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    1. DOPO L’ETERNIT DI CASALE MONFERRATO TOCCA ALL’OLIVETTI DI IVREA. LA PROCURA HA APERTO UN’INCHIESTA PER 20 MORTI SOSPETTE A CAUSA DEL CONTATTO CON L’AMIANTO 2. UOMINI E DONNE CHE DOPO LA PENSIONE SI SONO AMMALATI DI MESOTELIOMA PLEURICO. TUTTI DECEDUTI TRA IL 2003 E Il 2013, MA CHE TRA LA FINE DEGLI ANNI ‘70 E I PRIMI ‘90 AVEVANO LAVORATO IN REPARTI DOVE SI FABBRICAVANO TELESCRIVENTI E PERSONAL COMPUTER 3. LE PERSONE INDAGATE SONO PIÙ DI 20. CI SONO NOMI PESANTI. C’È CARLO DE BENEDETTI, CHE FU PRESIDENTE DI OLIVETTI DAL 1978 AL 1996 E SUO FRATELLO FRANCO, CHE RICOPRI’ IL RUOLO DI VICEPRESIDENTE E AMMINISTRATORE DELEGATO. NELLA LISTA ANCHE IL NOME DI CORRADO PASSERA, EX CO AMMINISTRATORE DELEGATO TRA IL 1992 E IL 1996. L’ACCUSA PER TUTTI È OMICIDIO COLPOSO E LESIONI COLPOSE PLURIME


     
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    1. LA PROCURA DI IVREA: "ALL'OLIVETTI OPERAI UCCISI DALL'AMIANTO"
    Giampiero Maggio per "la Stampa"

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    Dopo l'Eternit di Casale Monferrato tocca all'Olivetti di Ivrea. La Procura ha aperto un'inchiesta per 20 morti sospette a causa del contatto con l'asbesto. Operai che avevano lavorato in alcuni stabilimenti dell'azienda - inquinati da sostanze cancerogene è l'ipotesi dei magistrati - dove si fabbricavano telescriventi e personal computer. Uomini e donne che dopo la pensione si sono ammalati di mesotelioma pleurico. Tutti deceduti tra il 2003 e i primi mesi di quest'anno, ma che tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Novanta avevano lavorato in reparti contaminati da fibre di amianto, inalando polveri nocive che anno dopo anno li hanno consumati fino ad ucciderli.

    E' questo il sospetto dei magistrati eporediesi. Le persone indagate sono più di 20. Ci sono nomi pesanti. C'è Carlo De Benedetti, che fu presidente dell'azienda dal 1978 al 1996 e suo fratello Franco, che all'Olivetti aveva ricoperto il ruolo di vicepresidente e amministratore delegato. Nella lista anche il nome di Corrado Passera. Il banchiere ed ex ministro del governo Monti, infatti, era stato co amministratore delegato tra il 1992 e il 1996. L'accusa per tutti è omicidio colposo e lesioni colpose plurime. Il sospetto è che non fossero state adottate le contromisure necessarie per evitare che gli operai venissero a contatto con le fibre di amianto. «Chiediamo giustizia» dicono adesso le famiglie delle vittime e coloro che, malati ma ancora vivi, oggi lottano contro il cancro. Molti annunciano che, in caso di processo, si costituiranno parte civile.

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    La conferma dell'apertura di un'inchiesta arriva direttamente dai pm: «Il caso è delicato - ammette il procuratore capo della Repubblica di Ivrea, Giuseppe Ferrando -. Le parti lese sono numerose e ci sono degli indagati». Fonti legali vicine a uno degli indagati puntualizzano che per il momento è stato ricevuto soltanto un avviso di garanzia e che i dettagli dell'inchiesta non si conoscono ancora.

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    Tutto era cominciato dopo una denuncia presentata 6 anni fa dai famigliari di una ex dipendente dell'azienda. La donna aveva lavorato nello stabilimento di San Bernardo, a Ivrea, dal 1965 al 1980: morì il 27 dicembre del 2007 a causa di un mesotelioma pleurico maligno. Le perizie avevano dimostrato che quella dipendente si era ammalata per aver inalato talco contaminato con amianto. E per quella storia, grazie anche all'avvocato Enrico Scolari che difendeva la famiglia, fu rinviato a giudizio Ottorino Beltrami, fino al 1978 amministratore delegato della Olivetti. Il processo, però, non si farà, perché Beltrami nel frattempo è morto.

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    Parallelamente, però, erano usciti allo scoperto altri casi. Tutti finiti sotto la lente d'ingrandimento dell'azienda sanitaria Torino 4, che aveva incrociato i casi di decesso con i nomi delle vittime. Si era così scoperto che tutti avevano la stessa malattia per contatto con l'asbesto, e che tutti avevano lavorato fino ai primi Anni 90 negli stabilimenti Olivetti: alle Officine Ico, nei capannoni di San Bernardo e nel comprensorio industriale di Scarmagno. Gli atti erano poi stati trasmessi in Procura e erano arrivate le prime denunce. Molte di queste le aveva presentate la Fiom Cgil del Canavese, che attraverso il legale Laura D'Amico oggi sta seguendo decine di casi. L'impressione è che questa storia sia soltanto all'inizio.

