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    LA PROCURA DI BRESCIA SI DISSOCIA DALLE PAROLE DEL PM CHE HA ASSOLTO UN MARITO VIOLENTO - IL MAGISTRATO AVEVA CHIESTO L’ASSOLUZIONE DELL’UOMO, DI ORIGINI BENGALESI, NEL PROCESSO PER MALTRATTAMENTI AI DANNI DELL’EX PERCHÉ, PER MOTIVI “CULTURALI” NON C’ERA LA VOLONTÀ DI FAR MALE ALLA DONNA  – LA VITTIMA, CHE ERA ANCHE LA CUGINA DEL MARITO, È STATA VENDUTA DAGLI ZII QUANDO AVEVA 17 ANNI E DA ALLORA È STATA UMILIATA, MINACCIATA E PICCHIATA…


     
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    Estratto dell’articolo di Mara Rodella per il “Corriere della Sera”

     

    VIOLENZA DOMESTICA VIOLENZA DOMESTICA

    Ha chiesto l’assoluzione (o meglio, le sue conclusioni le avrebbe anticipate in forma scritta) nei confronti di un presunto marito violento con la moglie, perché, per ragioni «culturali», verrebbe meno la volontà di farle del male.

     

    Continua a fomentare clamore, reazioni, e non poche polemiche nel mondo politico e istituzionale, la richiesta formulata dal pm della procura di Brescia, Antonio Bassolino, di non condannare Hasan Md Imrul, imputato di origini bengalesi a processo per maltrattamenti (discussione e sentenza di primo grado sono previste il 17 ottobre) ai danni della ex, connazionale di 27 anni sposata in patria con nozze combinate — e dalla quale ha avuto due figlie — che nel 2019 ha trovato il coraggio di denunciare, raccontando di essere stata «venduta dagli zii alla famiglia del cugino nel 2013», quando aveva 17 anni e frequentava le scuole superiori. E di essere poi stata «trattata come una schiava, umiliata e costantemente minacciata di essere riportata in Bangladesh».

     

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    «La Procura di Brescia ripudia qualunque forma di relativismo giuridico non ammette scriminanti estranee alla nostra legge ed è sempre stata fermissima nel perseguire la violenza, morale e materiale, di chiunque, a prescindere da qualsiasi riferimento “culturale”, nei confronti delle donne»: sono le parole del procuratore Francesco Prete, messe nero su bianco in una nota.

     

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    Per il sostituto, dopo aver esaminato come da procedura le singole contestazioni e averle ritenute insussistenti o quantomeno prive di sufficienti riscontri, «i contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa sono il frutto dell’impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima, atteso che la disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura che la medesima aveva persino accettato in origine». Un reato quindi culturalmente orientato, a cui mancherebbe la componente soggettiva del dolo. […]

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