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    LA POLITICA TENTENNA SUL SALARIO MINIMO? CI PENSA LA MAGISTRATURA - LA CORTE DI CASSAZIONE STABILISCE CHE UNO STIPENDIO MENSILE SUPERIORE ALLA “SOGLIA DI POVERTÀ” NON È NECESSARIAMENTE LEGITTIMO: “UNA RETRIBUZIONE È SEMPRE INGIUSTA SE NON GARANTISCE UN LIVELLO DI VITA DIGNITOSO, SE NON PERMETTE ALLE PERSONE DI SVOLGERE ATTIVITÀ CULTURALI, EDUCATIVE, SOCIALI INTANTO CHE MANGIANO E PAGANO L’AFFITTO” - UNA BUSTA PAGA PUÒ ESSERE ILLEGITTIMA ANCHE SE RISPETTA I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO…


     
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    Estratto dell’articolo di Aldo Fontanarosa per www.repubblica.it

     

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    Uno stipendio mensile superiore alla “soglia di povertà” – che l’Istat fissa in 834,66 euro – non è necessariamente legittimo. Al contrario, una retribuzione è sempre ingiusta se non garantisce “un livello di vita dignitoso”; se non permette alle persone di svolgere “attività culturali, educative, sociali”, intanto che mangiano e pagano il fitto.

     

    E’ la Corte di Cassazione – chiamata a giudicare il caso di 8 lavoratrici e lavoratori di una Cooperativa di vigilanza e portierato – a fissare questi importanti principi. L’Istat non basta – dice dunque la Cassazione – per misurare la congruità e legittimità di uno stipendio. Il giudice dovrà far riferimento ad altri parametri economici. In concreto, il salario minimo non dovrebbe distanziarsi troppo da quello medio del Paese.

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    Ecco la storia del lungo processo. Gli 8 vigilantes fanno causa alla Cooperativa perché guadagnano 930 euro lordi al mese. Somma che garantisce una retribuzione netta di 650,29 euro (per un dipendente a tempo pieno e di livello D).

     

    Chiedono di sapere, gli 8 lavoratori, se queste cifre siano rispettose dell’articolo 36 della Costituzione che garantisce a tutti “una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del loro lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sè e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”.

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    Nel primo dei tre gradi di giudizio, gli 8 lavoratori vincono la causa. Il giudice di primo grado, tra le altre cose, fa un calcolo molto semplice. Lo stipendio netto (650,29 euro) è inferiore alla soglia di povertà che l’Istat stabilisce in 834,66 euro. Quindi la busta paga è troppo leggera e va integrata.

     

    Nel secondo grado di giudizio, il giudice dell’Appello ribalta il verdetto. Questo giudice fa riferimento allo stipendio lordo mensile dei vigilantes (930 euro), che in effetti è superiore alla “soglia di povertà” dell’Istat. Dunque il giudice considera la busta paga legittima ed equa.

     

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    Nel terzo e definitivo grado di giudizio, i giudici della Cassazione si interrogano intanto sul differente approccio. Si chiedono come mai il giudice di Appello abbia preso a riferimento lo stipendio lordo (930 euro) e non quello netto (650,29), come invece avrebbe dovuto.  […]

     

    I giudici della Cassazione, infine, affermano che una busta paga può essere illegittima  e iniqua anche se rispetta i Contratti collettivi di lavoro. Contratti che i giudici hanno il diritto di sindacare e mettere in discussione.

     

    Questi Contratti sono troppi: ben 946 (calcola il Cnel). E di questi – scrive ancora la Cassazione – “solo un quinto sarebbero stati stipulati da sindacati più rappresentativi a copertura della maggior parte dei dipendenti”.

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