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    2. L'ILLUSIONE DELLA SILICON VALLEY ITALIANA NELLA CITTÀ CHE SOGNA UN ALTRO ADRIANO
    Lodovico Poletto per "La Stampa"

    Chissà se ha davvero ragione Giovanni Maggia, quando dice: «No, Ivrea non è mai stata la Silicon valley d'Italia. E le grandi risorse tecniche e di conoscenza sbandierate a mezzo mondo quando Olivetti ormai stava morendo erano poca cosa rispetto a Cupertino». Se lo dice lui, ex docente di Storia economica all'Università di Torino d ex segretario della Fondazione Olivetti, qualche ragione c'è.

    Forse, quella che qualcuno chiama la «grande illusione» fu data dal sogno accarezzato da una città, Ivrea, e da una fetta - piccola - di territorio piemontese di avere un'alternativa al dominio della meccanica. E pure da quei palazzi imponenti e moderni, da quegli stabilimenti da cui uscivano prodotti informatici made in Italy. I primi.

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    Era il 1982 quando Olivetti lanciò sul mercato il mitico M 24. Schermo gigante e tecnologia sviluppata a Cupertino, California. Sì, la Cupertino di Apple, di Steve Jobs. Carlo De Benedetti, dai confini del mondo, da Ivrea, aveva intuito che lì c'erano conoscenze tecniche vere. E lì aprì un centro ricerche. Che anni, allora. Sessantamila occupati in Olivetti. Programmi di crescita. De Benedetti che atterrava a Ivrea in elicottero e i suoi manager che dettavano legge nella città che fu di Adriano. Olivetti, la corazzata. Che costruiva «Palazzo uffici due». E gli imprenditori che parlavano di «polo nazionale dell'informatica». E un giovane Corrado Passera annunciava un milione di pc presto sul mercato. Applausi.

    Ma poi ci fu Tangentopoli che si incrocia con la prima crisi di Ivrea. Con i primi taglia al personale. Crisi. La parola gela il sangue nella città che sognava un altro Adriano Olivetti, un altro mentore o un benefattore.

    Alberto Stratta era un socialista della prima ora, avvocato, uno che dava del tu al ministro Gino Giugni, il padre dello Statuto dei lavoratori. Vent'anni fa diventò sindaco di Ivrea e si trovò a gestire quel durissimo colpo. Cassa integrazione. Manifestazioni e sindacati non più pacifici. «S'intuiva - dice adesso - che l'aria stava cambiando». Che ci si era fidati troppo di un'illusione. Che l'informatica legata all'hardware si scontrava con il grandi produttori asiatici. E che i software arrivavano dall'America.

    Eppure in quello spicchio di Piemonte c'era fermento. C'era un'altra azienda di informatica in zona, la Honeywell Bull, a Caluso. E le scuole professionali sfornavano tecnici. E c'erano i servizi segreti di mezzo mondo al lavoro. Storie di spionaggio vere. E altre da ridere, più o meno. Come quella della impiegata che trafugò dagli uffici di Ivrea un malloppo di carte «top secret» da vendere al Kgb che l'aveva contattata. Che improbabile Mata Hari la signora bionda con la gonna sotto il ginocchio, i capelli cotonati e il marito occhialuto.

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    De Benedetti, intanto, era la speranza. Nel '93 corse a Ivrea a trovare l'amico di Giugni: «Non molliano». E dal vescovo rosso allora molto temuto dai vertici vaticani, Monsignor Bettazzi. C'era paura. Gli occupati erano molti meno nella metà del 1973. E calavano ancora. Sei anni dopo è tutto diverso. Nuovi vertici, nuove proprietà. Scarmagno, il polo industriale, viene venduto. Lo spezzatino della «grande e azienda» è una raffica di cambi di proprietà, società che passano di mano, nomi che nulla hanno a che fare con il territorio: Wang Global, Getronics, Eutelia.

    GINO E RAFFAELLA GIUGNI - Copyright PizziGINO E RAFFAELLA GIUGNI - Copyright PizziMonsignor BettazziMonsignor Bettazzi

    L'Olivetti dell'informatica, non c'è più. Ivrea torna ad essere nota per il suo carnevale dove i figuranti si prendono a botte a colpi di arance. I tecnici che lasciano la «grande azienda» aprono società informatiche. Alcune si specializzano. Altre aprono e chiudono. Qualcuna resiste ancora, ma oggi non riesce a trovare sul territorio le figure professionali che cerca. Il sogno è finito. Oggi di Olivetti è rimasto un marchio, con 500 occupati. E neanche tutti qui, a Ivrea.

     

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