deciso mezz’ora prima, sentendo il rumore del vento; in moto sei quello che hai deciso un secondo prima. Comunque, prima. Sempre».
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