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    UNA VITA COLOR CREMISI – LA PRESIDENTE DI ADELPHI, TERESA CREMISI, HA INIZIATO COLLEZIONANDO BIZZARRI TITOLI DI CRONACA MINORE: “CHIESI CONSIGLIO A UMBERTO ECO. SI ENTUSIASMÒ. COSÌ NACQUE “STRANGOLATA CON UN PORTACENERE” CHE NON EBBE ALCUN SUCCESSO” – “SONO DIVENTATA EDITORE PERCHÉ LE UNICHE PERSONE CHE MI AFFASCINANO SONO GLI ARTISTI E GLI SCIENZIATI, E, SICCOME NON MI SENTIVO NÉ PROUST NÉ ERATOSTENE, HO PENSATO DI VIVERE NEL LUOGO DOVE POTEVO INCONTRARE ARTISTI E SCIENZIATI” – “QUANDO ERO CARINA CERCAVO DI IMBRUTTIRMI, È PIÙ FACILE LA VITA PER LE DONNE NON TROPPO BELLE”


     
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    Estratto dell'articolo di Chiara Valerio per www.lastampa.it

     

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    Teresa Cremisi è nata ad Alessandra d’Egitto, prima che il Canale di Suez fosse nazionalizzato […] Alla fine degli anni Ottanta lascia Milano per Parigi, dove dirige prima Gallimard e poi Flammarion. È attualmente, o è stata in passato, nei consigli d’amministrazione di importanti istituzioni francesi e italiane (penso alla Biblioteca nazionale di Francia, al Centro nazionale per la cinematografia, al Teatro La Fenice di Venezia), oggi è presidente della casa editrice Adelphi.

     

    Dal 2018 tiene una rubrica settimanale su Le Journal du Dimanche. Nei mesi scorsi sono stati ripubblicati il suo romanzo La Triomphante (Adelphi, traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala) e Il processo di condanna di Giovanna d’Arco da lei curato e tradotto (nel 1977) per Marsilio.

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    teresa cremisi michel houellebecq teresa cremisi michel houellebecq

     

    Il primo libro che ha scritto, Strangolata con un portacenere (Bompiani, 1974), è una raccolta di titoli di giornale ritagliati dal ’70 al ’73. Sia nelle rubriche che nei ritagli rivela un certo gusto per l’assurdo e l’inaspettato.

    «Non ho mai avuto ben chiari i fili che legano le cose l’una all’altra».

     

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    Ritagliare i giornali?

    ritagli di giornale collezionati da teresa cremisi ritagli di giornale collezionati da teresa cremisi

    «Avere occasione di ritagliarli. Per una ragione che ancora mi è oscura ricevevamo tutti i giornali, e devo dire che, a parte le grandi notizie, nelle pagine interne si sviluppava una specie di sarabanda di storie una più strana dell’altra, il gatto nascosto sotto l’altare in chiesa, la donna sfuggita a quattro assassinii... E la cosa più divertente erano i titoli dati dai direttori che forse non leggevano nemmeno gli articoli, prendevano tre o quattro elementi e sunteggiavano. Sunteggiate, le notizie assumevano una dimensione di puro Ionesco».

     

    La divertivano?

    «Sì, ed evidentemente ero la sola perché nessuno, mi pare, protestava per la stranezza di quei titoli. Mentre facevo il mio lavoro, leggevo e ritagliavo, e dopo quattro anni mi sono ritrovata con buste intere di fogli di giornale. Ho buttato via quelli che alla rilettura erano meno impressionanti e ho cominciato a immaginare di farne un libro».

     

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    Una storia?

    «Chiesi consiglio a Umberto Eco che all’epoca non aveva la fama ottenuta negli anni, ma era un grande semiologo ed era editore da Bompiani. Si entusiasmò e disse: “Non c’è bisogno di scrivere niente, ti faccio io la quarta di copertina e basta”. E così nacque Strangolata con un portacenere che non ebbe alcun successo».

     

    Un libro di culto, come molti nella varia Bompiani di quegli anni, penso a Come farsi una cultura mostruosa di Paolo Villaggio, del 1972.

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    «Dice?».

     

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    Quindi?

    «Ci pensi, non c’è niente di più comico di ciò che ci capita nei momenti che dovrebbero essere tragici. Certi autori, come Kundera, Yasmina Reza o Kafka, riescono a far ridere ai funerali. Mi divertono cose di questo genere».

     

    […]

     

    La complessità impone mediazione. Eppure le agenzie di viaggio sono sparite e quelle immobiliari pure. C’è l’home banking. Si va su Internet, si cerca, si trova, oppure no. L’editoria è un mestiere dove la mediazione ha ancora una funzione. Esiste l’autopubblicazione, ma è diverso: gli editori sono le agenzie di viaggio che ce l’hanno fatta.

