Giuseppe Scarpa per “il Messaggero”
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Per adesso sono solo numeri. Dai 50 centesimi per una mascherina chirurgica da vendere in farmacia ai milioni di dispositivi che dovrebbero arrivare tra qualche settimana in Italia. Nel frattempo c'è il caos, tra i farmacisti che non vogliono vendere per mezzo euro, quello che hanno pagato dai fornitori ad un prezzo più alto, e i diversi produttori italiani che non riescono a stare dentro quei costi. E adesso appare chiaro che dietro il progetto del prezzo calmierato annunciato ieri dal Commissario straordinario Domenico Arcuri, dopo l'anticipazione di domenica del premier Giuseppe Conte, si nascondono non poche insidie.
Prima tra tutte la capacità di riuscire, effettivamente, ad approvvigionare gli italiani alle condizione annunciate. Se infatti il piano non dovesse andare in porto partirebbe una speculazione, perché la caccia alle chirurgiche renderebbe ancora più volatile il prezzo di un prodotto già esposto alle turbolenze del mercato internazionale. Inoltre, in assenza di un flusso costante del presidio, e pur di non uscire scoperti, molti cittadini sarebbero costretti a virare sulle più costose ffp2 (6-10 euro a pezzo).
mascherine
Esiste poi il pericolo, come rivela un investigatore, che si riversino sull'Italia mascherine simil chirurgiche: insomma imitazioni, dall'aspetto che combacia con le originali, ma in realtà assemblate con tessuti che non hanno la reale capacità filtrante che dovrebbero avere per garantire la sicurezza di chi le indossa.
LE CRITICHE
Di certo il prezzo annunciato ieri ha fatto tirare un sospiro di sollievo a molti italiani che ogni giorno combattono la battaglia per cercare di trovarne qualcuna. La domanda, però, che in molti si fanno è quanto sia realizzabile il progetto presentato da Arcuri. Demagogico era la parola che ieri correva sulla bocca di molti per definire il piano. Per la Confcommercio, infatti, la cifra «non sta né in cielo né in terra».
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La vicepresidente Donatella Prampolini è andata all'attacco sul costo di 50 centesimi, rilevando che le aziende hanno in carico le mascherine a un prezzo maggiore, chiede di portarlo almeno a 60 centesimi: «Altrimenti l'effetto immediato sarà che smetteremo di importarle» e «intanto molte aziende hanno bloccato vendite e ordini». Anche per la Cna Federmoda le mascherine a «50 centesimi affondano la nostra industria» e per il Governatore del Veneto Zaia «tutta la produzione rischia di sparire».
Arcuri, però, ha assicurato che sarà garantito un «ristoro e forniture aggiuntive tali da riportare la spesa sostenuta, per ogni singola mascherina, al di sotto del prezzo massimo deciso dall'esecutivo». Inoltre in arrivo nelle prossime settimane sul mercato italiano - ha annunciato sempre Arcuri - ci sarebbero 660 milioni di chirurgiche ad un prezzo medio di 38 centesimi al pezzo. A produrle saranno cinque aziende italiane - la Fab, la Marobe, la Mediberg, la Parmon e la Veneta Distribuzione che hanno già siglato i contratti con il Commissario straordinario.
MEDIE IMPRESE
Intanto, però, molte medie e piccole imprese italiane che si erano convertite alla realizzazione di mascherine rischiano la serrata. «Il prezzo minimo a cui riesco a venderle è 97 centesimi a pezzo», spiega Edoardo Pietri, titolare dell'azienda il Ghiro. «Ho già bloccato la fabbricazione, dentro quei costi non riusciamo a realizzarle». Pietri è deluso: «avevamo stabilito un prezzo etico e adesso ci dicono che siamo dei ladri, ma produrle a meno è impossibile, ne va della qualità».
LUIGI DI MAIO SCARICA MASCHERINE
Inoltre, per molte società che lavorano con l'estero, con i tariffari indicati dal governo è difficile importare le chirurgiche: «Solo il trasposto aereo dall'Asia all'Italia incide per almeno 15 centesimi a pezzo» spiega un fornitore. Insomma la fase 2 è alle porte, il Paese è sempre più affamato di mascherine, e oltre a fissare il prezzo finale, Arcuri dovrà vigilare attentamente per evitare che anche l'acquisto di questi presidi di trasformi in un business per la criminalità.
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