     

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    «L’editore è un mestiere che è difficile definire, tant’è vero che io non riuscivo nemmeno con i miei figli. Una volta, cercando di fare a gara con i suoi amici che dicevano “mia madre è chirurgo”, “mia madre è avvocato”, mio figlio ha provato a spremersi le meningi e alla fine ha detto: “mia madre parla al telefono”. Tramite, filtro e agente lo sono anche i galleristi, i producer musicali; l’editoria ha qualcosa in più perché non crea solo il contatto tra l’artista e il luogo dove verrà esposto, ma anche un oggetto. E questo oggetto ha qualcosa di eterno. Ha qualcosa dell’eterno come la perfezione di una tazza: può deformare il manico, allargarla, ma una tazza è sempre una tazza e un libro è sempre un libro».

     

    Ritagliare giornali, selezionare episodi e scriverne settimanalmente, curare libri e autori, la tazza è sempre una tazza e il libro è sempre il libro e ha le pagine. Lei toglie dal flusso, dà ordine a ciò che pesca nell’insensatezza del mondo? Perché ha fatto l’editore?

    «Lei è sulla strada sbagliata, non sono diventata editore per mettere ordine nell’insensatezza del mondo, ma perché le uniche persone che mi affascinano sono gli artisti e gli scienziati, e siccome non mi sentivo assolutamente capace di essere un artista o un grande scienziato, né Proust né Eratostene, ho pensato di vivere nel luogo dove potevo incontrare artisti e scienziati, la mia è una scelta di umiltà».

     

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    Non le sembra che mettersi al confronto con Proust ed Eratostene sia il contrario dell’umiltà?

    «Se l’immagina uno che con un bastone, un’ombra e un pozzo misura la circonferenza della Terra? Non mi sono data pace dall’età di 11 anni per la disperazione di non essere così intelligente».

     

    […]

     

    L’Italia ad aprile sarà ospite d’Onore al Festival du livre a Parigi. Lei ha fatto l’editore in Francia per 35 anni. Differenze tra editoria italiana ed editoria francese?

    «Una differenza macroscopica. La popolazione è più o meno la stessa, ma l’editoria francese pesa più di 4 miliardi di euro e quella italiana a stento due. Significa più del doppio, che vuol dire poi la possibilità di fare dei tascabili a 6, 7, 8 euro, di avere cioè una cultura del tascabile, per cui è molto più facile, molto più piacevole essere editore in Francia che in Italia. In compenso, e non so spiegarmi perché, l’editoria italiana permette nicchie di alta cultura, e ha un pubblico sapiente, tra le 6 e le 15mila persone, che possono comprare libri di saggistica di studio, scienze, di altissimo livello […]

     

    Cosa pensa delle discussioni sull’inclusività della lingua?

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    «Nelle università statunitensi si costruiscono i bagni per chi non si sente né maschio né femmina. Nell’altra metà del pianeta gli uomini osano coprire le donne di veli neri, costringerle a lavori massacranti, ammazzarle di gravidanze, quando non le appendono a un cappio o non le lapidano. Cose che ci sono sempre state, ma si sono acuite. Io ho conosciuto bene il Medio Oriente, la vita delle donne era già infernale ma non così, è terribilmente peggiorata.

     

    Da un lato, dunque, si corre dietro alla lingua per farsi perdonare di avere impedito la nascita di geni femminili e dall’altro si riduce a mera sopravvivenza la popolazione femminile. Di solito la lingua segue, farla precedere è una forzatura. La lingua deve seguire. Allora lasciate che le bambine studino scienze, possano diventare grandi artiste e poi cambierà la lingua. Il contrario è una garbata illusione».

     

    Esiste una mistica della maternità?

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    «È una vera avventura quella data alle donne. L’idea di vedere questo essere che era te stesso e non lo sarà mai più, beh è folgorante. Io capisco benissimo che una neo-madre si spaventi, non lo voglia più, voglia rimandarlo indietro, rimetterlo nel limbo. Questa incredibile novità fa paura, ma le capisco. Se invece tutto va bene è una folgorazione. Io, nonostante le fatiche, nonostante la voglia di buttarli dalla finestra qualche volta, etc. li ho molto amati e mi hanno portato, credo, una vera conoscenza del mondo. Detto questo bisogna essere preparati, quando si è madri, dopo aver schiacciato sull’acceleratore della maternità, a togliere il piede dall’acceleratore e ad avere una vita normale».

     

    […]

     

    Qual è il suo rapporto col tempo che passa?

    «Proficuo. Mi ha liberato dai sensi di colpa, continui. Da una impressione di inadeguatezza e illegittimità; ogni volta che mi proponevano un aumento di stipendio, un avanzamento professionale, un benefit di qualche tipo, mi affrettavo a rispondere no, no, non son degna. Era ossessione, non virtù. Da questo senso di illegittimità e dalla paura di assumere ogni volta un ruolo – di cui accettavo le responsabilità intellettuali, ma non i vantaggi – mi ha liberata il tempo».

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    Si è mai pensata una donna bella?

    «No. Assolutamente. Anzi, quando ero carina cercavo di imbruttirmi, è più facile la vita per le donne non troppo belle».

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    Grazie Teresa Cremisi per non aver risposto a nessuna delle mie domande. 

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